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Quesito

Caro Padre Angelo,
vorrei chiederle: come potevano i profeti udire quanto Dio aveva loro da comunicare?
Grazie per la sua gentile risposta!
Una preghiera per lei e tutta la famiglia domenicana, alla quale mi sento legata con la fraternità del santo Rosario.
Rosa


Risposta del sacerdote

Cara Rosa,
riprendo l’interessante riflessione fatta da Padre Girotti, oggi Beato, nel suo monumentale commento al profeta Isaia, e pubblicata nel nostro sito. Ho portato qualche ininfluente cambiamento linguistico.

1. Mentre la vocazione al sacerdozio in Israele era esclusiva della tribù di Levi e la vocazione alla regalità era riservata alla famiglia di Davide, la vocazione al profetismo non era legata né a una determinata tribù, né a una determinata famiglia.
Dio prende il profeta dove gli piace, senza nessuna distinzione di condizione sociale, di fortuna, di educazione, di sesso o di età.
Samuele apparteneva alla tribù di Levi (1 Re 1,20), Eliseo (era un semplice agricoltore, 1 Re 19,19) era della tribù di Efraim, Amos, della tribù di Giuda, era povero pastore (Am 1,1), Isaia sembra appartenesse a una delle più distinte famiglie di Gerusalemme, Geremia era dei discendenti di Aronne.
Anche le donne non erano escluse dal carisma profetico, e la Bibbia ci ha pure tramandato il nome di alcune di esse, tra cui Maria, sorella di Mosè (Es 15,20), Debora ai tempi dei Giudici (Gdc 4,4-5) e Olda ai tempi di Giosia (2 Re 22,14).
In generale si può ancora affermare che Dio non esigeva determinate disposizioni naturali o soprannaturali, per quanto sembri ne abbia tenuto conto.

2. All’inizio missione del profeta è vi la chiamata di Dio. È una  vocazione soprannaturale.
Nessun profeta propone se stesso spontaneamente. Tutti sono presi come a viva forza.
Dio li strappa alle loro occupazioni e li getta tutti frementi a combattere la sua battaglia.
Il loro ingresso nell’apostolato produce in essi una tale impressione che tutti quelli di cui abbiamo qualche particolare biografico, riferiscono all’origine della loro attività, questa vocazione divina.
Contro di essa hanno talvolta tentato di recalcitrare, ma invano.
Questa vocazione divina, che forma la loro originalità e li distingue da tutti i personaggi religiosi dei culti naturali, sia in Oriente che in Grecia o a Roma, spiega la loro audacia di fronte ai re, ai sacerdoti e alle associazioni profetiche, e giustifica ampiamente il loro straordinario ascendente morale su tutta la nazione.

3. Alcuni profeti, come Amos, Isaia, Geremia, Ezechiele, ci hanno trasmesso il racconto della loro vocazione.
Riguardo ad altri, non è difficile ricavare dai libri storici qualche dato informativo concernente la loro vocazione.
Altri infine, senza accennare esplicitamente alla loro vocazione, ci trasmettono le rivelazioni fatte loro da Dio, ma queste sono sufficienti per testimoniarci la certezza che essi avevano dell’origine divina della loro missione.
Del resto si può benissimo ammettere che in molti casi la vocazione fosse implicitamente contenuta nella prima visione di cui Dio favoriva il profeta o nel primo messaggio di cui l’incaricava.
Mosè, il primo di tutti, è strappato al suo gregge nel deserto di Madian.
Dalle fiamme del rovo ardente che brucia senza consumarsi sente l’oracolo di Jahvé: Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!(Es 3,10).
Mosè invano si dibatte, invano protesta che il compito è superiore alle sue forze: Mosè andrà.

4. Samuele, prima ancora di aver avuto coscienza del pericolo che l’infedeltà fa correre al suo popolo e d’aver gettato il suo sguardo infantile nell’abisso dell’empietà con cui i figli di Eli mandano alla rovina il culto del vero Dio, ode la chiamata di Jahvé e risponde: Parla, o Signore, che il tuo servo ti ascolta (1 Sam 3,10).

5. Elia, nel paese di Galaad, sente la voce di Dio che gli comanda: Partii di qua e va verso Oriente per nasconderti nel torrente Carit, che sta in faccia al Giordano… (1 Re 17,2).
Ed Elia parte attraverso il paese bruciato dalla siccità, ove più nessuno potrà provvedere al suo sostentamento e prelude con atti di fede al movimentato ed eroico ministero che fece di lui il profeta del deserto, l’uomo dal mantello di peli.
Simile all’uragano improvviso che feconda e devasta, Elia compare e scompare, colpisce di sterilità il paese, restaura la vera religione tradita da Acab, e non può trovare riposo all’anima sua se non lontano dal tempio e dai santuari profanati, là sulla montagna di Dio, sull’arida vetta dell’Oreb, di dove fu promulgata la vera religione (1 Re 19).

