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Quesito
Padre Angelo,
in Francia è da oggi cambiata una frase del Padre nostro, invece di "non indurci in tentazione" si deve dire "non farci entrare in tentazione".
Io sono ignorante in lingue antiche e delle persone più preparate di me hanno certamente studiato la correttezza della traduzione ma la mia ragione capisce qualcosa che mi pone di fronte alla coscienza.
Nella nuova frase io capisco quello che vuol dire letteralmente, cioè che chiediamo di non essere tentati, di non entrarci neanche. Ma in coscienza mi dico che sbaglio a chiedere ciò al Padre. I santi e Gesù stesso sono stati provati dalla tentazione, posso io chiedere di non entrarvi? Essendo infinitamente più debole di loro spiritualmente semmai chiederò di non perdere nella lotta, di non cadere durante la tentazione, pur sapendo che il Signore non permette prove al di sopra della nostra capacità di affrontarle con la Sua grazia. Ma la prova superata è esercizio meritorio, permette l’avanzamento nella fede, penso.
Ecco cosa capisco dalla frase tradotta a nuovo e cosa, dicendola, mi dà remore, come di chi dice una cosa che non pensa e non vuole.
Al catechismo ci spiegavano che "indurre" era inteso come "non cedere", ma "entrare" mi sembra una parola più chiara nel significato, forse perchè parola usata comunemente, e quindi la mia ragione fatica a trovarle un secondo senso.
Potrei a suo giudizio recitarla a voce bassa in italiano o sbaglio perché a Messa devo seguire le parole che dicono gli altri?
La ringrazio per un consiglio in merito.
Cordiali saluti
Monica
Risposta del sacerdote
Cara Monica,
1. il sito dell’ordine domenicano (versione francese) ha riportato un’intervista fatta ad un nostro confratello sulla mutata traduzione.
Il titolo dell’intervista era già di per sé significativo: “La nuova traduzione della preghiera del Signore non risolve il problema teologico".
Questo nostro confratello, fra Jocelyn Dorvault, ha detto in sintesi quanto ha scritto in un libro pubblicato di recente che spiega la storia, i motivi e i limiti di questa nuova traduzione.
1. In sostanza ha detto che la formula in uso fino ad ora “Non sottometterci alle tentazioni” è stata discussa da quando è stata adottata.
Se i vescovi francesi l’hanno adottata nel 1966 e con una maggioranza ristretta è stato principalmente per una preoccupazione ecumenica. I protestanti credevano che quella usata fino ad allora “Non lasciarci cedere alla tentazione” fosse troppo lontana dal testo.
In effetti chiedere a Dio di non "sottoporci alla tentazione" pone diversi problemi.
Il primo è legato alla parola tentazione, che avrebbe potuto essere tradotta piuttosto con prova, che ha un significato più ampio.
2. Più che a salvarci da tutte le tentazioni davanti a una pasticceria, ciò che chiediamo a Dio è di salvarci mentre quando siamo sopraffatti da prove molto ardue e rischiamo la disperazione che può farci perdere la fede.
3. Il problema soprattutto è di sapere se Dio ha parte nel male che ci colpisce.
Il pensiero che egli ci può sottoporre alla prova perché ci si persuada della possibilità di resistergli o di purificarci esisteva nell’ebraismo antico. Lo stesso San Paolo lo riprende nelle sue epistole, e questo concetto teologico è presente anche oggi presso alcuni, sebbene non siano la maggioranza.
Già l’apostolo Giacomo mise in guardia contro ciò che considerava un errore: "Nella prova della tentazione, nessuno dica: ‘‘La mia tentazione viene da Dio’. Dio, infatti, non può essere tentato di fare il male, e lui stesso non tenta nessuno", scrive nella sua lettera (Gc 1,12-14).
Nella guarigione del cieco nato Gesù stesso aveva respinto ogni correlazione tra il male che ci colpisce e il nostro peccato. Dio non ha niente a che fare con il male!
4. In breve, la traduzione adottata dal 1966 non è mai stata unanime.
Nel 2004, gli ortodossi furono i primi ad abbandonarla.
La Conferenza dei Vescovi di Francia ha deciso di cambiare nel 2012: l’anno successivo la nuova traduzione è stata approvata da Roma e la sua attuazione è stata decisa per il dicembre 2017. Non è quindi non una decisione opportunista!
5. Come si è visto, la Chiesa francese ha già ritradotto più volte quest’invocazione.
Questo è tanto più normale dal momento che si presume che Gesù l’abbia pronunciato in aramaico.
Noi abbiamo solo due diverse testimonianze, che sono una traduzione in greco.
La Sacra Scrittura è già di per sé un processo di traduzione e quindi di interpretazione.
6. Nella sua versione del Padre Nostro, Matteo aggiunge elementi che non si trovano in Luca. Oppure sceglie, ad esempio, la parola "debiti", evocativa per gli ebrei, mentre San Luca che si rivolge a un pubblico pagano preferisce "offese" che è più chiaramente connessa con il peccato.
Evidentemente ognuno traduce nel modo che gli sembra più appropriato per assicurarsi che il messaggio passi.
7. La nuova formula adottata dai Vescovi di Francia rimane fedele al testo greco e ha il vantaggio di ridurre al minimo la responsabilità di Dio nel processo che ci colpisce.
Non è più Dio che è la fonte del male.
Ma ha anche lo svantaggio di non farlo scomparire completamente: gli chiediamo di evitare che entriamo in tentazione.
Ma allora, se entriamo, significa che ha permesso e voluto?
8. L’altro problema teologico è che ci fa chiedere a Dio di venire incontro alla nostra libertà: la formula implica che l’uomo sarebbe naturalmente incline al peccato e che Dio dovrebbe ostacolare la sua libertà per evitare di soccombere ad esso.
Ma no, l’uomo è naturalmente incline alla bontà ed è il male che lo stravolge!
Gesù non cessa nel Vangelo di invitarci alla libertà interiore e dirci che Dio si fida di noi…
9. Personalmente penso che il risultato non sia del tutto soddisfacente.
Ma andare oltre avrebbe richiesto di prendere maggiore distanza dal testo greco (come ha fatto la versione precedente).
Siamo in una vecchia tensione tra fedeltà al testo ricevuta dalla tradizione e libertà di interpretazione.
10. In ogni caso ciò che dobbiamo ricordare, qualunque sia la traduzione scelta, è che Dio non è mai dalla parte del male ma sempre dalla parte di chi soffre.
La preghiera della preghiera del Signore non può significare che Dio ci sta sottoponendo a qualcosa che ci ferisce o ci uccide.
Il pensiero di questo nostro confratello è chiaro. Mi pare di poter arguire che sarebbe stato più contento se si fosse tradotto: “Aiutaci a non cedere nelle prove”.
Ma teme che ci si stacchi troppo dal testo greco, che per noi è l’originale.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo