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Quesito
Caro Padre Angelo,
nei giorni scorsi i giornali ci hanno informato che i giudici hanno assolto il medico che uccise Welby perché secondo loro non ha commesso nessun reato, anzi, ha ottemperato al suo dovere di non fare accanimento terapeutico.
Personalmente ritengo che idratazione, nutrizione e respirazione non possano in alcun modo portare all’accanimento terapeutico, perché a mio avviso non sono terapie, sono solo il soddisfacimento di bisogni primari.
Sicuramente l’idea che le ho appena esposto è stata espressa anche da esponenti della Chiesa ma, le chiedo, qual’è ufficialmente la posizione della Chiesa e del suo Magistero?
Come sempre la ringrazio,
Nicola
Risposta del sacerdote
Caro Nicola,
1. hai perfettamente ragione: idratazione, nutrizione e respirazione non sono affatto accanimento terapeutico, semplicemente perché non sono terapie, ma soddisfacimento di bisogni primari.
La morte di Welby non si configura come rinuncia ad accanimento terapeutico, al quale il buon senso stesso chiede di rinunciare, ma come un vero atto di eutanasia attiva.
2. Nella breve e-mail che mi hai inviato hai usato espressioni precise e ponderate.
Scrivi infatti: “i giornali ci hanno informato che i giudici hanno assolto il medico che uccise Welby”.
Il verbo usato “uccise” è appropriato perché corrisponde alla realtà dei fatti.
In merito ti riporto ampi stralci dell’editoriale della rivista Medicina e Morale (2007/1), scritto da Angelo Fiori.
3. “La morte è avvenuta, in una fase non terminale, per il concorrere della malattia stessa con la somministrazione di un sedativo e l’interruzione dell’erogazione di ossigeno. È probabile che il farmaco iniettato dal medico non fosse in dose letale perché altrimenti il decesso sarebbe avvenuto in pochi minuti anziché in quaranta, come si è appreso. Nel contempo è tuttavia ragionevole ritenere che il farmaco, per la sua stessa natura, abbia concorso a produrre depressione respiratoria mentre la sospensione dell’ossigeno ha avuto un ruolo probabilmente preminente ma non immediato indicando che forse una residua capacità respiratoria spontanea esisteva. È noto che la soppressione totale dell’ossigeno porta a morte in qualche minuto, come avviene nei casi di annegamento o di ingresso in ambiente totalmente anaerobico, evento che non di rado avviene a danno di operai.
La causa della morte è dunque identificabile sicuramente nella grave ipossia (insufficiente ossigenazione del sangue) prodotta congiuntamente dalla malattia di base e dalla soppressione dell’ossigeno, con il contributo non quantificabile del farmaco sedativo.
(…)
Il concetto di eutanasia è semplice, tanto che lo si può rinvenire nei comuni dizionari come il Devoto Oli che la definisce "morte serena e indolore" e "teoria medico-giuridica secondo cui è lecito dare una morte tranquilla, a mezzo di narcotici, agli infermi atrocemente sofferenti e inguaribile, inammissibile dal punto di vista del diritto positivo e della morale cristiana
In realtà i modi per attuarla – con azioni od omissioni deliberate – sono molteplici a seconda dei casi. Ciò che li accomuna è la finalità di provocare la morte, poco rilevando, sotto questo profilo, le motivazioni di chi la chiede e di chi la provoca (spesso non richiesto), le quali possono essere varie e costituire talora cause di parziale giustificazione per il richiedente.
Il caso di Piergiorgio Welby ha tutti i caratteri che configurano un atto eutanasico, in quanto il paziente, cosciente e lucido, non giunto ad una fase terminale della sua malattia, chiedeva la morte e l’opera del medico intervenuto è stata finalizzata a realizzare il progetto del paziente sopprimendo la sua sofferenza attraverso la soppressione della vita. L’interruzione del sostegno vitale è stato un mezzo per provocare la morte richiesta, non un fine. Si tratta nient’altro che di eutanasia, in questo caso "attiva" – perché attuata con una duplice condotta di azione, l’iniezione del farmaco ed il distacco dell’erogatore di ossigeno – ed è, dal punto di vista materiale e giuridico, l’uccisione di un consenziente diversa, nelle modalità ma non nell’intento, dal suicidio assistito” (pp.10-11).
Ti ringrazio, Nicola, per aver attirato l’attenzione su questa decisione.
Noi non abbiamo l’intento di polemizzare, ma di conoscere e di valutare la realtà dei fatti.
Ti seguo sempre con al preghiera e ti benedico.
Padre Angelo