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Quesito

Caro Padre Angelo,
in riferimento al quesito di ieri 02.05.20, hai giustamente risposto al visitatore menzionando il passo di San Paolo 1 Cor 11,27-30 in cui, veniamo avvertiti di non accostarci alla Santa Comunione se non abbiamo fatto un profondo esame di coscienza.
Questo soprattutto per non condannarci da soli irrevocabilmente.
E lo hai giustamente riferito al caso in cui viviamo in peccato mortale e senza confessione ci accostiamo all’Eucarestia.
Questa mi sembra l’interpretazione che sempre la Chiesa nel suo magistero ha evidenziato nel suo più profondo significato.
E’ per questo che con grande stupore leggendo Amoris Laetitia al n. 185 e 186 ho visto ciò:
185. In questa linea è opportuno prendere molto sul serio un testo biblico che si è soliti interpretare fuori del suo contesto, o in una maniera molto generale, per cui si può disattendere il suo significato più immediato e diretto, che è marcatamente sociale. Si tratta di 1 Cor 11,17-34, dove san Paolo affronta una situazione vergognosa della comunità. In quel contesto alcune persone abbienti tendevano a discriminare quelle povere, e questo si verificava persino nell’incontro conviviale che accompagnava la celebrazione dell’Eucaristia. Mentre i ricchi godevano dei loro cibi prelibati, i poveri facevano da spettatori ed erano affamati: «così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente?» (vv. 21-22).
186. L’Eucaristia esige l’integrazione nell’unico corpo ecclesiale. Chi si accosta al Corpo e al Sangue di Cristo non può nello stesso tempo offendere quel medesimo Corpo operando scandalose divisioni e discriminazioni tra le sue membra. Si tratta infatti di “discernere” il Corpo del Signore, di riconoscerlo con fede e carità sia nei segni sacramentali sia nella comunità, altrimenti si mangia e si beve la propria condanna (cfr v. 29). Questo testo biblico è un serio avvertimento per le famiglie che si richiudono nella loro propria comodità e si isolano, ma più specificamente per le famiglie che restano indifferenti davanti alle sofferenze delle famiglie povere e più bisognose. La celebrazione eucaristica diventa così un costante appello rivolto a ciascuno perché «esamini se stesso» (v. 28) al fine di aprire le porte della propria famiglia ad una maggior comunione con coloro che sono scartati dalla società e dunque ricevere davvero il Sacramento dell’amore eucaristico che fa di noi un solo corpo. Non bisogna dimenticare che «la “mistica” del Sacramento ha un carattere sociale».[207] Quando coloro che si comunicano non accettano di lasciarsi spingere verso un impegno con i poveri e i sofferenti o acconsentono a diverse forme di divisione, di disprezzo e di ingiustizia, l’Eucaristia è ricevuta indegnamente. Invece, le famiglie che si nutrono dell’Eucaristia con la giusta disposizione, rafforzano il loro desiderio di fraternità, il loro senso sociale e il loro impegno con i bisognosi.
Quindi per esaminare me stesso e non incorrere nella mia condanna secondo Amoris Laetitia, non devo esaminare se sono in peccato mortale, ma quando resto indifferente davanti alle famiglie bisognose, devo fare più comunione con gli scarti della società, devo essere spinto verso un impegno per i poveri.
Ecco in questo caso allora si che la prendo degnamente e non incorro nella condanna.
Mi lascia francamente sconcertata questa esegesi.
Esamino il mio peccato sociale, senza nessuna menzione dei peccati mortali, ovvero i 10 comandamenti.
Fra l’altro inserire questa esegesi del passo biblico in un contesto di una esortazione pastorale che ha creato più confusione che altro, mi sembra un bel modo per dire che i peccati contro l’impurità non contano, l’importante che sei buono con gli ultimi.
Sono sconcertato.
Luca

 


 

Risposta

Caro Luca,
1. che ognuno esamini se stesso in relazione agli altri e in particolare con coloro che sono lo scarto della società è sempre non solo utile ma doveroso.
Nella comunità di Corinto durante la celebrazione dell’Eucaristia i poveri erano presenti materialmente insieme con i ricchi e questi ultimi secondo San Paolo era chiamati ad esaminarsi se davvero intendevano celebrare la comunione  anche con gli ultimi.

2. San Paolo stimola a fare quest’esame ricordando l’istituzione dell’Eucaristia compiuta da Gesù Cristo, il suo significato e la necessità di esaminare se stessi prima di mangiare di quel “pane”.
Dopo aver ricordato tutto questo San Paolo torna poi al disordine che c’era nella cena consumata insieme e conclude: “Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri.
E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna” (1 Cor 11,33-34).

3. Quel “Perciò” aggancia il discorso fatto nel frattempo al disordine nella cena consumata insieme, come per dire: ecco le motivazioni per cui non dovete più agire così.

4. Ma il discorso fatto nel frattempo ha un valore anche fuori del contesto in cui san Paolo l’ha voluto applicare.
Ha un valore eterno e universale.
Qui San Paolo ricorda l’istituzione dell’Eucaristia da parte di Gesù.
Certamente ne aveva sentito parlare dagli Apostoli e aveva visto che nelle comunità cristiane si faceva così. Ma nello stesso tempo dice che l’ha saputo anche per una rivelazione divina che gli ha confermato quanto fosse esatto quello che si faceva nelle comunità: “Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso” (1 Cor 11,23).

5. Ricorda anche le parole con cui è stato istituto questo sacramento e che ne rivelano il significato: “il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me. Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga” (1 Cor 11,23-26).
È come se San Paolo dicesse: “Guardate che dovete fare come ha fatto Gesù che ha donato tutto se stesso e che rende presente la sua morte in mezzo a noi fino al suo ritorno per darci la forza di fare altrettanto”.

6. “Pertanto chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore.
Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11,27-29).
in modo indegno”: senz’altro era il modo di alcuni dei corinzi.
E per questo San Paolo concluderà: “Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena…”.

7. Ma quello non è l’unico modo indegno.
San Paolo stesso altrove dice che mangia indegnamente anche chi dà culto ai demoni e patteggia con satana: “No, ma dico che quei sacrifici sono offerti ai demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni” (1 Cor 10,20-21).

8. Mangia indegnamente anche chi vive nella fornicazione: “Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai!
Non sapete che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due – è detto – diventeranno una sola carne” (1 Cor 6,15-16).

9. E con la fornicazione vi mettiamo anche tutti quegli altri peccati che San Paolo associa quando dice che li compie non erediterà il regno di Dio: “Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio” (Gal 5,19).
Chi oserebbe dire che mangia e beve degnamente il Corpo e  il Sangue del Signore chi si dà all’impurità, alla dissolutezza, all’idolatria, alla stregoneria, alle ubriachezze, alle orge e a cose del genere, perché non sono peccati commessi direttamente contro il prossimo?

10. Per cui rimane sempre vero che la Santa Comunione deve essere fatta nei vincoli della carità (e cioè in grazia di Dio), la quale viene spezzata da ogni peccato mortale.
Giustamente dunque San Giovanni Paolo II nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia insegna che “l‘integrità dei vincoli invisibili (essere in grazia di Dio, n.d.r.) è un preciso dovere morale del cristiano che vuole partecipare pienamente all’Eucaristia comunicando al corpo e al sangue di Cristo.
A questo dovere lo richiama lo stesso Apostolo con l’ammonizione: «Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice» (1 Cor 11,28).
San Giovanni Crisostomo, con la forza della sua eloquenza, esortava i fedeli: «Anch’io alzo la voce, supplico, prego e scongiuro di non accostarci a questa sacra Mensa con una coscienza macchiata e corrotta. Un tale accostamento, infatti, non potrà mai chiamarsi comunione, anche se tocchiamo mille volte il corpo del Signore, ma condanna, tormento e aumento di castighi».
In questa linea giustamente il Catechismo della Chiesa Cattolica stabilisce: «Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla comunione».
Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell’apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell’Eucaristia, «si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale»” (Ecclesia de Eucaristia 36).

11. Quando Papa Francesco dice che è “opportuno prendere molto sul serio un testo biblico che si è soliti interpretare fuori del suo contesto, o in una maniera molto generale, per cui si può disattendere il suo significato più immediato e diretto, che è marcatamente sociale” non vuol dire che l’interpretazione comune (“si è soliti interpretare”) sia sbagliata e che il “disattendere il suo significato più immediato e diretto, che è marcatamente sociale” sia l’unica interpretazione.
Né intende negare la dottrina espressa esplicitamente nella Sacra Scrittura e segnatamente da San Paolo, come si è visto, e costantemente insegnata dai Santi Padri e dal Magistero della Chiesa.

Mi complimento con te per l’attenzione con cui leggi i testi del Magistero.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo


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