6. Anche Amos non fu lui a scegliersi il suo apostolato. Di condizione sociale era pastore a Tecca nel deserto di Giuda e coltivava sicomori.
Quando Amasia, sacerdote di Betel al servizio di Geroboamo re d’Israele, vuol congedare Amos e lo invita a ritornare nel paese di Giuda per profetizzarvi a proprio agio, Amos gli risponde:Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele (Am 7,15 s.).
In altre parole: quest’ufficio di profeta mi è stato imposto da Dio stesso quand’io neanche ci pensavo. Non dipende quindi da me rinunciarvi. E Amos, semplice pastore, andò a scagliare i fulmini di Jahvé contro Betel, «la casa reale e il santuario del re».

7. Il caso di Osea è più misterioso e la sua vocazione di origine più intima, ma è pur sempre la voce di Dio che gli dice: Va’, prenditi in moglie una prostituta, genera figli di prostituzione, poiché il paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal Signore (Os 1,2).
E le esperienze che fece nell’infelicità della sua vita coniugale aprirono gli occhi del profeta sulla vera natura dell’infedeltà d’Israele nei suoi rapporti con Dio.

8. Nella carriera profetica d’Isaia, il principe dei profeti, tutto è grandioso, magnifico. È quindi naturale che sia stata inaugurata con una visione in cui si svela ai suoi occhi abbagliati lo splendore del Dio, tre volte santo. E dissi: Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti».
Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare.
Egli mi toccò la bocca e disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato».
Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!» (Is. 6, 5-8).
Il Signore disse a Isaia: «Va’ incontro ad Acaz (Is 7,3). E Isaia andò davanti al re potente, superbo ed empio. Durante quasi un mezzo secolo, senza punto lasciarsi intimidire, Isaia frequenta la corte, lotta contro i re imprevidenti, contro i sacerdoti formalisti, contro i profeti bugiardi.
Con Acaz non riesce nei suoi intenti, trionfa invece con Ezechia e, grazie alla pietà del monarca, salva Gerusalemme dagli artigli mortiferi dell’Assiria (Is 37,22-38).

9. Di Michea, contemporaneo d’Isaia, non abbiamo che poche pagine, ma quanto cocenti! Anche lui dichiara formalmente che, se parla, è perché la parola di Jahvé gli è stata indirizzata: Io sono ripieno della virtù dello spirito del Signore, del discernimento e della fortezza, per annunciare a Giacobbe la sua colpa e a Israele il suo peccato(Mich 3,8).

10. Geremia, prima di entrare nella sua carriera di martirio, si dibatte contro la chiamata di Dio: Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane (Ger 1,6).
Riluttanza e affanno inutile:Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni (Ger 1,5 ss).
Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti (Ger 1,18-19).
Da questa pagina di Geremia possiamo avere un’idea di ciò che furono queste vocazioni dei profeti: certezza dell’elezione dall’alto, impossibilità di sottrarvisi. Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso (Ger 20,7).
E questa vittoria di Dio ha riempito il suo messaggero d’un tale entusiasmo per la sua missione che, anche nei momenti più disperati, il profeta non può decidersi a battere in ritirata o a chiudersi in un silenzio che gli assicurerebbe il riposo (Ib., 20,7-9).
Lo stesso profeta trascinato davanti ai magistrati e minacciato di morte come bestemmiatore, afferma solennemente: Il Signore mi ha mandato a profetizzare contro questo tempio e contro questa città le cose che avete ascoltato.
Migliorate dunque la vostra condotta e le vostre azioni e ascoltate la voce del Signore, vostro Dio, e il Signore si pentirà del male che ha annunciato contro di voi.
Quanto a me, eccomi in mano vostra, fate di me come vi sembra bene e giusto; ma sappiate bene che, se voi mi ucciderete, sarete responsabili del sangue innocente, voi e tutti gli abitanti di questa città, perché il Signore mi ha veramente inviato a voi per dire ai vostri orecchi tutte queste parole (Ger 26,12-15).

11. Ezechiele diventa il pastore degli esiliati in seguito a una visione d’una eccezionale bellezza apocalittica: la parola del Signore fu rivolta al sacerdote Ezechiele, figlio di Buzì, nel paese dei Caldei, lungo il fiume Chebar. Qui fu sopra di lui la mano del Signore (Ez 1,3).
E da questa mano, che gli toglie qualsiasi facoltà di disporre ancora di sé, Ezechiele è consacrato «sentinella di Dio»: Sopra il firmamento che era sulle loro teste apparve qualcosa come una pietra di zaffìro in forma di trono e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane.
Da ciò che sembravano i suoi fianchi in su, mi apparve splendido come metallo incandescente e, dai suoi fianchi in giù, mi apparve come di fuoco. Era circondato da uno splendore simile a quello dell’arcobaleno fra le nubi in un giorno di pioggia. Così percepii in visione la gloria del Signore. Quando la vidi, caddi con la faccia a terra e udii la voce di uno che parlava (Ez 1,26-28).
Mi disse: «Figlio dell’uomo, àlzati, ti voglio parlare».
A queste parole, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava.
Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: «Dice il Signore Dio». Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli -, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro. Ma tu, figlio dell’uomo, non li temere, non avere paura delle loro parole. Essi saranno per te come cardi e spine e tra loro ti troverai in mezzo a scorpioni; ma tu non temere le loro parole, non t’impressionino le loro facce: sono una genìa di ribelli. Ascoltino o no – dal momento che sono una genìa di ribelli -, tu riferirai loro le mie parole (Ez 2,1-7).

12. Infine Zaccaria afferma: E voi saprete che il Signore degli eserciti mi ha inviato (Zac 2,13)

13. Da tutti questi testi risulta che i profeti si consideravano come messaggeri specialissimi di Dio; in ogni pagina dei loro scritti è affermata questa sicura convinzione.
E certamente tale fiducia nella realtà della loro vocazione è di un’importanza primordiale, tanto più se si pensa che le loro dichiarazioni furono fatte in circostanze talvolta gravissime e con pericolo della loro vita.
Ma d’altra parte, è pur evidente che non bastava dire. «È Dio che mi manda»; bisognava provarlo. Il profeta, soprattutto quando era molto giovane, come nel caso di Geremia e forse anche di Isaia all’inizio del loro ministero, non avrebbe potuto farsi ascoltare senza una garanzia divina e un segno dall’alto.
Inoltre come poteva il popolo giudicare della missione legittima del profeta, come poteva distinguere il vero profeta di Dio dalla colluvie di impostori e usurpatori che senza alcun mandato, pretendevano di comunicare le parole di Jahvé?
Erano quindi necessari degli indizi, dei segni, delle testimonianze, delle carte d’identità: e Dio, nella sua sapienza e bontà infinita, non mancò di accreditare i suoi inviati presso il popolo.
Questi difatti aveva a sua disposizione parecchi criteri di vario ordine, la cui simultanea presenza doveva necessariamente indurre la certezza.
Tra i vari criteri che servono a discernere e a garantire la missione soprannaturale del profeta, tengono indubbiamente il primo posto il miracolo e la profezia.
Dio, al fine di accreditare Mosè presso il popolo d’Israele, gli conferisce il potere di fare miracoli (Es 4,1-9)
Isaia (7,11), al fine di confermare una profezia, si dichiara pronto a operare davanti al re Acaz uno strepitoso miracolo, a libera scelta del sovrano. Lo stesso profeta (Is 38,7-8; 2 Re 20, 8-11) compie un miracolo per provare a Ezechia che Dio lo farà guarire, dopo tre giorni gli permetterà di salire al tempio e gli concederà ancora quindici anni di vita.

14. Oltre ai miracoli abbiamo le profezie a breve scadenza. Il compimento di tali profezie (le quali ordinariamente sono presentate come garanzia di profezie di più vasta portata), provava che Dio era veramente con colui che si diceva suo inviato.
Questo è precisamente il criterio che inculca il Deuteronomio (18,21-22) per distinguere il vero dal falso profeta: Forse potresti dire nel tuo cuore: «Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detto?». 22Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l’ha detta il Signore. Il profeta l’ha detta per presunzione. Non devi aver paura di lui.
Così Samuele predice la morte dei due fìgli di Eli, Ofni e Finees (1 Sam; 2, 34.
Elia predice l’orribile siccità di tre anni e mezzo (Lc 4,25; Gc 3,15).

15. Infine vi è il criterio della perfetta e assoluta conformità dell’insegnamento del profeta con la religione di Jahvé.
Questo criterio, per quanto d’ordine negativo, è talmente indispensabile, che senza di esso gli stessi miracoli e le stesse profezie, ammesso che in tal caso fossero possibili, non avrebbero alcun valore. Tale criterio è formulato dal Deuteronomio (13,1-5) in questi termini: Osserverete per metterlo in pratica tutto ciò che vi comando: non vi aggiungerai nulla e nulla vi toglierai.
Qualora sorga in mezzo a te un profeta o un sognatore che ti proponga un segno o un prodigio, e il segno e il prodigio annunciato succeda, ed egli ti dica: «Seguiamo dèi stranieri, che tu non hai mai conosciuto, e serviamoli», tu non dovrai ascoltare le parole di quel profeta o di quel sognatore, perché il Signore, vostro Dio, vi mette alla prova per sapere se amate il Signore, vostro Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima.
Seguirete il Signore, vostro Dio, temerete lui, osserverete i suoi comandi, ascolterete la sua voce, lo servirete e gli resterete fedeli.

Ecco dunque i criteri per discernere la chiamata divina a diventare profeti e i segni che accreditano la loro missione.
Ti ringrazio della preghiera fatta per me e per tutta la famiglia domenicana alla quale ti senti chiamata attraverso la Confraternita del SS. Rosario.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo