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Quesito
Caro Padre,
Le scrivo in relazione alla morale sessuale all’interno del matrimonio, di cui trovo scritto poco nel Catechismo della Chiesa Cattolica e di cui nulla ci è stato detto durante il corso prematrimoniale in parrocchia.
Come forse la maggior parte dei giovani che si accostano al matrimonio, anch’io pensavo che tutto sarebbe stato naturale e spontaneo e che i bei discorsi sulla donazione reciproca durante l’intimità fossero ovvi. Ma al di là della teoria, la realtà è più complicata. Ho imparato che la psicologia maschile e quella femminile sono profondamente diverse e se si fa un discorso univoco in nome dell’uguaglianza si è ipocriti. Per la maggior parte delle donne il sesso non è prioritario e, soprattutto con la maternità, il loro interesse nei suoi confronti scema. Per un uomo il sesso è la componente forse principale di un rapporto e numerose sono le degenerazioni (sfruttamento della prostituzione, violenze e abusi) di cui giustamente ci si scandalizza ma che spesso sono anche il frutto di una mentalità maschilista e dell’esistenza di una doppia morale in famiglia.
Ho letto che la Chiesa considera peccato rifiutare al coniuge rapporti sessuali, ma sappiamo bene tutti che questo rifiuto nella maggior parte dei casi è della donna e che un uomo raramente rifiuta di fare sesso…quindi questa condanna penalizza di fatto le donne.
Bisognerebbe chiedersi però: perché l’uomo vuol farlo? Perché ama di un amore più oblativo forse? Perché moralmente migliore? Spesso è solo per appagamento fisico, per un piacere egoistico (soprattutto se vede l’altra maldisposta) o per un meccanico scaricamento di qualche tensione emotiva…E perché la donna invece non vuole? Magari perché è stanca e stressata da giornate interminabili in cui è stata professionista e casalinga, moglie, madre, figlia di genitori anziani…magari perché attanagliata da pensieri e preoccupazioni…
Dunque mi chiedo: ma davvero devo sentirmi una ladra che ruba un diritto di default acquisito all’altare se non mi sento di fare sesso a comando? Sicuramente non sarò generosa, ma al massimo si potrà dire che il mio egoismo si scontra con quello di mio marito… (e una volta cederò io, un’altra lui…), ma mi sembra un po’ ingiusto ritenere che lui sia sempre nel diritto ed io una peccatrice.
Si dice che l’astensione forzata porti il coniuge (leggi marito) a cercare altrove i suoi sfoghi… ma così si considera l’uomo al pari di un animale! Dominato dall’istinto e legato alla moglie solo per la genitalità…e dunque anche facilmente sostituibile…e io dovrei essere regolatrice implicita delle sue pulsioni! Ma questo ha ben poco della donazione, dell’amore oblativo, dell’essere una carne sola di cui parlano le Scritture…
Per me fare l’amore (e non fare sesso, che è cosa che non mi interessa più, con l’età, e che donerei al coniuge davvero solo per amore) dovrebbe significare il gesto intimo che rende fisicamente visibile l’intimità spirituale, la tenerezza e la complicità dei coniugi, ma se durante il giorno (e nel rapporto di coppia) tutto questo manca, e predominano incomprensioni e sarcasmo, che valore ha un rapporto sessuale di sera..? Per me diventa solo fonte di umiliazione…una forma di prostituzione.
So che per quanto mi riguarda mio marito ed io dovremmo lavorare innanzitutto a migliorare il nostro matrimonio nel suo insieme (e mi creda, stiamo tentando…), ma qui nello specifico mi interessa capire se davvero per la Chiesa (guarda caso fatta da uomini…scusi lo sfogo!) la donna è davvero obbligata a restare soggetta alle pulsioni del marito…
Io non voglio essere polemica, davvero! Ho solo un desiderio profondo di autenticità, soprattutto nelle relazioni, e uno spiccato senso della morale (per cui in ogni cosa che faccio mi chiedo: sarà giusto?). Per me è faticoso tenere in piedi il mio matrimonio e, se non credessi nell’indissolubilità del sacramento, avrei già mollato da tempo…
La ringrazio molto per la sollecitudine che sempre dimostra e la preziosità della sua rubrica, con stima
(nome)
Risposta del sacerdote
Carissima,
anzitutto, come ho fatto per altri, devo presentarti le mie scuse perché solo adesso sono giunta rispondere alla tua mail di circa un anno fa.
1. Credo che molte tue osservazioni siano giuste.
Tuttavia è pur vero quello che dice la Sacra Scrittura a proposito del debito coniugale.
Riconosco che l’espressione non è bella perché sembra di essere nell’ambito della contrattazione e pertanto della giustizia.
Mentre ciò che deve animare la vita di famiglia e soprattutto l’intimità coniugale deve essere l’amore, il dono di sé.
Se non c’è il dono di sé, il rapporto non è compiuto secondo Dio, anche se si osservano i ritmi naturali.
2. Per questo san Giovanni Paolo II nella lettera alle famiglie Gratissimam sane ha scritto: “La persona non può mai essere considerata un mezzo per raggiungere uno scopo; mai, soprattutto, un mezzo di “godimento”. Essa è e dev’essere solo il fine di ogni atto. Solo allora corrisponde alla vera dignità della persona” (GrS 12).
Se manca questo, l’intimità coniugale viene stravolta dal suo significato originario e diventa, come hai scritto, “solo fonte di umiliazione…una forma di prostituzione”.
