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Quesito
Caro Padre,
vorrei ritornare adesso all’ultimo quesito, che le posi all’inizio del tempo quaresimale. L’ha intitolato “Chiarimenti sul pentimento dei peccati e sul proposito”.
Allora: sulla seconda parte ha chiarito totalmente i miei dubbi; diciamo che c’era un malinteso a livello di termini… infatti, io guardando alla mia situazione potrei dire “se dopo la confessione non facessi più peccati, neanche veniali, per una settimana, sarebbe un vero miracolo!”, ma ciò non inficia il fatto che io mi impegni a fare di tutto per evitare il più piccolo peccato, credendo che con l’aiuto di Dio è possibile anche questa perfezione. Quindi io più che una vera e propria certezza di ricadere la intendo come “percezione della realtà” nella sua difficoltà, che per quanto umanamente impossibile da vivere nella santità non deve porre limite alla fiducia che si ripone nel Signore di farci raggiungere questo traguardo.
Per quanto riguarda il primo punto, invece, ho ancora delle riserve. Mi sembra in contraddizione con quello esposto sopra. In fin dei conti non mi torna il ragionamento che apparentemente giustifica la moglie che “coopera in qualche modo ad un’azione cattiva per evitarne una peggiore”. Se si dice a una signora di poter scegliere il male minore (cioè di peccare) per “salvare il bene della famiglia”, non si rende nullo il proposito confessionale di non voler offendere più Dio? C’era un Santo che diceva “la morte, ma non il peccato”. Anche la morte è la rinuncia ad un bene preziosissimo, la vita, pur di non offendere il Signore. E anche in questo caso, mi pare, applicando il principio di cui sopra, per esempio anche i martiri avrebbero dovuto rinunciare al proprio sacrificio anche peccando per salvare questo bene, certo preziosissimo e che Dio non avrebbe voluto fosse stato tolto in maniera così cruenta.
Stessa cosa in tutti i casi in cui ci sia un male minore. Ma in diverse sue risposte ho letto che “di fronte a un peccato grande e uno piccolo, non bisogna scegliere né l’uno né l’altro” e che inoltre certe cose sono “intrinsecamente immorali, e per nessuna motivazione, per quanto grave, possono essere scelte per un buon fine.”.
Non si tratta neanche del caso in cui la donna semplicemente subisce il peccato, ma anzi vi collabora attivamente, quindi peccando…
L’unica interpretazione sensata è che lei la inviti a confessarsi proprio per trovare la forza di opporsi a questa collaborazione e l’intelligenza per farlo nella maniera opportuna. Allora sarebbe tutto chiaro e non farebbe crollare il ragionamento alla base dell’impalcatura morale. In questo caso sarei rimasto ingannato anche qui dalle parole che ha usato, che in effetti (almeno alla mia lettura) sembrano voler assolvere l’azione della donna, perché non la invitano esplicitamente a cercare il modo per evitare il peccato.
Sono abbastanza convinto di questa mia ultima interpretazione e le scrivo a questo punto per chiedere un chiarimento finale.
La saluto augurandole di vivere bene questo periodo, ancora pasquale, in cui si continua a respirare la fragranza della Resurrezione.
A risentirla presto
Lorenzo
Risposta del sacerdote
Caro Lorenzo,
fai tanti ragionamenti che in se stessi sono esatti, ma non tengono conto della complessità del problema.
1. Tra gli sposi vige uno ius uxorium che comprende anche il debito coniugale.
Per debito coniugale s’intende l’obbligo di concedersi quando il coniuge chiede il rapporto coniugale. L’espressione è desunta da 1 Cor 7,3-4: “Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito. La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie”.
Si tratta di un obbligo di giustizia, assunto con il patto coniugale.
È vero che la copula deve essere espressione dell’amore sponsale e deve essere motivata dall’amore.
Ma ciò non toglie che abbia anche il carattere di cosa dovuta.
L’amore, in virtù del patto coniugale, da gratuito diviene dovuto, e parimenti lo diventano determinate azioni appartenenti alla convivenza coniugale.
2. Se non si adempie a tale obbligo ordinariamente ne derivano gravi conseguenze: il raffreddamento dell’amore reciproco, l’incontinenza dell’altro coniuge, l’infedeltà ecc.
In teologia morale si insegna che l’obbligo di rendere il debito coniugale è grave, a patto però che la richiesta del coniuge sia ragionevole.
Non è ragionevole, ad esempio, se vi è legittima separazione dei coniugi, se il partner ha compiuto un adulterio e non è ancora stato perdonato, se il partner non gode dell’uso di ragione, se c’è pericolo di contagiare una malattia infettiva, se l’eventuale prole corre il rischio fondato di nascere malformata…
Ugualmente non si è obbligati ad acconsentire all’unione sessuale contraccettiva; anzi in linea di principio vi è l’obbligo di rifiutarsi.
3. A questo punto sorgono in concreto i problemi morali.
Se una coppia non può più avere altri figli (perché non sa dove metterli, come mantenerli…) che cosa deve fare?
Certo i problemi sarebbero risolti se vi fosse maggiore conoscenza dei metodi naturali. Ma se nel caso concreto questa conoscenza non c’è, si crea un conflitto di valori: da una parte il rispetto della legge di Dio e dall’altra il debitum coniugale.
È vero che oggettivamente, di fronte alla leggi di Dio, non si può parlare di conflitto oggettivo di valori: sarebbe come se Dio, mentre comanda di obbedire ad una sua legge, comanda di disobbedire ad un’altra da lui stesso data. Affermare questo sarebbe blasfemo.
Ma soggettivamente, a causa delle situazioni in cui si vive e della fragilità umana, ci si può trovare in conflitto soggettivo di valori. Il Concilio tiene presente questo conflitto.
La Gaudium et Spes dice saggiamente: “Il Concilio sa che spesso i coniugi, nel dare un ordine armonico alla vita coniugale, sono ostacolati da alcune condizioni della vita di oggi, e possono trovarsi in circostanze nelle quali non è possibile accrescere, per un certo tempo, il numero dei figli, e non senza difficoltà si può conservare la fedeltà dell’amore e la piena comunione di vita. Là dove, infatti, è interrotta l’intimità della vita coniugale non è raro che la fedeltà corra rischi e possa venir compromesso il bene dei figli: allora sono in pericolo anche l’educazione dei figli e il coraggio di accettarne altri” (GS 51).
4. Come vedi, non si tratta semplicemente di disobbedire ad una legge. Se così fosse, si deve essere disposti alla morte piuttosto che al peccato.
Ma si tratta anche di realizzare un altro bene, sebbene questo bene sia imperfetto. Ma negarlo del tutto, a dire del Concilio, può compromettere l’unità del matrimonio e il bene dei figli.
I coniugi hanno il diritto e il dovere del debitum coniugale. Ma qui non possono esercitarlo in maniera corretta a causa di alcune condizioni della vita di oggi.
Che fare allora? Rifiutare l’intimità coniugale con il rischio di rovinare il matrimonio e compromettere il bene dei figli?
Tu sei di quest’avviso. Ma il Concilio è di parere diverso. E sono convinto che il Concilio, per l’assistenza dello Spirito Santo di cui ha goduto, indica la strada giusta.
5. L’enciclica Humanae vitae riconosce questa difficoltà e dice che cosa i coniugi devono fare concretamente:
“Non intendiamo affatto nascondere le difficoltà talvolta gravi inerenti alla vita dei coniugi cristiani: per essi, come per ognuno, ‘‘è stretta la porta e angusta la via che conduce alla vita’ (Mt 7,14; Eb 12,11). Ma la speranza di questa vita deve illuminare il loro cammino, mentre coraggiosamente si sforzano di vivere con saggezza, giustizia e pietà nel tempo presente, sapendo che la figura di questo mondo passa (1 Cor 7,31).
Affrontino quindi gli sposi i necessari sforzi, sorretti dalla fede e dalla speranza che non delude; perché l’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori con lo Spirito Santo, che ci è stato dato (Rm 5,5); implorino con perseverante preghiera l’aiuto divino, attingano soprattutto nell’Eucaristia alla sorgente della grazia e della carità.
E se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita nel sacramento della Penitenza” (HV 25).
6. La Conferenza episcopale italiana, nel documento di presentazione dell’Humanae vitae, chiede ai sacerdoti di dare l’assoluzione ai coniugi che si trovano nelle difficoltà sopraccennate: “Questa evangelica benignità si manifesti specialmente nei confronti di quei coniugi le cui mancanze non derivano da un rifiuto egoistico della fecondità, bensì piuttosto dalle difficoltà, a volte molto serie, in cui si trovano di conciliare le esigenze della paternità responsabile con quelle del loro reciproco amore.(…). In tal caso il loro comportamento, pur non essendo conforme alla norma cristiana, non è certo valutabile nella sua gravità come se provenisse unicamente da motivi viziati dall’egoismo e dall’edonismo.
Sarebbe tuttavia un serio errore educativo, se con il loro atteggiamento di comprensione, i sacerdoti finissero per favorire nei coniugi una condotta mediocre o facili accomodamenti: in questo, come in ogni altro settore della vita morale, nessun cristiano può sottrarsi all’impegno di un perseverante e responsabile sforzo per adempiere mediante l’aiuto della grazia la volontà di Dio” (documento di presentazione dell’Humanae vitae, II).
7. Quanto propongo (confessione previa e comunione) non è consigliare ai coniugi una condotta mediocre o facili accomodamenti, come ammonisce la CEI.
So che tanti coniugi soffrono per dover portare questo peso in confessionale e sarebbero contenti di poter agire diversamente. Ma le circostanze lo impediscono. E allora con umile perseveranza si confessano. E nella confessione ricevono quella grazia che permette loro di accostarsi all’Eucaristia e ricevere forza per svolgere più fedelmente, più santamente e con perseveranza i loro doveri di coniugi e di genitori.
Ti ringrazio dell’ulteriore chiarificazione cui mi hai sottoposto e dell’augurio di continuare a respirare la fragranza della Resurrezione.
Spero di essere giunto al chiarimento finale da te auspicato.
Ti assicuro come sempre la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo