Questo articolo è disponibile anche in: Italiano

Quesito

Caro Padre Angelo,
mi congratulo innanzitutto per la profondità e la chiarezza delle Sue risposte. Volevo sottoporre alla Sua attenzione un dubbio che da anni mi tormenta. Conosco una famiglia meravigliosa (in tutti i sensi!) provata dalla più terribile tra le disgrazie: perdere un figlio che si è dato di propria volontà la morte, ovvero si è suicidato. Entrambi i genitori sono animati da una fede robusta e vigorosa che li sprona a continuare a vivere, lavorare e sorridere nonostante il dolore inimmaginabile. Il dubbio che mi tormenta è questo: ammesso e non concesso che il figlio si sia suicidato lucido, consapevole e dichiaratamente "contro Dio" (quindi non spinto dalla depressione o da altri mali della psiche che annientano il raziocinio e la volontà, come immagino che in realtà sia avvenuto), come si può pensare che nell’aldilà i genitori saranno completamente felici sapendo la propria creatura così lontana da Dio e da loro stessi? Non vivranno una felicità incompleta e un dolore immeritato per tutta l’eternità?
Ho un’altra domanda in riferimento all’aldilà. Lo immaginiamo bellissimo, poetico, struggente, tutto armonia, grazia e perfezione e sicuramente le nostre aspettative sono inferiori a ciò che ci attenderà. Mi chiedo: è possibile sperare che in paradiso si riderà? Da teologo esclude l’ilarità, l’allegria, l’ironia al cospetto di Dio? Dovremmo pensare a un San Filippo Neri (e chissà a quanti altri santi!) meno burloni in Cielo che in terra? So che è una domanda banale e molto umana, ma non è bellissimo sentire, almeno qualche volta in questa vita (e perché no nell’altra?), un’allegra risata?
La ringrazio anticipatamente e La saluto cordialmente.

 

 


Risposta del sacerdote

Carissima,
1. hai posto in maniera molto lucida il problema, che ridotto all’osso si può esprimere così: come possono essere contenti due genitori in paradiso vedendo il proprio figlio all’inferno?
Io potrei andare più in là e dire: come può essere contento Dio, il cui amore per ogni uomo supera infinitamente l’amore di tutti i genitori messi insieme, vedendo un solo uomo all’inferno?
 O come può essere contenta la Madonna nel vedere un suo figlio all’inferno dal momento che l’amore di tutte le mamme di questo mondo messe insieme a confronto del suo amore per ogni singola persona umana è simile a un pezzo di ghiaccio, come diceva il Santo Curato d’Ars?

2. Certamente è fuori posto pensare che Dio sia contento che qualcuno si trovi all’inferno.
Dio non ha creato l’inferno, nello stesso modo in cui non ha creato il peccato e la morte.
L’inferno è una creazione (se si può parlare così) delle creature, e cioè degli angeli ribelli e degli uomini impenitenti.
Dio non manda nessuno all’inferno, anche se troviamo nelle Scritture questo linguaggio antropomorfico.
Ognuno va nell’inferno che si è preparato direttamente o indirettamente con le sue stesse mani.
Ci va di propria iniziativa, rifiutando ogni aiuto che viene dato fino alla fine.

3. Di questa scelta negativa, che è un‘ostinazione eterna nei confronti di Dio e del suo amore, Dio ne ha sofferto immensamente in Cristo, “il cui dolore è superiore al dolore di tutti gli uomini messi insieme”, come dice San Tommaso.
E come la passione di Cristo dura in eterno perché viene continuamente offerta in cielo, così anche il dolore di Cristo viene in cielo eternamente offerto e lodato.
E come la passione rimane in eterno senza spargimento di sangue, in maniera incruenta e glorificata, così parimenti anche il dolore di Cristo.

4. Ora a proposito del dolore di Cristo va ricordato che nel suo dolore è assunto il dolore di ogni uomo.
Gesù fin dal primo istante della sua esistenza ha fatto proprio il dolore di ogni uomo, anche il dolore e la trepidazione dei genitori per la perdizione eterna dei loro figli.
Sicché ognuno in Paradiso ritrova in Cristo il proprio dolore, non come esperienza sensibile, ma in maniera incruenta, trasfigurata.

5. San Tommaso si chiede se i Santi del Paradiso godano delle sofferenze dei dannati.
E risponde dicendo che “i Santi non si rallegrano delle sofferenze in quanto tali dei peccatori” (Somma teologica, Supplemento, 94,3).
Così neanche i genitori che vedono i loro figli all’inferno possono rallegrarsi delle loro sofferenze.

6. San Tommaso dice anche che “rallegrarsi del male altrui in quanto tale deriva dall’odio” (Ib., ad 1).
I Santi in cielo vedono l’amore infinito di Cristo e vedono anche il suo immenso dolore, quel dolore che ha fatto proprio anche il nostro dolore e l’ha offerto per coloro che si sarebbero dannati.
E col medesimo rammarico di Cristo (rammarico che non è più sensibìle, ma incruento e trasfigurato) i Santi in Paradiso riconoscono che tale dolore è stato disprezzato e rifiutato.

7. Infine, se in Paradiso non ci si rallegra per il male altrui, tuttavia ci si compiace della giustizia di Dio che non retribuisce con la medesima moneta il bene e il male compiuto, gli atti più eroici di virtù e i crimini più efferati.
Sarebbe assurdo e ingiusto!
Ugualmente in Paradiso, contemplando le sofferenze dei dannati, ci si compiace eternamente di esserne stati risparmiati in virtù del Sangue di Cristo (Cfr. Somma teologica, Supplemento, 94,3).

Ecco dunque quanto possiamo dire.
Ti auguro ogni bene. Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo