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Quesito
Carissimo padre Angelo, buongiorno.
Padre, volevo domandarvi una cosa per favore: se potete schiarirmi un po’ le idee riguardo ai peccati della lingua perché in internet ci sono interpretazioni diverse.
Grazie mille delle risposte,
Federico
Risposta del sacerdote
Caro Federico,
1. i peccati di lingua possono riguardare ambiti diversi.
Vi può essere l’insulto, che colpisce l’onore delle persone.
Vi può essere la maldicenza o la diffamazione, che colpisce la buona fama delle persone.
Vi può essere la mormorazione, che colpisce l’amicizia.
Altri modi di peccare con la lingua possono essere la derisione e il giudizio temerario.
Vediamoli partitamente.
2. L’insulto (contumelia) è l’ingiusta lesione dell’onore del prossimo fatta in sua presenza. Questa presenza può essere fisica o morale.
L’insulto può essere fatto a parole o con gesti.
La sua malizia deriva dal fatto che va direttamente contro la giustizia e la carità. Per questo è stato apertamente condannato dal Signore: “Chi poi dice al fratello: «Stupido», dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: «Pazzo», sarà destinato al fuoco della Geènna” (Mt 5,22).
San Paolo (Rm 1,30) enumera tra coloro che Dio ha abbandonato a se stessi anche gli arroganti.
3. Dalle parole evangeliche si desume che l’insulto è un peccato.
Va notato tuttavia che non di rado vi è parvità di materia grave, oppure manca la piena avvertenza della mente o il deliberato consenso della volontà.
Capita di vedere che alcune persone si sentono offese per certe parole o comportamenti, mentre non c’era nessuna volontà di offesa.
4. Per maldicenza (detta anche: detrazione) s’intende la denigrazione ingiusta della fama del prossimo assente.
La fama o buon nome è un bene prezioso per tutti. Per alcuni lo è in modo particolare perché ne va di mezzo la loro professione.
San Paolo annovera i maldicenti tra coloro che sono abbandonati da Dio (Rm 1,30) e San Giacomo esorta a non sparlare gli uni degli altri perché “chi sparla del fratello o giudica il fratello, parla contro la legge e giudica la legge” (Gc 4,1).
La maldicenza è segno sicuro di mancanza di carità, la quale invece “tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13,7).
D’altra parte si nota dall’esperienza che gli uomini non sopportano che vengano criticate le persone che essi amano e stimano; e nel caso, cercano di scusarle salvandone per lo meno la buona intenzione.
La gravità della maldicenza si misura dall’importanza del fatto divulgato o falsamente imputato e dal danno causato al prossimo.
5. Dalla maldicenza differisce nettamente il dovere grave di manifestare eventuali difetti del prossimo per evitare danni rilevanti alla comunità. In tal caso, se ci si tiene lontani dalla voglia di diffamare e da qualunque altro affetto disordinato, questa denuncia si configura come un volontario indiretto, perché l’obiettivo che si intende perseguire non è la maldicenza, ma la preservazione del bene comune.
Pertanto è lecito e doveroso informare i genitori di quanto i figli hanno compiuto. Così pure potrebbe essere doveroso rivelare anche pubblicamente, per mezzo della stampa, le incongruenze o i delitti di persone candidate a posti di responsabilità.
6. Quando è falsa, viene detta calunnia.
Si può peccare di detrazione anche ascoltando con soddisfazione le maldicenze sugli altri. La carità impone che non si danneggi in alcuna maniera il prossimo. Concretamente si cercherà di deviare il discorso su altri argomenti. Diversamente bisognerà troncarlo.
Di solito la maldicenza viene fatta di nascosto. E in questo differisce dall’insulto, che viene attuato davanti alla persona interessata. San Tommaso osserva che chi disonora disprezza l’offeso, mentre chi fa maldicenza lo teme.
7. La mormorazione secondo San Tommaso differisce dalla maldicenza perché è un’ingiuria che ha per fine la dissoluzione di un’amicizia.
Di fatto coincide con la maldicenza; ma vi aggiunge la finalità della denigrazione del prossimo per distoglierne non solo la stima, ma anche l’affetto.
Si tratta di un peccato grave perché contrario alla giustizia e alla carità. Mira infatti a far perdere l’amicizia, che per ognuno è un bene preziosissimo e “insinua l’inimicizia” (Sir 28,9).
“Per questo nei Proverbi si legge: “Sei cose odia il Signore e la settima gli è in abominio” (Pr 6,16); e al settimo posto troviamo appunto: “chi semina discordia tra i fratelli” (Pr 6,19)”.
8. Un altro peccato di lingua è la derisione, che rinfaccia al prossimo colpe o difetti sotto forma di burla col fine di svergognarlo di fronte agli altri.
La sua gravità dipende dalla forma attuata per deridere e dal fine prefissato. Certamente è un peccato se ha come obiettivo di togliere l’onore.
Non c’è nessun peccato se si sorride semplicemente su lieve un difetto altrui per ravvivare l’umorismo e rallegrare la fraternità.
9. Infine c’è il giudizio temerario che consiste nell’assenso fermo della mente (non il semplice dubbio) senza sufficiente fondamento sul peccato o sulle cattive inclinazioni del prossimo.
È proibito dal Signore: “Non giudicate e non sarete giudicati… Perché guardi la paglia nell’occhio del tuo fratello e non la trave che è nel tuo?” (Mt 7,1-3), e “Tu perché giudichi tuo fratello e perché disprezzi tuo fratello? Perché tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Dio” (Rm 14,10).
Il giudizio temerario manifesta un animo malevolo e contrario alla carità.
La parvità o meno di materia dipende dalla gravità del fatto su cui si giudica, dalla perfetta deliberazione e anche dal male provocato.
10. Dal giudizio temerario si distingue l’opinione temeraria, che giudica, ma senza avere la fermezza di giudizio. Anch’essa è scorretta ed è contraria alla carità perché sospetta degli altri senza fondamento.
Il criterio da tenere è il seguente: nessuno va considerato colpevole fino a quando non sia provato (“nemo malus nisi probetur”). Perciò è meglio sbagliarsi giudicando buono chi è colpevole che fare il contrario.
Sicché “per evitare il giudizio temerario, ciascuno cercherà di interpretare, per quanto è possibile, in un senso favorevole i pensieri, le parole e le azioni del suo prossimo” (CCC 2478).
Con l’augurio di saper astenerti da ogni forma di peccato di lingua, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo