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Quesito
Caro padre Angelo, cari amici lettori,
ho scoperto questa rubrica (passatemi questo termine) quasi per caso. Devo dire che è uno dei pochi spazi in cui si può approfondire davvero la Parola di Dio. Non entro nelle questioni da Voi affrontate perché non ho le competenze né le conoscenze adatte per farlo. Intendo, piuttosto, provare a rispondere a quei tanti amici che si sono allontanati o si allontanano dal cristianesimo perché credono che la nostra fede porti alla negazione della libertà umana (non fare questo, non fare quello,ecc) e quindi che sia, essenzialmente, una fede che porta alla tristezza.
E’ un pensiero davvero molto comune, credetemi.
Non sono un teologo, non sono e non rappresento nessuna autorità per parlare; faccio l’animatore in una casa alpina diocesana a Gressoney (AO) e voglio portare e condividere il mio pensiero.
Se penso a me stesso, a ciò che mi circonda, al male che c’è nel mondo (e purtroppo è molto), posso vedere anche tutto nero; per quanto ciascuno si sforzi di migliorare, le cadute ci sono e fanno male, a noi e agli altri.
La nostra vita però non è solo questo! Lo voglio davvero dire forte a tutti: la vita è fatta di cadute, di dolore, ma anche di altro! Certo, siamo tutti piccoli e per certi aspetti possiamo sentirci fragili. C’è però una meraviglia, e lo dico senza voler essere patetico. La meraviglia di Dio: Dio che ci ama anche se siamo piccoli, fragili, a volte cocciuti e inaffidabili. Dio che ci ama così tanto che…la nostra piccolezza diventa grandezza! La grandezza di aver avuto l’onore di essere stati salvati dal nostro stesso Dio, morto in croce. Allora, se Gesù è morto per noi, non possiamo poi essere tanto piccoli ed insignificanti! Siamo grandi, valiamo il sangue di Cristo morto per noi! Siamo la cosa più preziosa agli occhi di Dio, perché essere tristi?
“I comandamenti ci dicono solo cosa non fare e ci rendono schiavi e tristi”, affermano in molti. A loro vorrei dire che non è così. Proviamo a guardare nel nostro cuore, proviamo davvero a pensare senza preconcetti: davvero è così? Io credo che, nel nostro cuore, amare il prossimo, non rubare, non commettere adulterio, non uccidere, amare i propri genitori,ecc siano “leggi della felicità”! Chi potrebbe dire che una simile legge porta alla tristezza e alla negazione della libertà? La parola di Dio, secondo me, è davvero espressione della felicità. Pensiamo ad un mondo in cui non ci sono rapine, non c’è odio, non ci sono violenze. E’ forse un mondo triste? La Legge di Dio è fatta per l’uomo, per la sua realizzazione, per la sua felicità. A volte può stare un po’ scomoda, ma ciò non toglie che sia una sorta di “ricetta della felicità” per tutti gli uomini! Proviamo nel nostro cuore a pensare cosa vorremmo davvero per chi ci vuol bene. Proviamo a pensare a valori inderogabili e fondanti della stessa persona umana. Troveremo il rispetto, l’amore per il prossimo, l’amore per la propria famiglia, la lealtà, ecc. Bene, tutte queste cose sono…espressione della Legge di Dio. Come possono rattristarci? Vorrei davvero che imparassimo a vedere i comandamenti non come un indice puntato contro di noi (e magari Dio come un poliziotto pronto a multaci), ma come una base solida su cui costruire un mondo di felicità e rispetto.
Grazie per avermi dato l’occasione di dire queste parole, un saluto a tutti
Risposta del sacerdote
Carissimo,
ti ringrazio per questa tua riflessione.
1. Il cristianesimo si è caratterizzato fin dall’inizio come l’annuncio di una gioia non solo umana, ma divina. E questo annuncio venne dato in un mondo triste, inebetito, come quello pagano.
Un grande esegeta, il domenicano p. C. Spicq, ha scritto che “caratteristica precipua della religione giudeo-cristiana è la gioia. L’annuncio della salvezza è l’annuncio di una χαρα μεγαλη (Lc 2,10-11), che si contrappone al pessimismo e alla disperazione in cui versava il paganesimo del sec. I. Nella scultura del secolo I gli occhi esprimono spesso tristezza, una sorta di ebetismo disperato” (C. Spicq, Note di lessicologia neotestamentaria, II, p. 781).
C’è da meravigliarsi che il paganesimo sia triste?
Quando non si conosce il senso della vita, non si sa dove si vada né donde si venga non c’è che da essere tristi!
2. La gioia del cristianesimo è legata al suo stesso messaggio:
L’uomo è stato creato per la gioia.
Cristo si è incarnato per restituire l’uomo alla gioia, a quella gioia che era stata rovinata ed è tuttora rovinata dal peccato.
La via che Dio indica all’uomo è una via di libertà interiore e di gioia.
Potrei dire che tutto questo è riassunto nelle parole di Cristo: “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11).
3. Riporti il pensiero di molti: “I comandamenti ci dicono solo cosa non fare e ci rendono schiavi e tristi”. E soggiungi: “A loro vorrei dire che non è così”. E poi mostri che si tratta di dieci leggi di felicità.
È verissimo.
Dio stesso ha detto: “Io ti comando di osservare i comandamenti perché tu viva e sii felice” (Dt 6,3; 30,15).
Ciò che rende tristi è la mancanza di amore, anzi di vero amore.
Gesù ha detto: “In verità, in verità vi dico: chi compie il peccato, è schiavo del peccato” (Gv 8,34).
E la schiavitù del peccato è pesantissima perché, come ha scritto S. Agostino, “lo schiavo di un uomo può trovare scampo dal suo padrone con la fuga, ma lo schiavo del peccato trascina con sé il peccato dovunque egli fugga. Infatti il peccato che ha commesso è dentro di lui. È passato il piacere, è passato il peccato, è ormai lontano ciò che dava piacere, ma è rimasto ciò che ferisce” (S. Agostino, In Io. Ev., 41,4).
4. Io aggiungerei anche questo: non bisogna dimenticare che i dieci comandamenti sono stati scritti in un linguaggio semitico.
Dietro il divieto, mostrano che cosa si deve fare.
Sotto la formulazione negativa emerge in maniera precisa come si debba impostare la propria vita personale e sociale.
I tre primi comandamenti dicono come ci si debba aprire a Dio: nel rispetto assoluto del suo mistero, nell’amore e nella lode incondizionata senza piegarlo ai propria volontà o ai propri capricci.
Gli ultimi sette ci dicono come la nostra vita debba relazionarsi agli altri: nel rispetto per le persone, per la vita, per la dignità umana, per i beni che ognuno possiede…
Scrive G. Ravasi: “La loro formulazione negativa apodittica (non uccidere!… non dire falsa testimonianza!…) non è espressione di una morale solo negativa ma è un modo orientale per incitare con forza all’impegno” (G. Ravasi, I comandamenti, p. 36).
Ti ringrazio per l’intervento, ti assicuro una preghiera e ti benedico.
Padre Angelo