Ci si domanda quale senso possa avere il gesto dell’intimità coniugale senza il contorno del resto delle attenzioni e delle premure che favoriscono il fervore dell’affetto vicendevole.
3. Prima di san Giovanni Paolo II, il santo Papa Paolo VI aveva detto nell’enciclica Humanae vitae: “Giustamente infatti si avverte che un atto coniugale imposto al coniuge senza riguardo alle sue condizioni e ai suoi legittimi desideri non è un vero atto di amore” (HV 13).
4. Dell’espressione di Paolo VI desidero sottolineare non soltanto il “senza riguardo alle sue condizioni”, che è il minimo di cui si debba tener conto perché si parli di atto d’amore, ma anche l’altra “senza riguardo ai suoi legittimi desideri”.
Voler bene, nel senso più autentico della parola, è proprio andare incontro ai legittimi desideri dell’altro.
Se questo non c’è, non c’è il vero amore, ma solo ricerca di se stessi.
5. Va ricordato anche che il debito coniugale c’è solo se viene chiesto ragionevolmente (rationabiliter).
Ora la prima condizione perché la richiesta sia ragionevole è che non venga compiuto alterando il disegno santificante di Dio sull’amore umano e sul matrimonio.
In altre parole, che non si tratti di contraccezione perché in questo caso cessa il debito. Nessuno può essere costretto a offendere Dio e la propria dignità di persona.
6. Cosa analoga si può dire quando palesemente, pur osservando materialmente la legge di Dio ed evitando la contraccezione, non si tengono in conto i legittimi desideri dell’altro perché in questo caso si attua un dominio dispotico su di lui.
Ed è per questo che Paolo VI nella medesima enciclica aveva ricordata che anche all’interno del matrimonio c’è una castità da acquisire e da incrementare proprio perché l’atto dell’intimità non venga impoverito: “Il dominio dell’istinto, mediante la ragione e la libera volontà, impone indubbiamente un’ascesi…
Ma questa disciplina, propria della purezza degli sposi, ben lungi dal nuocere all’amore coniugale, gli conferisce invece un più alto valore umano.
Esige un continuo sforzo, ma grazie al suo benefico influsso i coniugi sviluppano integralmente la loro personalità, arricchendosi di valori spirituali: essa apporta alla vita familiare frutti di serenità e agevola la soluzione di altri problemi; favorisce l’attenzione verso l’altro coniuge, aiuta gli sposi a bandire l’egoismo, nemico del vero amore, ed approfondisce il loro senso di responsabilità.
I genitori acquistano con essa la capacità di un influsso più profondo ed efficace per l’educazione dei figli; la fanciullezza e la gioventù crescono nella giusta stima dei valori umani e nello sviluppo sereno ed armonico delle loro facoltà spirituali e sensibili” (HV 21).
7. Senza rinnegare quanto finora è stato detto, va aggiunto tuttavia che si deve tener conto della maturità psicologica e morale del coniuge e che non di rado la sposa deve essere per il marito non soltanto moglie, ma anche colei che lo aiuta a crescere nella virtù tenendo nel debito conto le sue fragilità.
Per questo il Concilio Vaticano II nella Gaudium et Spes dice: “Il Concilio sa che spesso i coniugi, nel dare un ordine armonico alla vita coniugale, sono ostacolati da alcune condizioni della vita di oggi, e possono trovarsi in circostanze nelle quali non è possibile accrescere, per un certo tempo, il numero dei figli, e non senza difficoltà si può conservare la fedeltà dell’amore e la piena comunione di vita.
Là dove, infatti, è interrotta l’intimità della vita coniugale non è raro che la fedeltà corra rischi e possa venir compromesso il bene dei figli: allora sono in pericolo anche l’educazione dei figli e il coraggio di accettarne altri” (GS 51).
8. Evidentemente il Concilio qui non sdogana la contraccezione, ma sottintende gli atti dell’intimità coniugale compiuti secondo Dio.
Infatti proprio nel medesimo numero della Gaudium et Spes si legge: “Quando si tratta di comporre l’amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi che hanno il loro fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana, e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale.
I figli della Chiesa, fondati su questi principi, non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina” (GS 51).
9. Credo con questo di aver risposto alla tua domanda: se la moglie debba sentirsi in colpa se non rimane soggetta ad un atto che di vero amore non ha nulla.
Aggiungo tuttavia che – sempre salva la legge di Dio – talvolta nei confronti del marito deve essere colei che a piccoli passi lo aiuta a crescere nella vita virtuosa.
10. Desidero infine dire una parola sulla conclusione della tua mail: “Per me è faticoso tenere in piedi il mio matrimonio e, se non credessi nell’indissolubilità del sacramento, avrei già mollato da tempo”.
A questo proposito mi piace ricordare ciò che ha detto il Concilio Vaticano II: “per far fede costantemente agli impegni di questa vocazione cristiana (del matrimonio) si richiede una virtù fuori dal comune” (GS 49).
Solo l’obiettivo della santità che impegna a rendere visibile nei confronti del proprio coniuge l’amore di Dio per l’uomo e di Gesù Cristo per la Chiesa dà la forza di superare ogni difficoltà e di andare avanti per giungere al traguardo della vita santa.
“Ed è per questo – soggiunge il Concilio – che i coniugi, resi forti dalla grazia per una vita santa, coltiveranno assiduamente la fermezza dell’amore, la grandezza d’animo, lo spirito di sacrificio e l’impetreranno con la preghiera” (GS 49).
Con l’augurio che tu possa giungere a questo obiettivo insieme con colui che il Signore ti ha affidato perché tu lo custodisca per la vita eterna, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo