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Quesito
Ill. mo Padre Angelo,
mi permetto di disturbarLa ulteriormente per proporLe un quesito semplice nella formulazione, ma credo non scevro di complessità nella risposta.
È di attualità assoluta la questione-DICO.
So che la Chiesa afferma da sempre la centralità della famiglia, e la improponibilità di forme aggiuntive di para-famiglia.
Sono in perfetto accordo con questo assunto.
Ma ciò che Le chiedo è: se io mi trovassi a dover motivare la mia posizione con dovizia di particolari e con argomentare completo, magari in un "confronto" con chi non condivide la mia fede, su quali "tasti" mi potrebbe consigliare di insistere? Come spiegare il "no" dei credenti alla formalizzazione delle unioni non familiari e – in ipotesi – omosessuali?
In particolare, un’obiezione mossa in una trasmissione televisiva mi ha colpito. Si diceva: se la Chiesa motiva il Suo "no" ai DICO in generale, e alle unioni omosessuali in particolare, sulla base dell’impossibilità di procreare, perchè allora permette il matrimonio fra eterosessuali in età avanzata? Nemmeno questi ultimi, infatti, potranno generare figli.
Riconosco in quest’obiezione, "a pelle", una connotazione sofistica, ma Le chiedo di aiutarmi ad acquisire i giusti argomenti per smascherarne il carattere eminentemente suggestivo.
Grazie sempre per la Sua preziosa attività, Le assicuro la mia povera preghiera.
Antonio Carchietti
Risposta del sacerdote
Caro Antonio,
1. partendo dalla constatazione che lo stato non crea la famiglia, ma la riconosce, la famiglia ha dei diritti originari e preesistenti allo stato.
Non si può disattendere che nel matrimonio l’uomo e la donna si donano, anzi si cedono l’uno all’altro in ordine alla generazione ed educazione della prole, al reciproco perfezionamento e al vicendevole aiuto.
La generazione ed educazione della prole è certamente l’obiettivo che caratterizza il matrimonio e dà una solidità ai doveri e ai diritti dei coniugi in ordine alla crescita ed educazione dei figli.
Questi doveri e diritti lo stato li riconosce, e con questo conferisce protezione giuridica alla famiglia.
Le unioni di fatto invece, proprio perché sono basate sulla libertà di sciogliere la convivenza come e quando si vuole, non danno garanzie per il bene integrale dei figli.
2. Giustamente Mons. Luciano Monari, vescovo di Piacenza, in un articolo pubblicato sull’Avvenire del 12,2.2007 scrive: “La famiglia risponde nella nostra società a una funzione primaria: quella della procreazione, del mantenimento e della fondamentale educazione dei figli.
Naturalmente, la famiglia svolge anche altre funzioni a livello affettivo, culturale o economico; ma questa (quella della generazione dell’educazione dei figli) è una funzioni squisitamente sociale che la famiglia svolge; dal modo in cui questa funzione viene svolta dipende in gran parte il benessere della società e il suo stesso futuro.
Chi si sposa assume dei doveri e delle responsabilità che non sono affatto leggeri ma che permettono alla famiglia di svolgere il suo compito nella società.
Questo è il motivo per cui la legge chiede una certa stabilità della famiglia: riconosce il divorzio, certo, ma lo ratifica dopo la verifica di alcune condizioni poste dal legislatore. Lo Stato cerca di rendere stabile la famiglia non per motivi etici ma perché riconosce che il proprio benessere dipende (anche) dal buon funzionamento dell’istituto familiare”.
3. La volontà di garantire dei diritti e dei privilegi simili a quelli della famiglia a chi si mette in un’unione di fatto è deleterio per la società. Potrei dire che porta al suicidio della famiglia e della società.
Di fatto, dando riconoscimento e protezione giuridica a simili unioni, lo stato le mette, anche se non lo riconosce, in alternativa con il matrimonio e la famiglia.
E, come osserva giustamente mons. Monari, sembra dire ai giovani che guardano al loro futuro: “Hai davanti a te la vita: scegli liberamente se vuoi impegnarti nel vincolo familiare e se vuoi unirti senza impegno col tuo partner;
per me, società, questa scelta è indifferente; ti tratterò nello stesso modo qualunque strada tu preferisca.
Una simile alternativa è socialmente distruttiva perché contiene surrettiziamente un ragionamento del tipo: «Se non sei sciocco, scegli i pacs: avrai le stesse garanzie della famiglia e non dovrai subirne i vincoli».
Se la società considera la famiglia un bene per la società (e cioè concretamente un "meglio") deve evidentemente favorirla; se non la favorisce, deve sapere che ne pagherà il prezzo.
È un prezzo il cui pagamento sembra lontano nel tempo, e soprattutto è un prezzo che pagheranno gli altri (i figli e i figli dei figli); perciò appare preferibile, dal punto di vista personale, scegliere in questa direzione”.
Con il disegno di legge predisposto dal governo la famiglia, anziché essere incoraggiata e favorita, ne riceve indubbiamente un brutto schiaffo.
Se questo disegno di legge venisse approvato dal Parlamento dovremo assistere all’effetto ineluttabile della morte progressiva della famiglia.
La cosa diventa ancora più grave se si pensa che tutta questa fretta per dare riconoscimento e protezione alle unioni di fatto mira a garantire sul piano giuridico le unioni omosessuali, con il relativo diritto di adozione.
4. Qualcuno potrebbe obiettare: ma i figli si possono generare ed educare anche nelle unioni di fatto, non è necessario il matrimonio!
Tornano di nuovo opportune le riflessioni del vescovo di Piacenza: “Già ora la famiglia è evidentemente in crisi e questa crisi è pagata a caro prezzo dalla società. Se i figli crescono più insicuri e aggressivi è perché non hanno alle spalle la sicurezza affettiva e sociale della loro famiglia…
Non è mai stato facile, nel mondo moderno, superare la crisi dell’adolescenza…
Ma questo passaggio diventa ancora più difficile se un ragazzo non si sente sicuro affettivamente: se teme che i suoi genitori si possano dividere, se immagina di dover fare la spola tra un genitore e l’altro, se non sa quale atteggiamento tenere nei confronti di ciascuno e non è sicuro dell’atteggiamento dei genitori nei suoi confronti. È un prezzo altissimo che i giova sono costretti a pagare”.