Questo articolo è disponibile anche in: Italiano
Quesito
Caro P. Angelo,
ho sentito da un famoso filosofo che:-
Il concetto di anima è estraneo alla tradizione giudaico-cristiano e che lo stesso è stato preso in prestito dalla cultura greca ed introdotto da S. Agostino nel cristianesimo (diversi secoli dopo l’avvento di Cristo);
Il significato di anima, così come lo intendiamo, non è contemplato né nel vecchio dove si parla di nefes – che in ebraico significa "vita" e tutto ciò che concorre alla vita – né nel nuovo testamento;
La Chiesa primitiva era legata al concetto di corpo, infatti alle origini ci si è "concentrati" sul concetto di resurrezione della carne.
Se fosse vero quanto sopra riportato non avrebbero senso alcune cose… tipo pregare per le anime dei defunti ecc.
In attesa di una sua chiarificazione, la ricordo nelle mie preghiere
Giovanni
Risposta del sacerdote
Caro Giovanni,
1. dici che “il concetto di anima è estraneo alla tradizione giudaico-cristiano”.
Questo è vero fino ad un certo punto.
È vero che nell’Antico Testamento si parla di nefesh. E questo termine significa il tutto dell’uomo e non una sua parte.
Nefesh è la stessa cosa che dire essere vivente, come si evince da Gn 2,7: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”.
2. Tuttavia già presso gli antichi ebrei era presente il concetto di sopravvivenza.
Non pensavano alla sopravvivenza dell’anima come pensiamo noi oggi, ma a qualcosa simile ad un’ombra.
Certo le ombre sono tutte più o meno uguali e non c’è in esse niente di vivo.
Per questo per gli antichi ebrei la vera vita era quella presente, tanto che in un salmo dicevano: “Compi forse prodigi per i morti? O si alzano le ombre a darti lode?” (Sal 88,11).
3. Il concetto di sopravvivenza già nell’Antico Testamento si è evoluto e ad un certo momento si è cominciato a parlare di retribuzione.
Evidentemente la retribuzione non la si dà ad un’ombra, ma ad un essere vivente.
Sicché nel libro della Sapienza (scritto in greco) si legge: “Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà” Sap 3,1).
Qui per anima non s’intende il nefesh, ma quello che intendevano i greci, e cioè l’elemento vivificante del corpo, che è di natura razionale e quindi spirituale e immortale.
Viene designato col termine psyché e sta ad indicare la vita che continua, sebbene separata dal corpo.
4. Interessante quanto scrive il biblista McKenzie: “L’autore del libro è stato sfiorato dalla filosofia greca molto lievemente e non è a conoscenza delle complessità del concetto greco” (cf. Dizionario biblico, voce anima).
Ciò significa che l’elaborazione della sopravvivenza e della retribuzione nell’Antico Testamento è presente in proprio, e non è mutuata dalla cultura greca se non marginalmente.
5. Del resto anche Giobbe, sebbene non parli di anima, si dichiara persuaso che nella vita futura vedrà Dio: “Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio” (Gb 19,26).
Certo Dio non si può vedere con la carne essendo Egli purissimo spirito.
La carne è una realtà di ordine materiale e può cogliere solo realtà materiali, mentre quelle spirituali le sfuggono.
Allora se Giobbe vedrà Dio senza la sua carne con che cosa lo vedrà?
Evidentemente lo vedrà con la sua anima.
Quando poi poco dopo aggiunge: “Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro” (Gb 19,27) sembra alludere alla risurrezione.
Quell’io stesso che sopravvive è il nefesh.
6. La prestigiosa Bibbia di Gerusalemme scrive: “L’espressione la mia anima equivale spesso al pronome riflessivo io stesso, proprio come la mia vita, la mia faccia, la mia gloria.
Questi diversi sensi dell’anima saranno presenti anche nel Nuovo Testamento (psyché)” (nota al Sal 6,5).
6. Il tuo professore ha detto che il concetto di anima non sarebbe contemplato né nell’Antico Testamento né nel Nuovo.
Abbiamo visto che invece nell’Antico Testamento è parzialmente contemplato come elemento separato dal corpo.
Così anche nel Nuovo Testamento, dove per anima (termine usato abbondantemente col nome di psyché) non s’intende semplicemente l’anima separata, ma il proprio io, la propria vita.
In questo senso Gesù dice: “Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?” (Mt 16,26).
La traduzione italiana precedente al posto di vita, metteva anima. Ma infine si tratta della stessa cosa.
7. Ma è presente anche come realtà che trascende il corpo e gli sopravvive come emerge in Mt 10,28: “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo”.
Per questo la Bibbia di Gerusalemme dopo aver osservato che “per Paolo come per la tradizione biblica la psyché (ebraico nefesh) è il principio vitale che anima il corpo umano (1 Cor 15,45)”, che “è la sua vita, la sua anima vivente e può servire a designare tutto l’uomo”, e dopo aver detto che questa psyché ha bisogno di cedere il posto al pneuma, e cioè allo spirito e alla grazia santificante perché l’uomo ritrovi la vita divina già fin d’ora, ma soprattutto “nella risurrezione del corpo mediante lo Spirito” conclude: “In un senso più largo anche psyché può designare l’anima in opposizione al corpo, la sede della vita morale e dei sentimenti (Fil 1,27; Ef 6,6; Col 3,23…) e anche l’essere spirituale e immortale (Mt 10,28.39p; At 2,27; Gc 1,21; 5,20; 1 Pt 1,9; Ap 6,9; ecc.)” (nota a 1 Cor 15,44).
8. Come vedi, si tratta di convincimenti ben anteriori a Sant’Agostino e radicati profondamente nella mentalità biblica, anche se il concetto di anima nella Bibbia non corrisponde a quello di Platone dove l’anima è contrapposta al corpo, il quale sarebbe solo un carcere e un luogo di purificazione dell’anima per una colpa commessa nell’iperuranio (e cioè in una vita celeste, anteriore alla vita presente).
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo