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Quesito

Carissimo Padre Angelo,
mi può spiegare esattamente qual è la differenza dal punto di vista morale tra chi ricorre ai metodi naturali e chi invece ricorre alla contraccezione?
Ho capito per sommi capi la liceità del primo caso e l’immoralità del secondo ma ho bisogno di maggiori chiarimenti.
La pace
Alessandro


Risposta del sacerdote

Caro Alessandro,
1. su questo punto, particolarmente importante e delicato, ti riporto quanto ho scritto nelle mie dispense scolastiche e che a suo tempo avevo anche pubblicato in una rivista teologica.
La trattazione è un pò lunga. Ma per te, che diventerai medico, è opportuno avere una visione più completa.
Data la lunghezza dell’esposizione, la pubblico in quattro puntate.

2. Prima di esporre la trattazione desidero ricordare alcuni principi basilari del Magistero della Chiesa su tale questione:
Questi principi sono essenzialmente tre.
Il primo: “qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita” (Humane vitae 11). È il principio fondamentale ed è desunto dalla natura degli atti coniugali e dell’amore umano.
Il secondo riguarda l’indissolubilità del fine unitivo con quello procreativo, indissolubilità che l’uomo non può rompere di sua iniziativa: “Infatti, per sua intima natura, l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi scritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna” (HV 12).
Il terzo è che “salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore e il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità” (HV 12). Il che significa che un atto frustrato della sua finalità procreativa, per quanto lo si voglia ancora definire gesto di amore, non è più integralmente un gesto di amore mutuo e vero.
A questi principi segue la conclusione secondo cui “è da respingere ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali si proponga come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione” (HV 14).

Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

Contraccezione e castità: differenza antropologica e morale

A questo punto è doveroso prendere in considerazione un’obiezione abbastanza comune che viene fatta al Magistero della Chiesa: qual è la differenza tra un atto coniugale compiuto nel periodo infecondo della donna e uno compiuto mediante contraccezione?
La variante sembrerebbe solo accidentale: mezzi naturali nel primo caso, mezzi artificiali nel secondo.
Giovanni Paolo II avverte però che fra i due metodi vi è “una differenza assai più vasta e profonda di quanto abitualmente non si pensi e che coinvolge in ultima analisi due concezioni della persona e della sessualità umana tra loro irriducibili” (FC 32), ed invita “ad approfondire la differenza antropologica e al tempo stesso morale che esiste tra la contraccezione e il ricorso ai ritmi infecondi” (Ib.).
Non si tratta dunque semplicemente di una questione “ecologica” per tutelare la salute della donna e proteggerla dall’inquinamento causato dai mezzi chimici o dai rischi connessi ai contraccettivi meccanici (il che peraltro sarebbe sufficiente per guardare con giustificato sospetto la contraccezione).
Già Paolo VI aveva detto che “la Chiesa è coerente con se stessa quando ritiene lecito il ricorso ai periodi infecondi mentre condanna come sempre illecito l’uso dei mezzi direttamente contrari alla fecondazione, anche se ispirati da ragioni che possano apparire oneste e serie” (HV 16). E soggiungeva che “tra i due casi esiste una differenza essenziale” (Ib.).
Esprimiamo in dieci punti le differenze tra i due metodi.

I. Nella contraccezione i coniugi “si comportano come arbitri del disegno divino” (HV 13). Di fatto si sostituiscono a lui nel determinare quale sia il significato del corpo e dei suoi atti. Ne emerge la coscienza di essere padroni o proprietari di se stessi, che corrisponde più o meno allo slogan: “Il corpo è mio, e ne faccio quello che voglio io”.
Nella continenza periodica invece si usufruisce del matrimonio riconoscendo una legge trascendente e facendosene ministri. Di fatto, accettando il significato intrinseco degli atti e il ritmo di fertilità stabilito da Dio, si riconosce di essere creature, di non essere padroni di noi stessi, secondo l’espressione di S. Paolo: “O non sapete che non appartenete a voi stessi” (1 Cor 6,19).

II. Nella contraccezione si frustra la capacità procreativa degli organi genitali. Essi, che nel loro linguaggio nativo sono ordinati a suscitare la vita, vengono contraddetti nel loro più intimo significato.
Questo, al dire di Giovanni Paolo II, fa sì che “gli sposi si attribuiscano un potere che appartiene solo a Dio: il potere di decidere in ultima istanza la venuta all’esistenza di una persona umana. Si attribuiscono la qualifica di essere non i co-operatori del potere creativo di Dio, ma i depositari ultimi della sorgente della vita umana. In questa prospettiva la contraccezione è da giudicare oggettivamente così profondamente illecita da non potere mai, per nessuna ragione, essere giustificata.
Pensare o dire il contrario, equivale a ritenere che nella vita umana si possano dare situazioni nelle quali sia lecito non riconoscere Dio come Dio” (17.9.1983).
Si tratta, come disse in un’altra occasione il medesimo Pontefice, di un ateismo pratico, dove Dio non c’entra.
Nella continenza periodica, invece, si riconosce fin dall’inizio un potenziale significato procreativo agli atti coniugali. Se dall’unione non segue di fatto la procreazione, ciò dipende in ultima analisi dalla volontà di Dio che ha disposto nella sua sapienza legislatrice che non ogni incontro nell’ambito del matrimonio risulti di fatto fecondo. Qui i coniugi, nel loro comportamento, sono alleati della divina Sapienza. Nei loro atti di amore Dio non è escluso, anzi è ben presente.