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Quesito

Caro padre, disturbo per sapere cosa si conosce della rivelazione per cui San Tommaso pose termine al completamento della somma.
Grazie.
Cari saluti
Dario


Risposta del sacerdote

Caro Dario,
1. come depose Bartolomeo da Capua al processo di canonizzazione di San Tommaso, il 6 dicembre 1273 “fra Tommaso mentre celebrava la Messa nella cappella di San Nicola a Napoli, accusò un profondo turbamento, e dopo quella Messa non scrisse né detto più alcunché, anzi appese gli strumenti scrittorii, giunto alla terza parte della Somma, al trattato sulla penitenza”.

2. A questo punto ci viene incontro anche la testimonianza resa al processo di canonizzazione da parte di Fra Reginaldo, il primo suo segretario, che, preoccupato, gli chiese: “Padre, come potete rinunciare a compiere un’opera così grande che avete intrapreso in lode di Dio e per l’illuminazione del mondo?
Tommaso rispose: “Reginaldo, non posso”.
Reginaldo provò ad insistere, ma Tommaso disse: “Reginaldo, non posso perché tutto quello che ho scritto mi sembra nient’altro che è un po’ di paglia a paragone di quello che ho e che mi è stato rivelato”.

3. Che cosa avvenne dunque durante quel turbamento estatico?
Guglielmo di Tocco, che scrisse la biografia di San Tommaso nella Positio per il processo di canonizzazione, dice: “A coloro che furono più importanti nella storia della legge divina, cioè a Mosè che consegnò ai Giudei la legge sulla giustizia, e a Paolo, che predicò alle genti la legge della grazia, il Dio di ogni prodigio rivelò molte cose al di sopra dell’intelletto umano. Così al beato Tommaso, che ricevette dalla mano di Colui che siede sul trono il volume della duplice legge e con le sue espressioni lo pose aperto a tutta la Chiesa, gli piacque rivelare qualcosa che superava il lume naturale dell’ingegno, perché si rendesse conto che restavano cose molto maggiori di quelle viste con l’intelligenza umana”.

4. Qui, Guglielmo di Tocco, memore di quanto San Tommaso aveva scritto sulla scia di Sant’Agostino, che solo a Mosè, perché maestro dei Giudei, e a Paolo, che fu maestro dei gentili, fu dato di vedere in maniera fugace la gloria di Dio, è dell’idea che a San Tommaso sia stato accordato il medesimo favore.
Mosè aveva chiesto a Dio di poterlo vedere: “Fammi vedere la tua gloria” (Es 33,18), e Dio glielo concesse. Lo vede però solo di spalle (cfr. Es 23,33) e cioè in forma transitoria, come dirà San Tommaso.
San Paolo rivelò di se stesso: “So che un uomo, in Cristo, quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo – se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunciare” (2 Cor 12,2-4).

5. Di questo evento di San Paolo San Tommaso scrive: “Egli afferma di “aver udito parole ineffabili, che all’uomo non è lecito pronunziare”: ora, queste sembrano appartenere alla visione beatifica, la quale trascende lo stato della vita presente, secondo le parole di Isaia: “Occhio non vide eccetto te, o Dio, quello che tu hai preparato per coloro che ti amano” (Is 64,4). Perciò è più giusto affermare che egli vide Dio per essenza” (Somma teologica, II-II, 175,3).

6. Circa la modalità di questa conoscenza riconosce che “l’anima umana può essere rapita alla contemplazione di Dio nella sua essenza. E tale fu il rapimento di San Paolo, e anche di Mosè. E assai giustamente: poiché come Mosè fu il primo Dottore dei Giudei, così San Paolo fu il primo “Dottore delle Genti” (Ib., ad 1).
E: “L’essenza divina non può esser veduta da un intelletto creato se non mediante la luce della gloria, di cui sta scritto: “Nella tua luce vedremo luce” (Sal 35,10).
Questa però può essere partecipata in due maniere.
Primo, quale forma immanente: e in tal modo essa rende beati i santi che sono in cielo.
Secondo, quale influsso transitorio, cioè come avviene col lume profetico di cui abbiamo parlato sopra. Ebbene, questa luce di gloria in tal modo fu concessa a San Paolo nel suo rapimento. Perciò egli con tale visione non divenne beato in senso assoluto, così da sentirne la ridondanza nel corpo, ma lo divenne solo in senso relativo” (Ib., ad 2).

7. Sappiamo che fra Reginaldo, tornando di nuovo alla carica, chiese a Tommaso perché non volesse più scrivere.
San Tommaso gli rispose: “Reginaldo, figlio mio, ti rivelo un segreto, ma ti scongiuro per il Dio vivo e onnipotente e per la tua fedeltà al nostro Ordine e per l’amore che mi porti di non rivelare ad alcuno ciò che sto per dirti, finché sarò vivo. È venuto il termine del mio scrivere, perché mi sono state rivelate cose tali, e le ho viste, che dinanzi ad esse tutto ciò che ho scritto e insegnato mi sembra una cosa di nessun conto, un po’ di paglia. E perciò spero in Dio che come è venuto il termine del mio insegnare, così venga presto la fine della mia vita”.

8.  Pertanto aldilà delle varie ipotesi che sono state formulate secondo cui San Tommaso soffriva in quel momento di una estrema debolezza, rimane vero che San Tommaso smise di scrivere e di dettare perché sentì che le sue parole umane erano del tutto inadeguate ad esprimere ciò che aveva visto.
“Un po’ di paglia”: che può significare l’assoluta inadeguatezza delle sue parole o anche che le sue parole meritassero di essere bruciate come paglia.

Ti ringrazio per avermi dato l’opportunità di presentare quest’episodio particolarmente significativo non solo per la vita di San Tommaso ma anche per la teologia stessa.
Ti benedico, ti auguro ogni bene e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo