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Quesito
Carissimo Padre Angelo,
mi può spiegare esattamente qual è la differenza dal punto di vista morale tra chi ricorre ai metodi naturali e chi invece ricorre alla contraccezione?
Ho capito per sommi capi la liceità del primo caso e l’immoralità del secondo ma ho bisogno di maggiori chiarimenti.
La pace
Alessandro
Seconda puntata prosegue dal precedente quesito leggilo adesso
Risposta del sacerdote
Caro Alessandro,
ecco la seconda puntata della mia trattazione.
Mentre ti auguro buona lettura, ti saluto cordialmente e ti benedico.
Padre Angelo
III. Nella contraccezione l’obiettivo è di escludere del tutto la procreazione. Non la si accetta, non la si vuole. E nel caso di mancata efficacia del metodo si è talmente avversi al concepito che non di rado si pensa subito all’aborto. Sicché la mentalità anti-vita della contraccezione si prolunga in quella abortista.
Di essa ha parlato Giovanni Paolo II in Evangelium vitae: “Si afferma frequentemente che la contraccezione, resa sicura e accessibile a tutti, è il rimedio più efficace contro l’aborto. Si accusa poi la Chiesa cattolica di favorire di fatto l’aborto perché continua ostinatamente a insegnare l’illiceità morale della contraccezione.
L’obiezione, a ben guardare, si rivela speciosa. Può essere, infatti, che molti ricorrano ai contraccettivi anche nell’intento di evitare successivamente la tentazione dell’aborto. Ma i disvalori insiti nella mentalità contraccettiva – ben diversa dall’esercizio responsabile della paternità e maternità, attuato nel rispetto della piena verità dell’atto coniugale – sono tali da rendere più forte proprio questa tentazione, di fronte all’eventuale concepimento di una vita non desiderata. Di fatto la cultura abortista è particolarmente sviluppata proprio in ambienti che rifiutano l’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione. Certo, contraccezione ed aborto, dal punto di vista morale, sono mali specificamente diversi: l’una contraddice all’integra verità dell’atto sessuale come espressione propria dell’amore coniugale, l’altro distrugge la vita di un essere umano; la prima si oppone alla virtù della castità matrimoniale, il secondo si oppone alla virtù della giustizia e viola direttamente il precetto divino ‘‘non uccidere’.
Ma pur con questa diversa natura e peso morale, essi sono molto spesso in intima relazione, come frutti di una medesima pianta. (…). In moltissimi casi tali pratiche affondano le radici in una mentalità edonistica e deresponsabilizzante nei confronti della sessualità e suppongono un concetto egoistico di libertà che vede nella procreazione un ostacolo al dispiegarsi della propria personalità. La vita che potrebbe scaturire dall’incontro sessuale diventa così il nemico da evitare assolutamente e l’aborto l’unica possibile risposta risolutiva di fronte ad una contraccezione fallita.
Purtroppo la stretta connessione che, a livello di mentalità, intercorre tra la pratica della contraccezione e quella dell’aborto emerge sempre di più e lo dimostra in modo allarmante anche la messa a punto di preparati chimici, di dispositivi intrauterini e di vaccini che, distribuiti con la stessa facilità dei contraccettivi, agiscono in realtà come abortivi nei primissimi stadi di sviluppo della vita del nuovo essere umano” (EV 13).
Nella continenza periodica, invece si accetta il rischio del figlio. E nell’accettazione del rischio, i coniugi si mantengono reciprocamente nella logica del dono.
Giustamente C. Caffarra distingue tra volontà non procreativa e volontà antiprocreativa: “La prima connota una volizione che non è positivamente contro la procreazione; la seconda, una volizione positivamente contraria alla procreazione”1.
IV. Nella contraccezione l’amore coniugale viene falsificato.
Infatti mentre si compie un gesto che esprime la totalità del dono, ci si riserva di donare una componente importante della vita umana, la propria capacità di diventare padre o madre.
“Così al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione impone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè di non donarsi all’altro in totalità.
Ne deriva, non soltanto il positivo rifiuto all’apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell’interiore verità dell’amore coniugale, chiamato a donarsi in totalità personale” (FC 32c).
Si tratta, in altre parole, di una bugia. Ed è stato osservato, proprio in riferimento al nostro tema, che anche nel dire bugie alla fine ci si stanca. In altre parole, viene meno la spontaneità e la freschezza dell’amore.
Nell’incertezza di una gravidanza non desiderata, i coniugi sono portati a guardarsi con sospetto, come a chi viene a turbare i propri sogni tranquilli, e si incolpano a vicenda. Quell’atto di amore, anziché unire ancor più gli animi, viene a dividerli.
Scrive E. Sgreccia: “Quando l’uomo e la donna si uniscono, se l’atto è umano e pieno, coinvolge il corpo, il cuore e lo spirito; se una di queste dimensioni viene a mancare, si tratta allora di un’unione umanamente incompleta e oggettivamente falsa, perché il corpo non ha senso se non come espressione della totalità della persona”2.
Eliminando intenzionalmente la capacità riproduttiva, i coniugi uniscono certo i loro corpi, ma il gesto sessuale è privato del suo significato più profondo: il donarsi e l’accogliersi in totalità.
La castità coniugale, invece, non attua nessuna falsificazione, nessuna bugia. Non dà adito a sospetto tra i coniugi. Nel caso di concepimento non desiderato, essi si sentono ambedue responsabili “in solido”, disposti ad accettare il nascituro. L’apertura alla vita dell’atto coniugale è garanzia dell’impegno a mantenersi nella logica del dono.
V. La contraccezione favorisce la mancanza di dominio su se stessi, sulle proprie passioni, sui propri istinti. Gli atti coniugali vengono reclamati ogni volta che se ne avverte il ‘‘bisogno’, senza guardare le esigenze dell’altro.
Nella continenza periodica, invece, i coniugi, se non vogliono procreare, sanno astenersi per qualche giorno, anche se lo stimolo è più forte o prepotente.
E così la castità accresce quell’autodominio che è il segreto della libertà interiore. Nello stesso tempo gli istinti vengono valorizzati perché messi a servizio della persona, rimuovendo la possibilità che avvenga il contrario.
Inoltre i coniugi, ammirando la capacità di autodominio, crescono nella stima reciproca, perché non si sentono cercati per libidine.
Astenendosi nei giorni di fertilità, essi si dicono l’un l’altro che le relazioni sessuali non sono il tutto della loro vita, il bene cui si deve sacrificare ogni cosa (salute compresa).
Infine la castità favorisce la fiducia vicendevole in ordine all’impegno nella vita sociale ed ecclesiale. Quando si vede nel coniuge la capacità di resistere agli istinti nell’ambito matrimoniale, non si dubita che saprà vincersi anche nelle eventuali tentazioni extrafamiliari.
1 C. Caffarra, Etica generale della sessualità, p. 67.
2 E. Sgreccia, Manuale di Bioetica, I, p. 329.