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Quesito

Caro Padre Angelo,
in primo luogo vorrei ringraziare di cuore sia lei che lo staff di Amici Domenicani per il preziosissimo servizio che offrite a tutti noi. Pregherò per voi affinché la vostra rubrica possa essere sempre un valido ed autorevole strumento di evangelizzazione.
Vorrei approfondire con lei un argomento molto delicato e di grande attualità: il comportamento che in coscienza deve assumere il reo in materia criminale secondo il Magistero della Chiesa Cattolica.
Si tratta di un tema già affrontato nella sua rubrica in occasione di alcuni precedenti quesiti.
In sintesi, mi è parso di capire che secondo la teologia morale tradizionale il reo non è tenuto in coscienza ad autodenunciarsi, né a confessare il proprio reato o a deporre sotto giuramento.
Inoltre un confessore non può condizionare la concessione dell’assoluzione sacramentale all’obbligo di costituirsi alle autorità, a meno che ciò non sia l’unico modo per riparare le conseguenze del reato commesso (in pratica, il colpevole ha l’obbligo di autodenunciarsi solo se un innocente è stato irrimediabilmente condannato al suo posto).
Secondo il mio modesto parere, è da condividere il principio in base al quale il reo non è tenuto a costituirsi alle autorità, o comunque a fare in modo che venga posto in essere un procedimento giudiziario contro se stesso.
Ed infatti, il compito di perseguire il reo spetta fondamentalmente alla legittima autorità costituita, previa debita denuncia da parte della persona offesa dal reato (o di un terzo), oppure d’ufficio nei casi previsti dalla legge.
In proposito, occorre riflettere sul fatto che la vittima del reato potrebbe per validi motivi scegliere di rinunciare a far perseguire il colpevole, ad esempio qualora decida in cuor suo di concedergli il proprio perdono in nome della carità e della misericordia: ho sentito parlare di episodi del genere realmente accaduti che hanno sortito come effetto la conversione di delinquenti abituali (un risultato che non era arrivato neppure dopo numerose condanne giudiziarie).
Anche la pubblica autorità potrebbe legittimamente rinunciare a far valere la propria pretesa punitiva tramite istituti quali l’amnistia, la grazia, l’indulto, oppure in considerazione del tempo trascorso dal verificarsi del reato.
L’istituto della prescrizione, tra l’altro, è previsto non solo dal Codice Civile e Penale ma anche dal Codice di Diritto Canonico (cfr. cann. 197, 198, 199, 1362 e 1363).
Tutto ciò premesso, credo sinceramente che qualora il reo sia sinceramente pentito del proprio peccato e venga chiamato a rispondere delle proprie azioni in un regolare processo (quindi unicamente allorquando sia stato denunciato o incriminato d’ufficio), dovrebbe sentirsi intimamente disposto ad ammettere sinceramente le proprie responsabilità e a collaborare con la giustizia.
Ad ogni modo, ritengo sia obbligato in coscienza ad astenersi dal fondare la propria difesa su menzogne tendenti a distorcere la realtà dei fatti pur di ottenere un verdetto di assoluzione.
In caso contrario, a mio avviso, peccherebbe gravemente contro la virtù della verità e sarebbe responsabile di avere impedito alle vittime del suo reato e alla società in generale di ottenere adeguata giustizia.
In proposito, mi sembrano indicativi alcuni passi della "lettera pastorale del Santo Padre Benedetto XVI ai cattolici dell’Irlanda" del 19/03/2010.
In questo documento il Papa, rivolgendosi ai sacerdoti e ai religiosi che hanno commesso abusi sessuali su minori, ha scritto quanto segue: "Avete tradito la fiducia riposta in voi da giovani innocenti e dai loro genitori. Dovete rispondere di ciò davanti a Dio onnipotente, come pure davanti a tribunali debitamente costituiti. Avete perso la stima della gente dell’Irlanda e rovesciato vergogna e disonore sui vostri confratelli. Quelli di voi che siete sacerdoti avete violato la santità del sacramento dell’Ordine Sacro, in cui Cristo si rende presente in noi e nelle nostre azioni. Insieme al danno immenso causato alle vittime, un grande danno è stato perpetrato alla Chiesa e alla pubblica percezione del sacerdozio e della vita religiosa. Vi esorto ad esaminare la vostra coscienza, ad assumervi la responsabilità dei peccati che avete commesso e ad esprimere con umiltà il vostro rincrescimento. Il pentimento sincero apre la porta al perdono di Dio e alla grazia del vero emendamento. Offrendo preghiere e penitenze per coloro che avete offeso, dovete cercare di fare personalmente ammenda per le vostre azioni. Il sacrificio redentore di Cristo ha il potere di perdonare persino il più grave dei peccati e di trarre il bene anche dal più terribile dei mali. Allo stesso tempo, la giustizia di Dio esige che rendiamo conto delle nostre azioni senza nascondere nulla. Riconoscete apertamente la vostra colpa, sottomettetevi alle esigenze della giustizia, ma non disperate della misericordia di Dio".
A mio modesto avviso, analizzando le frasi che ho evidenziato mi pare evidente che il Papa esiga dai responsabili dei suddetti abusi un comportamento conforme alle virtù della verità e della giustizia, qualora la pubblica autorità legittimamente costituita li chiami a rispondere delle proprie colpe in sede processuale, sia civile che canonica. Credo che questo principio possa essere valido per tutti (chierici, religiosi e laici) e per qualsiasi fattispecie di reato.
Ritengo però che nella suddetta lettera il Papa non intendesse dire che i responsabili degli abusi su minori debbano autodenunciarsi o agire in modo tale da far porre in essere un procedimento giudiziario contro sè stessi.
Ciò mi pare comprovato dal fatto che in data 21/05/2010 lo stesso Pontefice ha approvato la riforma del testo concernente le "Normae de gravioribus delictis" (comprendenti anche i delicta contra mores quali gli abusi su minori), che all’art.7 ha previsto tra l’altro l’ampliamento a vent’anni del termine di prescrizione dell’azione criminale (fatto salvo il diritto della Congregazione per la Dottrina della Fede di derogarvi per singoli casi).
Mi pare evidente che se il Papa avesse voluto prevedere l’obbligo di autodenuncia per i delitti concernenti gli abusi su minori avrebbe dovuto disporre espressamente l’imprescrittibilità degli stessi, posto che sarebbe palesemente contraddittorio imporre al reo l’obbligo di autocostituirsi e nel contempo premiare la perdurante inosservanza di quest’obbligo con l’estinzione del reato.
Sono altresì convinto del fatto che il reo, per assumersi fino in fondo le proprie responsabilità, dovrebbe accettare umilmente di scontare la pena che gli viene inflitta, sempre che questa sia giusta, vale a dire proporzionata al reato e finalizzata alla sua rieducazione.
In proposito, trovo molto pertinente il Catechismo della Chiesa Cattolica quando afferma che "la pena ha innanzi tutto lo scopo di riparare il disordine introdotto dalla colpa. Quando è volontariamente accettata dal colpevole, essa assume valore di espiazione. La pena poi, oltre che a difendere l’ordine pubblico e a tutelare la sicurezza delle persone, mira ad uno scopo medicinale: nella misura del possibile, essa deve contribuire alla correzione del colpevole" (CCC 2266).
Ci terrei molto a conoscere la sua opinione su tutte le questioni che ho sottoposto alla sua attenzione.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. ti ringrazio vivamente per la precisione con cui hai riassunto il mio pensiero, che è anche il pensiero comune della teologia morale.
Ti ringrazio per le preziose ulteriori osservazioni che hai fatto.
Ti ringrazio anche per aver riportato a beneficio di tutti un passaggio del Papa nella lettera agli irlandesi a proposito degli abusi sessuali.

2. Ed è proprio in riferimento a questi abusi e per quello che lasciano nella vita di chi ne è stato vittima che il Papa esorta non ad autodenunciarsi, come giustamente sottolinei, ma ad ammettere davanti al tribunale civile le proprie colpe.
Questa ammissione può costituire per le vittime l’inizio di una guarigione interiore, come ha testimoniato una di esse (Marie Collins) al recente al Congresso tenutosi alla Pontificia università gregoriana (10 febbraio 2012).
Questa donna, che all’età di 13 anni durante una degenza ospedaliera aveva subìto abuso sessuale da parte del cappellano, ne ha risentito gravemente nel corso della sua esistenza, necessitando anche di ricoveri in psichiatria.
Sebbene siano passati circa 50 anni da quei fatti drammatici, solo di recente quando il sacerdote accusato da altri ha ammesso in tribunale quanto aveva compiuto, lei ha cominciato a guarire.

3. Ecco secondo me lo stralcio più incisivo della sua testimonianza: “Ho fatto molte cure per i miei problemi di salute mentale, alcune delle quali sono state utili, ma nessuna ha risolto i miei problemi. L’inizio della guarigione per me è stato il giorno in cui il mio aggressore in tribunale ha riconosciuto la propria responsabilità per le sue azioni ed ha ammesso la sua colpa.
Questa ammissione ha prodotto un effetto profondo su di me. Il tempo mi ha permesso di perdonare ciò che aveva fatto e di non sentire più lui come una presenza nella mia vita”.
E ha concluso dicendo: “Spero che quanto abbiamo detto vi sia di aiuto nella comprensione delle vittime di questo orrendo crimine”.

4. Alla luce di questa testimonianza possiamo comprendere quanto sia esatta la richiesta del Papa.
La riparazione, che è sempre richiesta in qualche forma, qui richiede anche la forma dell’umile ammissione personale.
Quest’umile ammissione personale è richiesta, dice il Papa, dalla giustizia stessa di Dio. Solo con questa volontà di riparare si può ottenere la sua misericordia: “la giustizia di Dio esige che rendiamo conto delle nostre azioni senza nascondere nulla. Riconoscete apertamente la vostra colpa, sottomettetevi alle esigenze della giustizia, ma non disperate della misericordia di Dio”.

5. Quanto ha detto il Papa vale non solo per i chierici che hanno abusato, ma per qualunque altro.
È una bella lezione, che pur nel suo contesto drammatico e vergognoso, rende onore alla limpidezza e alla santità del magistero della Chiesa.

Ti ringrazio anche della preghiera che hai promesso per me e per lo staff di amicidomenicani. Ci auguriamo che sia efficace quanto esatto e puntuale è stato il tuo intervento.
Ti assicuriamo la nostra e intanto, mentre ti saluto, ti benedico.
Padre Angelo