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Quesito

Caro Padre Angelo,
le voglio porre alcuni quesiti per migliorare la mia vita spirituale ed accrescere l’amore per la preghiera. Scusi se schematizzo le domande, ma ritengo che sia più comodo sia per me che per Lei.
Allora:
1) La meditazione della passione di Cristo. Molti santi ci parlano di una preghiera così profonda, di una partecipazione così viva alla meditazione della Passione, tanto che spesso parlano di provare un dolore così profondo da provocare pianto e immenso dolore (San Francesco addirittura ebbe durante una sua meditazione, il dono delle Stimmate) Ecco: come è possibile ancora oggi riuscire a provare quel dolore autentico, come se Cristo venisse veramente crocifisso sotto i nostri occhi? Mi sento indegno di poter amare Dio senza essere profondamente addolorato per il suo sacrificio, benché ne riconosca l’immensa, incommensurabile grandezza. Come ci si rende conto di amare davvero Gesù Cristo?

 

2) Una persona può essere chiamata dal Signore ad una vita consacrata, benché non abbia ancora imparato a conoscere Gesù e ad affidarsi completamente a Lui e ad amarlo sopra ogni cosa?

 

Avrei ancora tante altre domande da porle, ma ritengo che per ora possa bastare.
Grazie ancora per la disponibilità che ci offre, Dio gliene renda merito! Pregherò il Signore affinché la Sua Luce illumini sempre la sua vita nel servizio al prossimo.

 

Pace e Bene,
Andrea


Risposta del sacerdote

Caro Andrea,
1. Sant’Alberto Magno, maestro di san Tommaso d’Aquino, diceva che un’ora di meditazione sulla passione del Signore vale di più che una quaresima a pane e acqua.
L’espressione forse è iperbolica, ma è molto significativa.
Non c’è nulla infatti che stimoli maggiormente l’amore per il Signore quanto il contemplare l’amore sviscerato che Cristo ha avuto per noi.
La meditazione sulla passione del Signore ci porta a considerarci piccoli, ad essere umili, a cercare di ricambiare in qualche modo quello che ha fatto per noi.
La quaresima a pane e acqua, da sola, potrebbe favorire un certa superbia interiore e farci sentire buoni, bravi, un pò come il fariseo, di cui parla il Signore nel Vangelo di san Luca 18,12 che si sentiva migliore del pubblicano che stava in fondo al tempio.

2. Ho letto nella vita di Padre Pio che questo santo, quando era novizio cappuccino, facendo ogni giorno la meditazione sulla passione del Signore piangeva. Le sue lacrime bagnavano il pavimento di legno lasciando ben visibile la macchia.
Alcuni suoi confratelli seminaristi ridevano per queste lacrime lasciate sul pavimento. Allora fra Pio procurava di mettere per terra un fazzoletto perché nessuno si accorgesse dei segni della sua commozione.

3. I sentimenti del futuro Padre Pio erano senz’altro molto belli.
Non riusciva ad amare il Signore solo con l’anima. La piena dei suoi affetti prorompeva esternamente nelle lacrime.
Tuttavia non è questa la prova del fuoco per verificare la consistenza del nostro amore per il Signore.
La commozione sensibile potrebbe essere frutto di un carattere particolarmente emotivo.
Quanti assistendo a pellicole sulla passione del Signore non sono stati in grado di trattenere le lacrime? Eppure la domenica successiva magari hanno tralasciato tranquillamente di partecipare alla Messa, nella quale la passione del Signore non è riprodotta per immagine come nel film, ma è la vera e reale passione del Signore che viene perpetuata sui nostri altari per la vita del mondo.

4. Allora in che cosa consiste il segno del nostro autentico amore per il Signore? Oppure, per usare le tue parole, “come ci si rende conto di amare davvero Gesù Cristo?”.
La risposta di san Tommaso è chiara: quando si è disposti a fare di tutto per non offendere volontariamente il Signore.
Finché nella nostra vita c’è il peccato, di amore per il Signore ce n’è poco.

5. Penso al futuro Giovanni XXIII, che quand’era seminarista, all’età di 18 anni e tre mesi, si impegna davanti a Dio in questo modo:
“nei santi spirituali Esercizi di quest’anno di grazia 1900, decimonono di mia età, in quest’ultimo dì del sacro ritiramento (27 febbraio), mentre mi trovo sacramentalmente unito al Cuore sacratissimo di Gesù per mezzo della santa comunione dinnanzi alla santissima madre mia, Maria Immacolata, al suo castissimo sposo e mio principal protettore, san Giuseppe, a tutti gli altri santi, miei particolari avvocati, al mio angelo custode ed infine a tutta la corte celeste, io, chierico Angelo Giuseppe, peccatore, al medesimo Cuore sacratissimo prometto, con quanto di solennità e di forza può avere questo atto, di mantenermi sempre, oggi ed in perpetuo, puro, colla grazia di Dio, da ogni benché minimo attacco a qualsivoglia peccato veniale volontario. E siccome per la mia debolezza non mi posso assicurare per l’avvenire di mantenere, abbandonato solo alle mie proprie forze, questa promessa, io la consegno nelle mani dell’angelico giovane san Luigi Gonzaga, così segnalato pel suo distacco da ogni ombra di peccato, così immacolato e di mente e di cuore; ed eleggendolo a questo fine in mio speciale intercessore e patrono, lo prego e lo scongiuro che egli, sì buono ed amorevole, si degni accettarla, custodirla ed aiutarmi con le sue preghiere a non mancare a quella fedeltà ad essa dovuta”.
Angelo Giuseppe Roncalli non è diventato Santo da papa, lo era già da ragazzo, da seminarista.
Sarebbe bello se anche noi facessimo così. Sarebbe la prova più vera del nostro autentico amore per il Signore.
Quando c’è l’affetto al peccato, nel nostro cuore c’è l’affetto a crocifiggere di nuovo il Signore. E questo, evidentemente, non è amore.

6. Alla seconda domanda ti rispondo domani.

Ti ringrazio di cuore per la preghiera che mi hai promesso. Ci tengo molto.
Ti assicuro volentieri la mia e intanto ti benedico.
Padre Angelo