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Quesito
Caro padre,
le volevo chiedere di parlare della Dignitatis Humanae ed, in particolar modo, di spiegare che cosa sia il "primato della coscienza personale" ed il suo rapporto con l’obbedienza che dobbiamo alla Chiesa.
Aspettando la sua risposta, la saluto e la ringrazio.
Michele
Risposta del sacerdote
Caro Michele,
1. la Dignitatis humanae è la dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa.
2. Tale dichiarazione afferma: “Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa.
Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata.
Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società” (DH 2).
3. Ricorda anche che “Cristo, che è Maestro e Signore nostro, mite ed umile di cuore, ha invitato e attratto i discepoli pazientemente. … Mandando gli apostoli nel mondo, disse loro: “Chi avrà creduto e sarà battezzato, sarà salvo. Chi invece non avrà creduto sarà condannato” (Mc 16,16), ma conoscendo che la zizzania è stata seminata con il grano, comandò di lasciarli crescere tutti e due fino alla mietitura che avverrà alla fine del tempo. (…)
Si presentò come il perfetto servo di Dio che “non rompe la canna incrinata e non smorza il lucignolo che fuma” (Mt 12,20). Riconobbe la potestà civile e i suoi diritti, comandando di versare il tributo a Cesare, ammonì però chiaramente di rispettare i superiori diritti di Dio: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21). (…)
Infatti rese testimonianza alla verità, però non volle imporla con la forza a coloro che la respingevano. Il suo regno non si erige con la spada ma si costituisce ascoltando la verità e rendendo ad essa testimonianza, e cresce in virtù dell’amore con il quale Cristo esaltato in croce trae a sé gli esseri umani” (DH 11).
4. Fatte queste premesse, vengo direttamente alla tua domanda: il rapporto tra il "primato della coscienza personale" e l’obbedienza che dobbiamo alla Chiesa.
Va detto anzitutto che la coscienza non è infallibile, si può sbagliare.
Lo ricorda Giovanni Paolo II in Veritatis splendor: “Il monito di Paolo ci sollecita alla vigilanza, avvertendoci che nei giudizi della nostra coscienza si annida sempre la possibilità dell’errore. Essa non è un giudice infallibile: può errare. Nondimeno l’errore della coscienza può essere il frutto di una ignoranza invincibile, cioè di un’ignoranza di cui il soggetto non è consapevole e da cui non può uscire da solo.
Nel caso in cui tale ignoranza invincibile non sia colpevole, ci ricorda il Concilio, la coscienza non perde la sua dignità, perché essa, pur orientandoci di fatto in modo difforme dall’ordine morale oggettivo, non cessa di parlare in nome di quella verità sul bene che il soggetto è chiamato a ricercare sinceramente (VS 62).
La coscienza che è nell’ignoranza invicibile e incolpevole, come nel caso di tanti non cristiani in buona fede, va seguita.
Infatti qui uno crede di obbedire alla verità, a Dio, anche se di fatto si sbaglia.
5. Per un cristiano invece non è possibile anteporre il proprio giudizio al giudizio del Magistero.
Il cristiano infatti sa che Cristo ha garantito solo al Magistero l’infallibilità nell’insegnamento della fede e della morale.
E sa pure che Cristo a lui personalmente tale infallibilità non l’ha garantito, anzi ha detto di ascoltare gli apostoli e i loro successori: “Chi ascolta voi, ascolta me e chi disprezza voi, disprezza me” (Lc 10,16).
6. Per questo la Dignitatis humanae afferma: “I cristiani nella formazione della loro coscienza, devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della Chiesa.
Infatti per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità e sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana” (DH 14).
7. Nella Gaudium et spes viene detto: “Nella loro linea di condotta i coniugi cristiani siano consapevoli che non possono procedere a loro arbitrio, ma devono sempre essere retti da una coscienza che sia conforme alle legge divina stessa, docili al magistero della Chiesa, che in modo autentico quella legge interpreta alla luce del Vangelo” (GS 51).
Si comprende allora come mai l’episcopato italiano, presentando ai fedeli l’Enciclica Humanae vitae, abbia detto: “I fedeli accolgano con spirito di fede l’insegnamento del Vicario di Cristo. Esso è elemento essenziale per la formazione della loro coscienza, perché il loro giudizio possa risultare conforme al volere di Dio”.
Ciò significa concretamente che qualora vi fosse discrepanza tra la propria opinione e il magistero ecclesiastico, consapevoli che Cristo non ha garantito ai singoli l’infallibilità del giudizio e che invece l’ha garantita al Magistero, i credenti, proprio perché vogliono lasciarsi condurre da Cristo, preferiranno il giudizio del Magistero alla loro opinione.
8. S. Tommaso ricorda che “contro l’autorità della Chiesa né Girolamo, né Agostino, né altri santi dottori osarono difendere la propria sentenza” (Somma teologica, II-II, 11, 2, ad 3).
Riporta poi il pensiero di S. Girolamo: “Questa è la fede, o beatissimo Padre, che abbiamo appreso nella Chiesa Cattolica. E se nella nostra formulazione abbiamo detto o posto qualcosa di inesatto o di avventato, desideriamo di essere corretti da te, che possiedi la fede e la cattedra di Pietro. Se invece questa nostra confessione è approvata dal tuo giudizio apostolico, chiunque vorrà accusarmi dimostrerà di essere ignorante o malevolo, oppure non cattolico, ma eretico’” (Pelagio Exp. Cath. fidei, 14).
9. Pertanto in materia di fede o di morale non è possibile sostenere il primato della coscienza a dispetto del Magistero.
Aver fede comporta anche il dovere di lasciarsi condurre, nella consapevolezza di non avere l’evidenza delle cose.
È nel concetto stesso di fede vi è che uno aderisca fidandosi, senza avere l’evidenza.
Questo è ancor più vero per la fede cattolica a motivo della garanzia di infallibilità che Cristo ha promesso al Magistero.
Ti ringrazio del quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo