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Quesito

Caro Padre Angelo,
Per caso cercando una risposta sulla morale cattolica mi sono imbattuto nel sito “amici domenicani” e ho avuto modo di apprezzare le risposte da Lei date soprattutto sulla morale sessuale. Ho letto con interesse e condiviso le spiegazioni e le motivazioni fornite in quanto, tenendo la mente sgombra di pregiudizi e guardando in assoluta sincerità dentro il nostro animo, non si può non essere d’accordo con l’insegnamento costante del Magistero tralasciando le opinioni del falsi profeti che specie in questi ultimi tempi, pervasi da un becero e diffuso anticlericalismo nonché da un’ostilità preconcetta nei confronti del pensiero di Papa Ratzinger, cercano di distogliere i credenti dalla via tracciata dal Vangelo e dalla Chiesa. Poi naturalmente siamo tutti peccatori e quindi possiamo deviare per debolezza dalla retta via magari anche molte volte ma senza per questo cercare di far passare per lecito ciò che moralmente non lo è affatto. Meglio saper riconoscere che un certo atteggiamento è peccato piuttosto che giustificarlo come lecito cercando scusanti nel fatto che si tratta di comportamenti ormai entrati nella consuetudine della maggioranza.
Ciò premesso ho anch’io un quesito da porLe a proposito del nudo femminile – rappresentato in quadri o foto – per il quale provo una certa attrazione estetica. Chiarisco subito che non ho alcun dubbio nel ritenere moralmente riprovevole la pornografia, e per tale intendo la rappresentazione attraverso immagini (foto, film c.d. hard core, movie, ecc) di atti sessuali tra soggetti eterosessuali o omosessuali o in atteggiamenti volgari (per es. masturbazione) che provocano comunque disgusto nelle persone normalmente dotate di buon senso anche senza andare a disturbare la morale cattolica. Ma vorrei conoscere il Suo pensiero a proposito del nudo di per sé, sia che sia rappresentato in un quadro o in una scultura (basti pensare alle Veneri del Tiziano, alle statue dell’antica Grecia e Roma o alle figure femminili di altri innumerevoli autori) o in fotografie che mettono in risalto la bellezza di un corpo. A me non sembra infatti che qui siamo nel campo della pornografia, ma direi piuttosto di un certo erotismo e quindi non vedrei nulla di riprovevole purché non ci si lasci prendere dalla morbosità (che per il vero potrebbe sussistere anche semplicemente guardando una bella donna vestita!). Mi rendo conto che il discorso può diventare delicato in quanto potrebbe investire i rapporti tra la morale cattolica e l’arte (che cosa è l’arte? Chi ne decide i confini?) ma confido nella consueta chiarezza della Sua esposizione per risolvere i miei dubbi.
In attesa dunque di ricevere il Suo apprezzato parere La ringrazio anticipatamente e La saluto cordialmente.
S.


Risposta del sacerdote

Caro S.,
1. La nudità, quando è uscita dalle mani di Dio, non era impudica. Lo è diventata dopo il peccato originale.
Essa, soprattutto quando è finalizzata a mettere in mostra gli organi sessuali (esibizionismo), suscita la veemenza delle passioni, ravviva la fantasia, stimola a pensare o a desiderare il corpo altrui in termini strumentali.
Sotto questo aspetto, evidentemente, è impudica. E lo è talvolta, in maniera ancora più forte, quando si copre di quei veli che servono soltanto ad acuire il desiderio libidinoso1.
Di fronte a questo la persona reagisce col pudore.
Il pudore è il rifiuto di presentarsi agli altri semplicemente ridotti alla propria corporeità, di apparire e di essere per l’altro tutto e solo corporeità.

2. Quando le opere d’arte sono veramente tali, anche se esprimono nudità, sembra tuttavia che quella nudità sia coperta dal valore che viene espresso.
Nell’opera d’arte c’è qualcosa che attira l’attenzione prima ancora della nudità del soggetto.
Max Scheler, uno dei più acuti pensatori moderni sul tema del pudore, ha scritto: “Possiamo paragonare il pudore addirittura ad una fine paura che circonda e bagna il corpo umano… Quest’aura mi sembra che gli scultori greci, nelle più significative rappresentazioni dell’Afrodite, l’abbiano espressa con arte impareggiabile: come se il loro rispettoso senso osasse rappresentare nuda la dea solo perché essi nello stesso tempo, sentivano in se stessi la possente forza dell’anima di dissimulare, agli occhi del volgo, la sua nudità mediante la perfetta rappresentazione di quell’avvolgimento quasi palpabile di pudore, in un modo assai più profondo di quanto non lo consentisse un qualsiasi rivestimento” (Pudore e sentimento del pudore, p. 44).
Tutto questo invece non capita nella pornografia.

3. Giovanni Paolo II ha detto: “Nel decorso delle varie epoche, cominciando dall’antichità – e soprattutto nella grande stagione dell’arte classica greca – vi sono opere d’arte il cui tema è il corpo umano nella sua nudità, e la cui contemplazione consente di concentrarci, in certo senso, sulla verità intera dell’uomo, sulla dignità e sulla bellezza – anche quella soprasensuale – della sua mascolinità e femminilità. Queste opere d’arte portano con sé, quasi nascosto, un elemento di sublimazione che conduce lo spettatore, attraverso il corpo, all’intero mistero personale dell’uomo. In contatto con tali opere, dove non ci sentiamo determinati dal loro contenuto verso il guardare per desiderare di cui parla il discorso della montagna, impariamo in certo senso quel significato sponsale del corpo, che è il corrispondente e la misura della purezza del cuore” (5.5.1981).
Giovanni Paolo II però ha anche osservato che vi sono “alcune opere d’arte, e forse ancor più spesso riproduzioni, che suscitano obiezioni nella sfera della sensibilità personale dell’uomo – non a motivo del loro oggetto, poiché il corpo umano in se stesso ha sempre una sua inalienabile dignità -, ma a motivo della qualità o del modo della sua riproduzione, raffigurazione, rappresentazione artistica” (5.5.1981).

Ti ringrazio, ti prometto un ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo


1“La civetteria è spesso fenomenicamente simile al pudore, avendo in comune con esso molte reazioni e caratteri esteriori. È però al contempo una cosa assai diversa sul piano delle intenzioni. Nella dinamica del corteggiamento amoroso, la civetteria è un tirarsi indietro dinanzi al corteggiamento, non per pudore, ma per incitare l’altro a continuarlo, eccitandolo maggiormente e facendogli sperare in maniera reiterata quella soddisfazione che gli si nega puntualmente…
La civetteria imita il pudore nelle espressioni, e per es., si ritrae e abbassa gli occhi non pensando però che a rialzarli prontamente di nuovo per controllare gli effetti indotti. La civetteria utilizza i simboli del pudore unicamente per provocare e ammaliare” (G. Chimirri, op. cit., p. 47).