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Quesito

Caro Padre Angelo,
nel giorno in cui ricorre la festività di San Tommaso d’Aquino, che studiai in modo approfondito all’università, mi tornano dubbi "filosofici" e razionalistici sull’esistenza di Dio. Non tanto sulla sua esistenza, che molte cose nell’universo inducono a postulare (il contingente non può stare da solo, la materia cieca non può darsi leggi che la organizzano, ecc), ma – mi perdoni l’espressione- sull’"utilità" di Dio. In altri termini, talvolta vedo una sensatezza nella vecchia posizione panteistica, hegeliana, per cui un Dio "tutto dato", che non supera costantemente dei limiti, non ha molto senso. Se Dio non "lotta", può essere felice (perdoni ancora il pesante antropomorfismo)? Per la medesima ragione a volte comprendo anche quelle persone che dicono "per carità non dateci una seconda vita, che basta già la prima". D’altro canto, e torno all’apertura di discorso, la riflessione torna circolarmente al punto di partenza: per cosa viviamo noi se non per conoscere Dio (Tommaso d’Aquino)? Ma in una vita terrena la domanda radicale non ha una piena risposta: moriamo con dei "segni" della Sua presenza, non con la sua visione! Allora "vedere Dio" non sarebbe "staticità", ma felicità.
Potrebbe darmi qualche chiarimento?
Emanuele


Risposta del sacerdote

Caro Emanuele,
1. mi scrivi: “Se Dio non "lotta", può essere felice (perdoni ancora il pesante antropomorfismo)?”.
Qui l’antropomorfismo (e cioè il parlare di Dio in termini umani), non è solo pesante, ma pensantissimo e fuorviante.
C’è il rischio di costruirsi un dio a propria immagine e somiglianza.

2. L’immagine di Dio che emerge dalle Sacre Scritture mi pare del tutto diversa.
Noi non siamo chiamati semplicemente a vivere e a morire in questo mondo accontentandoci di vedere dei “segni della sua presenza”.
Forse non saprei che farmene di un dio del genere (lascio appositamente alla parola dio la minuscola).
Gesù non è venuto semplicemente per farci vedere dei segni della presenza di Dio. Dice di se stesso: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).
E ancora: “Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,48-51).
E ancora: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (Gv 6,53-54).
Vivere in eterno o avere la vita eterna in San Giovanni è la stessa cosa che possedere Dio.

3. Domenica scorsa abbiamo sentito, almeno nel rito romano, il dialogo di Gesù con la samaritana.
Gesù le dice: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva” (Gv 4,10).
“Se tu conoscessi…”. Nel Vangelo di san Giovanni il verbo conoscere non indica semplicemente una conoscenza teorica, ma piuttosto un possesso, un gustare… come emerge chiaramente da queste altre parole di Gesù: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3).
La fede cristiana non è semplicemente qualcosa che si conosce, perché in questo caso sarebbe un’ideologia o una filosofia!
È piuttosto un fare esperienza di qualcosa di divino, di celeste, un sentirsi toccare il cuore, un sentirsi inebriati e affascinati da una realtà nuova, superiore alle nostre risorse, di cui precedentemente c’era ignoranza e inesperienza assoluta.

4. Giustamente Davide nel salmo 34,9 dice: “Gustate e vedete come è buono il Signore”.
San Tommaso d’Aquino dice: per capire (sottinteso: le cose di Dio) bisogna prima gustare.
È il gusto che apre la porta alla conoscenza. Ma si tratta, come vedi, di una conoscenza anzitutto esperienziale.
Poi diventa anche teorizzata.
La sola componente intellettiva spiega che la fede è ragionevole, ne fa vedere i segni, come dici tu, ma non fa ancora gustare niente o quasi della amicizia e della vita di Dio.

5. Per questo Gesù dice alla samaritana: se uno comincia a gustare l’acqua che gli do io, perde la sete di tutto il resto e comincia ad aver sete solo di me e delle cose mie.

6. “Signore, dammi quest’acqua” (Domine, da mihi hanc aquam).
Fu questa la preghiera della samaritana e deve essere anche la nostra preghiera incessante.
Una preghiera del genere viene sempre soddisfatta.
Perché se Dio ci dona i beni materiali nella misura in cui sono utili per il nostro bene spirituale, come non ci donerà ciò per cui Lui stesso è venuto in questo mondo e ha accettato di morire crocifisso?

Ti assicuro la mia preghiera perché dal vedere i segni della presenza di Dio tu possa passare a vivere insieme con Lui e a gustare la sua dolce amicizia. È il motivo immediato per cui ci ha creati e redenti.
Ti benedico e ti saluto cordialmente.
Padre Angelo