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Caro Padre Angelo,
innanzitutto la ringrazio per il servizio che svolge con i suoi chiarimenti su tanti aspetti della vita cristiana. Vorrei farle una domanda un po’ delicata a cui mi è difficile dare una risposta perché so che entra in campo prepotentemente la fede.. come si può giustificare l’amore di Dio rispetto alla malattia che spesso colpisce soprattutto giovani..?
La sofferenza e poi la morte come possono essere permesse dal Dio della vita?
Sicuramente a livello teologico entra in gioco il peccato originale e la vittoria di Cristo sulla morte.. ma in termini pratici come si può accettare questa condizione di sofferenza?
Cosa dire a chi è nella disperazione per una perdita di un proprio caro? Se penso quanta gente ama la vita e la malattia gliela strappa via, dove è la giustizia?
Dov’è Cristo in tutto ciò?
È una domanda che le avranno certamente posto tantissime volte…
Ammetto che pur essendo fervido credente, tali questioni mi lasciano un tantino perplesso…
Nell’attesa di una sua risposta le chiedo di ricordarmi nelle sue preghiere e la ringrazio anticipatamente.
Manuele
Caro Manuele,
1. è una domanda che in un modo o nell’altro è già venuta fuori.
Ed è una domanda che verrà fuori anche più avanti e verrà fuori sempre perché la sofferenza accompagna ogni uomo.
Giovanni Paolo II nell’enciclica Salvifici doloris osserva che quello della sofferenza “è un tema universale che accompagna l’uomo ad ogni grado della longitudine e della latitudine geografica: esso, in un certo senso, coesiste con lui nel mondo, e perciò esige di essere costantemente ripreso” (SD 1).
2. Dinanzi alla sofferenza, e soprattutto dinanzi alla sofferenza dei bambini e degli innocenti, tutti diventano pensosi e se ne domandano il perché.
Anche qui, come rilevava Giovanni Paolo II, l’uomo istintivamente pone le sue domande a Dio: “L’uomo non pone questo interrogativo al mondo, benché molte volte la sofferenza gli provenga da esso, ma lo pone a Dio come al Creatore e al Signore del mondo” (SD 9).
Anche l’ateo fa così.
E sotto questo aspetto Leon Bloy, che ebbe una parte notevole nella conversione di Raissa e Jacques Maritain, aveva ragione nel dire che la sofferenza ha il compito di risvegliare la presenza di Dio nell’anima.
3. Domandi: “Dove è la giustizia nel bambino che soffre?”
Verrebbe da dire: non c’è nessuna giustizia. In nessun modo la sofferenza può essere giustificata in un bambino.
Chi non è credente e ha una visione immanentista della vita (e cioè pensa che questa sia l’unica vita da vivere) a questo punto chiude il discorso e non riesce più ad andare avanti.
Giustamente il Concilio dice che “l’enigma del dolore e della morte e al di fuori del suo Vangelo ci opprime” (Gaudium et spes, 22).
Solo la luce di Cristo, solo la fede (e qui per fede intendiamo quella teologale ed è teologale solo quella cristiana) illumina questa realtà.
4. Ora la luce di Cristo ci ricorda che “in seno alla vita presente, se ne prepara un’altra, la cui importanza è tale che alla sua luce bisogna esprimere i propri giudizi” (congregazione per la dottrina della fede, De abortu procurato (18.11.1974), n. 25).
Se la vita presente fosse l’unica, vedere un bambino che soffre sarebbe lo scandalo più grosso.
Ma se questa vita è in funzione di un’altra, se questa vita ne prepara un’altra, allora tutto cambia.
5. Cristo ci insegna a valutare la vita presente in funzione di quella futura alla quale ci si prepara conformando il nostro modo di amare con quello di Dio.
Sì, entra in Dio che è Amore solo chi si dilata nell’amore che si fa dono.
Allora si comprende quanto Giovanni Paolo II ha scritto al termine della sua enciclica sulla sofferenza.
Per inciso mi piace ricordare che l’ha scritta dopo l’attentato, dopo aver sperimentato questa realtà in maniera singolare.
Ebbene, ha detto che “la sofferenza è presente nel mondo per sprigionare amore, per far nascere opere di amore verso il prossimo, per trasformare tutta la civiltà umana nella civiltà dell’amore…
Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a far del bene con la sofferenza e a far del bene a chi soffre.
In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza” (SD 30).
6. Circa la domanda: “dove è la giustizia? Dov’è Cristo in tutto ciò?” si risponde dicendo che è una domanda pagana, che valuta solo nell’orizzonte di questo mondo e che cerca Dio come un deus ex machina, un dio esclusivamente in funzione dei bisogni umani, dei bisogni di questo mondo.
Ma un Dio del genere non esiste.
È una domanda dunque che non porta da nessuna parte.
Lascia nel buio come prima.
Anzi, sotto un certo aspetto lo acuisce ancora di più.
Perché il buio, oltre che sulla sofferenza, è anche su un Dio che non esiste.
Il Dio pagano non esiste.
7. L’unica risposta è quella che viene da Cristo, unica luce che illumina le tenebre degli interrogativi e delle risposte umane.
Nella vicenda della sua morte e della sua gloriosa risurrezione e ascensione al Cielo fa comprendere il suo insegnamento: “Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi” (Lc 13,30).
E lo saranno per sempre.
Quello che conta allora è quello che dura sempre, per tutta l’eternità.
Allora dalla luce di Cristo vengono ribaltati tutti i criteri umani.
Quelli che noi consideriamo ultimi e soggetto di ingiustizia sono quelli che di là stanno più vicini a Dio e sono incoronati per sempre.
E quelli che noi di qua consideriamo primi, perché stanno bene e godono di potere, e magari sono privi della grazia, di là saranno ultimi.
Se i bambini che di qua hanno sofferto e adesso sono in Paradiso potessero parlare non direbbero affatto che si è trattato di un’ingiustizia.
8. Infine se proprio si vuole rispondere alla domanda: “Dov’è Cristo in tutto ciò?” per un cristiano la risposta è chiara: “Cristo è lì, nel bambino che soffre”.
È nel bambino che soffre e che si dona, come hanno fatto i santi bambini di Fatima.
Di qua sono stati ultimi. Non sono giunti neanche all’adolescenza.
Da un punto di vista umana la loro vita è stata spezzata e spazzata via prima che cominciasse a fiorire e portare frutto.
Di là sono tra i primi per sempre.
Mentre molti tra quelli che di qua sono stati i primi sono ultimi, e cioè fuori dal Paradiso, “dove c’è pianto e stridore di denti” (Mt 8,12).
9. Ancora: Gesù è nel bambino che soffre e domanda amore, domanda dedizione.
In tal modo fa sprigionare amore in tanti adulti che proprio in questa dedizione riscoprono il senso della vita presente, che non è quello del godere ma del donare.
E così li aiuta “a mettersi da parte un buon capitale per il futuro per acquistarsi la vita vera” (1 Tm 6,19).
Grazie per la domanda che mi hai fatto.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo volentieri al Signore e ti benedico.
Padre Angelo