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Quesito

Caro Padre Angelo,
Mi chiamo Lorenzo è ormai da un paio d’anni leggo molto volentieri le sue illuminanti risposte a tutti i requisiti e i dubbi che la gente le espone. Sono un ragazzo di 31 anni e dal 27 agosto sono sposato con Letizia. 
Ad agosto del 2014 sono stato in pellegrinaggio a Medjugorie con mia moglie, e da lì la mia vita è completamente cambiata. Ho incontrato nel mio cuore la luce della vita, ho trovato quello che cercavo da sempre.. Ho trovato Gesù. Prima di quel pellegrinaggio non frequentavo la chiesa, non mi confessavo e non sapevo neppure quali fossero i comandamenti. Vivevo una vita qualunque, senza Dio ed immersa nel peccato, e la mia domanda più logorante era: perché vivo, a cosa servo io, perché esisto e soprattutto perché sento la mia anima così triste e arida? Ma la misericordia infinita di Dio e il suo volere, tramite la sofferenza mi hanno condotto a lui ed ora sono qui a portare questa testimonianza di "risorto dai morti". Ma raccontarle tutti i miracoli che il Signore mi ha concesso ci impiegherei ore e ore, e forse le farei perdere solo tempo prezioso e quindi ora sono qui per porle una domanda, a cui molte volte lei ha risposto, ma che proprio continua a non convincermi. Io e mia moglie abbiamo deciso di comune accordo di affidarci momentaneamente ai metodi naturali, in quanto ci stiamo ancora sistemando nell’appartamento provvisorio in cui viviamo affidatoci per breve tempo da mia suocera in previsione di costruire il prima possibile la nostra casa (quando ovviamente ci verrà concesso il mutuo) . Ma la nostra idea e grande desiderio è di avere dei figli. Le dico sinceramente che siamo un po’ intimoriti dal fatto che dobbiamo affrontare un mucchio di spese e che forse in questo momento per entrambi regna la paura di non farcela. Io e Letizia viviamo assieme da quando ci siamo sposati (3 settimane oggi) quindi non siamo ancora abituati alla convivenza con tutte le spese ci vanno dietro. Non dovremmo però preoccuparci di questo perché Gesù ci insegna che il Signore ha cura dei propri figli e di certo non li abbandona. E da qui nasce la domanda che mi riempie di dubbi. "Pianificare" i figli non vuol dire;" Signore, il terzo figlio non lo desideriamo. Ci apriamo comunque alla vita nei periodi infecondi, ma il nostro desiderio è fermarci qui perché non posso permettermi altri figli (esempio)". 
Ecco il dubbio. Ma la fiducia che dovrei riporre al Creatore non diventa un qualche modo un voler fare a modo mio e quindi escludere Dio dal disegno che (forse) avrebbe per me? Mi perdoni per quello che dico, ma sembra (un mio punto di vista da ignorante che sono, e sono felice se mi sbaglio) che in qualche modo la chiesa si sia adattata ad un mero pensiero mondano, adattandosi alla possibilità di controllare a proprio piacimento le nascite. Perché "paternità responsabile" la vedo come un "fare come voglio io"?
Per prima cosa ho paura di non fare la volontà di Dio e sopratutto di offenderlo sia astenendomi durante i periodi fecondi sia avendo rapporti nei periodi infecondi.
Mi fa ovviamente paura anche il pensiero di andare allo sbaraglio senza avere una paternità responsabile, ma il dubbio parte da un pensiero che dice: se hai fiducia in Dio non devi avere paura (riguardo ovviamente ad avere figli).

La ringrazio per il suo tempo e perdoni i miei dubbi. La ricorderò nelle mie povere preghiere.
Con affetto
Lorenzo


Risposta del sacerdote

Caro Lorenzo,
1. la generazione dei figli viene chiamata procreazione.
Non è una creazione, ma la cooperazione dell’uomo con  Dio.
Nell’atto procreativo l’uomo fornisce la materia, Dio infonde l’anima.

2. È vero che si deve essere fiduciosi nella divina Provvidenza.
Ma la fiducia in Dio non consiste nel rimuovere la nostra ragione per lasciar fare tutto a Lui.
Come nell’atto procreativo Dio e l’uomo fanno rispettivamente la loro parte, così anche nel governo della nostra vita dobbiamo camminare insieme con Dio facendo ognuno la propria parte.
La nostra parte, diversamente dagli animali che devono solo aver la briga di cercare per il momento, consiste nell’uso della ragione. Dio ce l’ha data per vedere il presente e per prevedere al futuro e provvedervi.

3. Provvedere, che deriva dal latino procul videre, significa vedere lontano.
Fidarsi della Divina Provvidenza significa anzitutto far uso della ragione.
Non sarebbe una buona fiducia nella divina provvidenza abdicare alle esigenze della ragione. Per qual motivo allora Dio ce l’avrebbe data?
Non è forse per l’esercizio della ragione che l’uomo è mirabilmente progredito nel settore tecnico? Pensiamo solo al pc che stiamo usando in questo momento.
L’uomo che usa la ragione dà gloria a Dio.

4. Questo deve avvenire in tutti gli ambiti della nostra vita, compresa la vita di famiglia.
Giustamente la Chiesa parla di paternità responsabile.
I genitori prima di mettere al mondo dei figli devono valutare le loro possibilità, a cominciare da quelle della loro salute fisica e psicologica, della loro età. Devono guardare alle loro possibilità logistiche ed economiche.
Per questo giustamente il Papa Paolo VI nell’enciclica Humanae vitae dice: “In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali la paternità responsabile si esercita sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato una nuova nascita” (HV 10).

5. Questo criterio era già stato ricordato dal Vaticano II nei seguenti termini: “I coniugi adempiranno il loro dovere con umana e cristiana responsabilità e, con docile riverenza verso Dio con riflessione e impegno comune si formeranno un retto giudizio, tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si prevede nasceranno, valutando le condizioni di vita del proprio tempo e del proprio stato di vita, tanto nel loro aspetto materiale che spirituale; e in fine, salvaguardando la scala dei valori del bene della comunità familiare, della società temporale e della stessa Chiesa” (Gaudium et spes 50).

6. Giovanni Paolo II il 18 marzo 1994 in un messaggio alla segreteria generale dell’ONU in vista di un congresso su popolazione e sviluppo ha voluto ricordare che per paternità responsabile non s’intende una «procreazione illimitata o mancanza di consapevolezza circa il significato di allevare figli, ma piuttosto la possibilità data alle coppie di utilizzare la loro inviolabile libertà saggiamente e responsabilmente, tenendo presente le realtà sociali e demografiche così come la propria situazione e i legittimi desideri”.
Tuttavia “la paternità responsabile, come espressione di un alto valore etico, in nessun modo è unilateralmente diretta alla limitazione ed ancor meno all’esclusione della prole: essa significa anche la disponibilità ad accogliere una prole più numerosa”. Così ugualmente si è espresso il medesimo Giovanni Paolo II il 5.9.1984.

7. Va ricordato anche sul numero dei figli il Concilio ha detto che “questo giudizio in ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi” (GS 50).

8. Certo il Magistero della Chiesa ha sempre avuto espressioni di elogio per le famiglie numerose, se volute responsabilmente.
In tal senso il Concilio ha detto: “I coniugi cristiani, confidando nella divina Provvidenza e coltivando lo spirito di sacrificio (1 Cor 7,5), glorificano il Creatore e tendono alla perfezione in Cristo quando adempiono alla loro funzione di procreare con generosa, umana e cristiana responsabilità.
Tra i coniugi che in tal modo soddisfano alla missione loro affidata da Dio, sono da ricordare in modo particolare quelli che con decisione prudente e di comune accordo, accettano con grande animo anche un gran numero di figli da educare convenientemente” (GS 50).
Tra l’altro, un altro documento del Magistero osserva che “dove i genitori sono generosi nell’accogliere la vita, è più facile che lo siano anche i figli allorché si tratti di offrirla a Dio” (Tra le molteplici, 34).
E anche papa Francesco in Amoris laetitia ha detto che “le famiglie numerose sono una gioia per la Chiesa. In esse l’amore esprime la sua fecondità generosa” (AL 167).

9. Per cui mi pare saggia la vostra decisione di aprirvi alla vita usando i cosiddetti metodi naturali.
Tra l’altro potete acquisire in questo momento un’adeguata conoscenza della corporeità e dei suoi ritmi di fertilità.
In merito a questo Paolo VI disse: “In rapporto ai processi biologici, paternità responsabile significa conoscenza e rispetto delle loro funzioni: l’intelligenza scopre, nel potere di dare la vita, leggi biologiche che fanno parte della persona umana” (HV 10).
E Giovanni Paolo II: “Bisogna far di tutto perché una simile conoscenza sia resa possibile a tutti i coniugi, e prima ancora alle persone giovani, mediante un’informazione e una educazione chiare, tempestive e serie, ad opera di coppie, di medici e di esperti” (Familiaris consortio 33).

Andate avanti così: aperti alla vita e fiduciosi in Dio senza abdicare alle decisioni che voi stessi dovete emettere davanti a Dio secondo i criteri della vostri criteri prudenziali.

Vi auguro ogni bene, vi ricordo al Signore e vi benedico.
Padre Angelo