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Quesito
Caro P. Angelo,
sono G. scrivo per sottoporLe un problema di ordine morale.
Io e mia moglie, per oltre 15 anni di comune accordo abbiamo usato i metodi naturali sempre con ottimo successo. Adesso non esistono più le condizioni (si avvicina per lei la menopausa) per usarli e siamo alle prese con tanti dubbi per cui abbiamo fatto ricorso al preservativo. Alla nostra età i rischi di una gravidanza sono tanti e le percentuali di un figlio non sano sono tante. Io in coscienza mi sento sereno e responsabile (paternità e maternità responsabile……Humanae vite).
Però l’altro giorno confessandomi il sacerdote mi ha negato l’assoluzione e ciò mi ha turbato tanto, da allora non faccio più la comunione.
Come comportarmi? Continuare a confessarmi pur sapendo di continuare? Le confesso che soffro tanto.
Grazie aspetto una sua illuminante risposta.
Risposta del sacerdote
Carissimo G.,
le valutazioni sui rischi che può comportare la nascita di un bambino alla vostra età sono giuste. E corrispondono esattamente all’insegnamento della Chiesa sulla paternità responsabile.
Dici anche che per 15 anni avete fatto ricorso con ottimo successo ai metodi naturali di fertilità e infertilità.
Sono certo che tu e tua moglie siate stati ben contenti e perfettamente appagati nell’aver seguito le indicazioni di Dio e della Chiesa.
Non ci sono mai rimpianti nell’essersi fidati di Dio.
Adesso però sono giunti i problemi relativi alla menopausa. E hai pensato di correre all’uso di un contraccettivo.
Credo che tu stesso ti sia accorto della profonda differenza che esiste tra un atto coniugale compiuto secondo la legge di Dio e un atto coniugale compiuto secondo l’arbitrio umano. Ho sentito diverse persone che mi hanno detto: ma quest’ultimo non è più un atto di amore.
E mi hanno confermato attraverso la loro esperienza quanto diceva Giovanni Paolo II: “Quando i coniugi scindono questi due significati che Dio creatore ha iscritti nell’essere dell’uomo e della donna e nel dinamismo della loro comunione sessuale… manipolano e avviliscono la sessualità umana, e con essa la persona propria e del coniuge, alterandone il valore di donazione totale” (Familiaris consortio, 32).
E ancora: “Nell’atto coniugale non è lecito separare artificialmente il significato unitivo dal significato procreativo perché l’uno e l’altro appartengono alla verità intima dell’atto coniugale: l’uno si attua insieme all’altro e in certo senso l’uno attraverso l’altro. Quindi l’atto coniugale privo della sua verità interiore, perché privato artificialmente della sua capacità procreativa, cessa di essere atto di amore” (22.8.1984).
2. Va ricordato anche che il ricorso ai ritmi naturali di fertilità e infertilità non può essere usato alla stregua di un contraccettivo. Perché un atto sia conforme alla norma morale si richiede senz’altro la conformità oggettiva alla norma morale, ma anche la retta intenzione.
A questo proposito Giovanni Paolo II nella lettera alle famiglie Gratissimam sane ricordava che “la persona non può mai essere considerata un mezzo per raggiungere uno scopo; mai, soprattutto, un mezzo di “godimento”. Essa è e dev’essere solo il fine di ogni atto. Solo allora corrisponde alla vera dignità della persona” (GrS 12).
Il ricorso ai ritmi naturali dovrebbe conferire agli sposi la capacità di autodominio anche per quei periodi in cui, per cause indipendenti dalla loro volontà e per periodi più o meno lunghi, devono praticare l’astinenza sessuale.
A questa castità si riferisce certamente anche un passo di un documento del Pontificio Consiglio per la famiglia: “Di fatto capitano in un modo o nell’altro, per periodi di più breve o di più lunga durata, delle situazioni in cui siano indispensabili atti eroici di virtù” (La sessualità umana: verità e significato, n. 19).
Secondo me, questo periodo è giunto anche per te e per tua moglie.
È un tempo di astinenza sessuale, ma non di amore vero.
3. Ma penso che tu convenga in linea di diritto su tutto questo. E lo mostra il fatto che hai avvertito un disordine e te ne sei confessato. Ciò significa che ti dispiace di non esserti comportato come vuole il Signore.
Il problema invece è la negazione dell’assoluzione data dal confessore.
A questo proposito bisogna dire che è sempre difficile entrare nel merito di una confessione e giudicarla dall’esterno, perché manca la possibilità di valutarla dal suo interno e vedere come si è svolta. E qui il sacerdote confessore non può riferire a nessuno che sia esterno alla confessione, neanche al papa, i motivi del suo comportamento.
Dal momento che il confessore ti ha negato l’assoluzione, tu hai fatto bene ad omettere la Santa Comunione.
E a questo punto mi sento anch’io partecipe della tua grande sofferenza.
Se io mi fossi trovato al posto del tuo confessore, ti avrei ricordato quanto ti ho detto sopra e ti avrei anzitutto esortato nella maniera più viva a crescere nell’amore vivendo temporaneamente in astinenza sessuale.
E se tu mi avessi detto che ci sono state delle cadute, ma che ci avresti messo buona volontà, e che tuttavia non saresti stato sicuro di te stesso e che pertanto non potevi dare garanzie assolute, ti avrei detto di non scoraggiarti, ma di ricorrere “con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita nel sacramento della Penitenza” (Humanae vitae, 25).
Quando Paolo VI invita i coniugi all’umile perseveranza alla misericordia di Dio, con ciò stesso chiede ai sacerdoti di elargire questa misericordia, dando l’assoluzione.
Un documento preparato dal pontificio consiglio per la famiglia, Vademecum per i confessori (12.2.1997), dice espressamente che “comunque la recidiva nei peccati di contraccezione non è in se stessa motivo per negare l’assoluzione; questa non si può impartire se mancano il sufficiente pentimento o il proposito di non ricadere in peccato” (n.5).
E ancora: “A chi, dopo aver peccato gravemente contro la castità coniugale, è pentito e, nonostante le ricadute, mostra di voler lottare per astenersi da nuovi peccati, non sia negata l’assoluzione sacramentale. Il confessore eviterà di dimostrare sfiducia nei confronti sia della grazia di Dio, sia delle disposizioni del penitente, esigendo garanzie assolute, che umanamente sono impossibili, di una futura condotta irreprensibile, e cioè secondo la dottrina approvata e la prassi seguita dai Santi Dottori e confessori circa i penitenti abituali” (n.11).
4. Il consiglio che ti posso dare ora è il seguente: vai di nuovo a confessarti. Accuserai questo peccato dicendo che il sacerdote precedente ti ha negato l’assoluzione. Dirai che ne sei pentito, che hai provato a porvi rimedio, ma che vi sei caduto di nuovo e che chiedi umilmente la misericordia del Signore. Gli dirai anche che l’astinenza dalla santa Comunione è una grande sofferenza per te e che proprio l’Eucaristia è il cibo che ti dà forza per il combattimento.
Non penso che il sacerdote ti negherà l’assoluzione.
5. Ti prometto una particolare preghiera perché il Signore aiuti te e illumini anche il tuo confessore.
Ti ringrazio della fiducia che hai riposto nel nostro sito, ti saluto e ti benedico.
Padre Angelo