Questo articolo è disponibile anche in: Italiano
Quesito
caro padre
Adesso i beni del matrimonio sono la prole e il mutuo aiuto ma è sempre stato così oppure la chiesa una volta diceva che lo scopo del matrimonio era il procreare e che quindi l’unione dei due all’infuori di quel caso costituiva peccato veniale?
Come sempre La ringrazio e La saluto.
Luca
Risposta del sacerdote
Caro Luca,
1. Il vecchio Codice di Diritto Canonico (1917) affermava che il fine primario del matrimonio è la procreazione e l’educazione della prole. Fine secondario invece il mutuo aiuto e il rimedio della concupiscenza.
Va detto che questo il Codice è il primo documento della S. Sede nel quale viene usata la terminologia di “fine primario” e “secondario”.
In questo Codice il matrimonio veniva definito come “societas permanens ad filios procreandos” (società permanente ordinata alla generazione dei figli) (can. 1082).
Nella determinazione dei fini del matrimonio la Chiesa risentiva della mentalità e soprattutto della prassi del tempo. In tante parti del mondo il matrimonio veniva combinato dai genitori o dai pater familias. I figli si limitavano a dare l’assenso.
2. Ma già Pio XI nell’enciclica Casti connubii (1930) mette in risalto non solo il mutuo aiuto ma anche l’amore coniugale, affermando che esso “pervade i doveri tutti della vita coniugale e nel matrimonio cristiano tiene come il primato della nobiltà” (CC 23).
Negli anni ‘‘60 un documento del magistero indicava come un segno del nostro tempo il fatto che più spesso oggi gli uomini e le donne si sposano per amore. Questo fa capire che là dove il matrimonio veniva stabilito dai genitori o dai pater familias la motivazione dell’amore vicendevole e personale non era tenuta nel debito conto.
Il Concilio Vaticano II ha voluto dare risalto all’amore coniugale.
E definisce il matrimonio come “intima comunità di vita e di amore coniugale” (GS 49).
Dice che è un’istituzione “dotata di molteplici valori e fini, tutti di somma importanza per la continuità del genere umano, il progresso personale e il destino eterno di ciascuno dei membri della famiglia, per la dignità, la stabilità, la pace e la prosperità della famiglia stessa e di tutta la società umana” (Gaudium et spes 48).
Confrontando poi le definizioni del matrimonio date dal vecchio Codice e dalla GS se ne può cogliere la diversa sensibilità.
Se il vecchio Codice parla del matrimonio a partire dai suoi frutti (la procreazione), il Concilio definisce il matrimonio a partire da ciò che lo origina: l’amore coniugale.
La prole costituisce il fine della società coniugale già formata, mentre la costituzione della società coniugale avviene nella convergenza del consenso intorno ad un fine che non è la procreazione (anche se vi è inclusa), ma la comunità di vita e di amore.
Due dunque sono i fini del matrimonio: il mutuo perfezionamento e la procreazione.
Ma essi sono così congiunti da poter dire che si tratta di una cosa sola.
La mutua donazione infatti per sua stessa natura si perfeziona nella paternità e nella maternità.
E la paternità e la maternità fanno sì che i coniugi si amino ancora di più: non più solo come sposi e compagni di vita, ma come padri e madri dei loro figli.
3. Già Casti connubii, rifacendosi al Concilio di Trento, affermava che “una tale vicendevole formazione interna dei coniugi, con l’assiduo studio di perfezionarsi a vicenda, in un certo senso si può dire anche la primaria cagione e motivo del matrimonio”.
Ma l’amore coniugale, essendo un amore totale nel quale non ci si riserva nulla, è un amore che si esprime, si perpetua e si visibilizza nella generazione e nella educazione dei figli.
4. Parlando di “amore fecondo”, Paolo VI nell’enciclica l’Humanae vitae trova anche nel linguaggio la giusta relazione tra i fini del matrimonio.
E soggiunge: “Per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, gli sposi tendono alla comunione dei loro esseri in vista di un mutuo perfezionamento personale per collaborare con Dio alla generazione e all’educazione di nuove vite” (HV 9).
Giovanni Paolo II dirà: “In questa rinnovata impostazione, il tradizionale insegnamento sui fini del matrimonio viene confermato ed insieme approfondito dal punto di vista della vita interiore dei coniugi, ossia della spiritualità coniugale e familiare” (10.X.1984).
5. Non è vero invece che la Chiesa considerasse peccato veniale il rapporto coniugale che per natura non si concludeva con la procreazione.
Se così fosse stato due coniugi sterili o giunti all’età in cui la donna non può più generare avrebbero semplicemente dovuto astenersi dagli atti propri del matrimonio.
Pio XI nella Casti connubii scrive: “Né si può dire che operino contro l’ordine della natura quei coniugi che usano del loro diritto nel modo debito e naturale, anche se per cause naturali, sia di tempo sia di altre difettose circostanze, non ne possa nascere una nuova vita. Poiché nello stesso matrimonio si contengono anche fini secondari, come il mutuo aiuto e l’affetto vicendevole da fomentare e la quiete della concupiscenza, fini che ai coniugi non è proibito volere, purché sia sempre rispettata la natura intrinseca dell’atto e per conseguenza la sua subordinazione al fine principale” (DS 3718).
Ti ringrazio, ti saluto, ti prometto una preghiera e ti benedico.
Padre Angelo