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Quesito

Caro Rev. Padre Angelo
Avrei da sottoporle due quesiti, questi più generali (se ritiene, quindi, può pubblicarli o pubblicarne una parte con l’avvertenza, vedo da Lei sempre rispettata, di non far apparire il mio nome).
Come ho detto, i quesiti sono due, uno "dottrinario" e una sull’Ordine dei Predicatori stesso.
1 . Domanda sulla dottrina. Una domanda un po’ forse strana: quale sia la posizione della Chiesa sulla guerra e sul servizio militare e come questa sia cambiata nel tempo.
Ricordo infatti che ancora dopo il Concilio Vaticano II, non pochi parroci esortavano i giovani a preferire il servizio militare armato rispetto al dichiararsi obiettori di coscienza. Questo succedeva ancora attorno al 1975. Per questo non ho mai capito se la Chiesa si sia pronunciata davvero su una "preferenza" fra forze armate di coscritti o di professionisti.
Ricordo poi delle vere e proprie polemiche, rinnovatesi almeno due volte, quando uscì il Catechismo: secondo alcuni anche ecclesiastici, la Chiesa Cattolica ammetterebbe non solo la guerra difensiva ma anche quella che all’epoca di uscita del Catechismo (1992 circa) veniva chiamata "ingerenza umanitaria" e successivamente "esportazione della democrazia". Ovviamente le polemiche in merito si erano rinnovate nel 2001 (guerra d’Afganistan) e nel 2003 (guerra in Iraq).
2 .  Domanda sui Domenicani. Forse lo avrà intuito, ho un grande interesse per questo Ordine, (…).
Ringrazio in anticipo
Paolo


Risposta del sacerdote

Caro Paolo,
nella storia della Chiesa possiamo trovare quattro atteggiamenti su questo problema. Questa varietà dipende dal mutare delle condizioni religiose, sociali, politiche.

1. In un primo periodo (fino a Costantino) non vi è un insegnamento esplicito della Chiesa su questo tema. Tuttavia gli spiriti più colti e di più profonda esperienza religiosa vedono un’incompatibilità tra spirito cristiano e servizio militare.
Dice Origene: “Noi non brandiamo la spada contro nessun popolo, né impariamo a fare la guerra, perché siamo divenuti figli della pace per mezzo di Gesù Cristo, che seguiamo come nostro condottiero” (Contra Celsum V,33).
Sempre secondo Origene i cristiani combattono meglio con la preghiera che con le armi: “Noi combattiamo per l’Imperatore più degli altri. Non militiamo ai suoi ordini, anche se ci costringe a farlo; ma militiamo per lui, perché pregando lo aiutiamo con l’arma della pietà” (Ib., VIII,74).
Ippolito di Roma dice che è scomunicato il fedele o il catecumeno che vuole farsi soldato, perché così disprezza Dio (La tradizione apostolica, 16).
Per la Chiesa primitiva l’istituzione militare sembra in contrasto con il comandamento “non uccidere”. Chi è già catecumeno o battezzato, non può arruolarsi. Chi invece è già sotto le armi, può continuare a farlo per non mettere sul lastrico se stesso e i familiari, ma deve astenersi dal versare sangue.

2. Dopo la pace di Costantino cambia l’atteggiamo della Chiesa nei confronti dell’esercito e del servizio militare. Il Concilio di Arles (314) scomunica coloro che “in pace, abbandonano le armi” (can. 3).
È cambiata la situazione sociale e politica dell’Impero romano per le minacce che provenivano dai barbari.
Sant’Agostino è il primo a distinguere tra guerra giusta (vendicare le ingiustizie) e guerra ingiusta (fatta contro popoli inoffensivi, per desiderio di nuocere, per sete di potere, per ingrandire l’impero, per ottenere ricchezze e acquistare gloria).
Anche se giusta, la guerra però è sempre una disgrazia a motivo delle cause che la occasionano.
S. Tommaso parla di guerra giusta purché si verifichino tre condizioni: che sia dichiarata dall’Autorità, vi sia retta causa (per rimediare un danno o una violenza), vi sia retta intenzione nei combattenti, e cioè che abbiano l’intenzione di promuovere il bene e di evitare il male.
Pone inoltre delle restrizioni: “Può avvenire che la guerra, anche nel caso che sia indetta dalla legittima autorità e che la causa sia giusta, tuttavia a motivo della cattiva intenzione diventi illecita. Dice infatti S. Agostino: il desiderio di fare il male, la crudeltà nella vendetta, l’implacabilità d’animo, la ferocia nella rappresaglia, la libidine di dominio e simili sono tutte cose che giustamente nelle guerre sono ritenute una colpa” (Somma teologica, II-II,40,1c e ad 3).

3. Il terzo periodo coincide con la scoperta dei nuovi mondi e cioè con il dominio assolutista.
I teologi del tempo (De Vitoria, Suarez, Molina) parlano anch’essi di guerra giusta poiché è lecito respingere la violenza con la violenza, difendere quanto si possiede, ed è cosa buona punire i colpevoli.
A queste condizioni De Vitoria aggiunge due importanti correttivi: primo, ci deve essere proporzione tra gravità dell’ingiustizia subita e le conseguenze della guerra; secondo, “se una guerra è utile per una provincia o uno stato, ma causa danno al mondo intero o alla cristianità, allora questa guerra diventa ingiusta” (De potestate civili,13).

4. Nel secolo XX il Magistero della Chiesa e il pensiero teologico mutano accentuazione e perfino pensiero, soprattutto considerando le enormi calamità cui tutti vanno soggetti in caso di conflitto.
Ancora con Pio XII si continua a parlare di legittima difesa, ma a certe condizioni. Egli dice: “Poiché la libertà umana è capace di scatenare un ingiusto conflitto ai danni di una nazione, è certo che questa può, in determinate condizioni, sollevarsi in armi e difendersi” (Discorsi e radiomessaggi, XX, 1958, p. 173).
La guerra di legittima difesa diventa illegittima “quando i danni che questa comporta non sono paragonabili con quelli dell’ingiustizia tollerata” (Id., XV, 1954, p. 422).
Inoltre anche in una guerra di legittima difesa non si possono usare armi di distruzione totale e soprattutto armi che sfuggano al controllo dell’uomo e non possono quindi essere limitate alle strette esigenze della difesa. Il loro uso deve essere rigettato come immorale perché “in questo caso non si tratterebbe più di difesa contro l’ingiustizia e della salvaguardia necessaria di possessi legittimi, ma dell’annientamento puro e semplice di ogni vita umana all’interno del raggio d’azione. Questo non è permesso a nessun titolo” (Id., XVI, 1955, p. 167).
L’intenzione della Chiesa non è quella di giustificare la guerra, ma di allontanare il pericolo di conflitti armati e di preparare il tempo e le condizioni per “interdire assolutamente la guerra”.
Dirà infatti il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes: “È chiaro pertanto che dobbiamo con ogni impegno sforzarci per preparare quel tempo nel quale, mediante l’accordo delle nazioni, si possa interdire qualsiasi guerra” (n. 82).
È dunque la promozione della pace, più che la legittimazione della guerra, la preoccupazione del pensiero cristiano nel nostro tempo.
Grandi assertori di pace furono gli ultimi Papi: Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II.
Pio XII il 24 agosto 1939 lanciò quel grido che colpì l’immaginazione di tutti: “Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra1.
E nell’enc. Summi Pontificatus (20.X.1939) intervenne di nuovo per porre fine alla guerra appena iniziata: “No, la salvezza non viene ai popoli dai mezzi esterni, dalla spada; che può imporre condizioni di pace ma non crea la pace. Le energie, che devono rinnovare la faccia della terra, devono procedere dall’interno, dallo spirito” (n. 31).
Giovanni XXIII si è impegnato a favore della pace in particolare entrando direttamente nella soluzione della crisi di Cuba (ottobre 1962); e soprattutto con l’enciclica Pacem in terris (11 aprile 1963). In essa si legge tra l’altro: “La giustizia, la retta ragione e il senso della dignità umana esigono instantemente che si desista dalla corsa agli armamenti, che si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti, che si mettano al bando le armi atomiche e che si giunga finalmente da parte di tutti al disarmo, assicurato da mutui ed efficaci controlli. Con tutte le forze si deve evitare che la sciagura di una guerra mondiale si rovesci per la terza volta sull’umanità” (PT 37).
“In questo nostro tempo, che si gloria della forza atomica, è contrario alla ragione pensare che la guerra sia adatta a risarcire i diritti violati” (PT 40).

5. Decisivo per il cambiamento di mentalità a proposito della guerra è stato l’intervento della Gaudium et spes.
Dopo aver ricordato nel n. 79 che “una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa”, al n.80 afferma: “Il progresso delle armi scientifiche ha enormemente accresciuto l’orrore e l’atrocità della guerra. Le azioni militari, infatti, se condotte con questi mezzi, possono produrre distruzioni immani e indiscriminate, che superano pertanto, di gran lunga, i limiti di una legittima difesa. Anzi, se mezzi di tal genere, quali ormai si trovano negli arsenali delle grandi potenze, venissero pienamente utilizzati, si avrebbe la reciproca, pressoché totale distruzione delle parti contendenti, senza considerare le molte devastazioni che ne deriverebbero nel resto del mondo e gli effetti letali che sono la conseguenza dell’uso di queste armi.
Tutte queste cose ci obbligano a considerare l’argomento della guerra con mentalità completamente nuova
Avendo ben considerato tutte queste cose, questo sacrosanto Concilio, facendo proprie le condanne della guerra totale già pronunciate dai recenti Sommi Pontefici, dichiara: ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato”.

6. Gli interventi di Giovanni Paolo II su questo tema sono senza numero. Il 22.5.1982 affermava: “Come non indietreggiare atterriti di fronte alle prospettive di distruzione e di morte che riserva oggi ogni guerra; anche se condotta con le armi convenzionali, alle quali tuttavia la tecnologia moderna ha conferito micidiali possibilità di devastazione e di sterminio?”.
E il 30.5.1982: “Oggi la portata e l’orrore della guerra moderna, sia essa nucleare o convenzionale, rendono questa guerra (quella delle isole Malvinas) totalmente inaccettabile come mezzo per comporre dispute e vertenze tra le nazioni. La guerra dovrebbe appartenere al tragico passato, alla storia; non dovrebbe trovare posto nei progetti dell’uomo per il futuro”.
Nel discorso di Natale del 1990, in riferimento alla guerra del Golfo: “Si persuadano i responsabili che la guerra è avventura senza ritorno” (25.12.1990).
Al Corpo diplomatico (12 gennaio 1991): “La pace ottenuta con le armi non porterebbe altro che alla preparazione di nuove violenze”. “Non possiamo illuderci che l’impiego delle armi, e soprattutto degli armamenti altamente sofisticati di oggi, non provochi, oltre alle sofferenze e alle distruzioni, nuove e forse peggiori ingiustizie”.
“In queste ore di grande trepidazione vorrei ripetere con forza che la guerra non può essere un mezzo adeguato per risolvere completamente i problemi esistenti fra le nazioni. Non lo è mai stato e non lo sarà mai” (17.1.1991). “L’esperienza insegna a tutta l’umanità che la guerra oltre a causare molte vittime, crea situazioni di grave ingiustizia che a loro volta costituiscono una forte tentazione di ulteriore ricorso alla violenza” (15.1.1991).

7. In Centesimus annus (CA) ha scritto:“Su tutto il mondo grava la minaccia di una guerra atomica, capace di condurre all’estinzione dell’umanità (…). La guerra può terminare senza vincitori né vinti in un suicidio dell’umanità, e allora bisogna ripudiare la logica che conduce ad essa, l’idea che la lotta per la distruzione dell’avversario, la contraddizione e la guerra, siano fattori di progresso e di avanzamento dell’umanità” (CA 18).
“È necessario ripudiare la logica che conduce alla guerra e l’idea che la distruzione del nemico e la guerra stessa rappresentino fattori di avanzamento e di progresso della storia” (CA 18).
Nel Messaggio per la Giornata della Pace 1999 ha detto: “La guerra distrugge, non edifica. (…) La guerra è il fallimento di ogni autentico umanesimo”.

8. Papa Francesco, recandosi a Redipuglia (13.9.2014) nel centenario dello scoppio della prima guerra mondiale, ha detto: “Si parla di circa 8 milioni di giovani soldati caduti e di circa 7 milioni di persone civili. Questo ci fa capire quanto la guerra sia una pazzia! Una pazzia dalla quale l’umanità non ha ancora imparato la lezione, perché dopo di essa ce n’è stata un’altra, seconda, mondiale e tante altre che ancora oggi sono in corso. Ma quando impareremo, noi, questa lezione? Invito tutti a guardare Gesù Crocifisso per capire che l’odio e il male vengono sconfitti con il perdono e il bene, per capire che la risposta della guerra fa solo aumentare il male e la morte!”.

9. A proposito della guerra preventiva attuata dal governo Usa contro Saddam è a tutti noto l’atteggiamento di Giovanni Paolo II che fino alla fine, astraendo dalla sua approvazione,  disse che si poteva e si doveva trattare.

10. Circa il servizio militare è utile ricordare che Paolo VI parlando all’ONU (4.10.1965) disse: “Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con le armi in pugno”.
E poi soggiunse: “Finché l’uomo rimane l’essere debole e volubile e anche cattivo, quale spesso si dimostra, le armi della difesa saranno necessarie, purtroppo; ma, voi, coraggiosi e valenti quali siete, state studiando come garantire la sicurezza della vita internazionale senza ricorso alle armi”.
Il sevizio militare ha l’obiettivo primario di fare opera di giustizia e di difendere il bene comune.
Il Concilio dice espressamente: “Coloro poi che al servizio della patria esercitano la loro professione nelle file dell’esercito, si considerino anch’essi come ministri della sicurezza e della libertà dei loro popoli e, se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch’essi veramente alla stabilità della pace” (GS 79).
Giovanni Paolo II, parlando agli allievi della scuola alpina di Aosta, disse: “La prima vostra responsabilità si chiama impegno di pace. La condizione militare ha il suo fondamento morale nell’esigenza di difendere i beni spirituali e materiali della comunità nazionale, della Patria.
Questa difesa, garante del bene comune di un popolo, è un presupposto della pace e della concordia delle nazioni. Certamente occorrerà… vedere i problemi dei rapporti tra le nazioni e quelli della difesa con mentalità rinnovata…, ma rimane il fatto che c’è bisogno di garantirsi da quelle tentazioni di aggressione, di ingiustizia e di violenza che spesso allettano ed alterano lo spirito umano.Esiste infatti una situazione di peccato nell’umanità, che si annida nel cuore delle persone e tenta di incidersi a fondo nei vari strati della società. In questo contesto la difesa è prudenza, è diritto, è dovere che impegna gli uomini ad una continua vigilanza, interiore ed esterna, per prevenire lo scatenarsi della guerra… Siate dunque convinti, cari Alpini, di svolgere un’opera di pace” (7.9.1987).

11. In una parola la Chiesa giustifica il servizio militare.
Inizialmente aveva accettato obtorto collo l’obiezione di coscienza di chi si rifiutava di adempiere al compito della costrizione obbligatoria.
Si può dire che a quei tempi la situazione era ancora di guerra fredda.
Poi le cose mutarono e di fatto caldeggiò chi optava per il servizio civile, più utile alla società sotto tutti gli aspetti-
Oggi il problema non sussiste più: è volontario tanto il servizio militare quanto il servizio cìvile.

12. Sulle domande che mi poni riguardo ai Domenicani ti rispondo in privato, essendo una domanda del tutto personale.

Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

1 Di Pio XII, pochi forse sanno che questo Papa, uscendo dal Vaticano, si rivolse allo stesso re d’Italia, Vittorio Emanuele III, per evitare che l’Italia entrasse in guerra: se fosse stato ascoltato, il nostro Paese si sarebbe risparmiato centinaia di migliaia di morti e innumerevoli distruzioni.