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Quesito
Prima di sottoporla al mio quesito vorrei innanzitutto ringraziarla per l’impegno e la delicatezza che impiega per rispondere alle molte lettere.
Questo sito mi è risultato davvero utile per poter avere chiari chiarimenti in merito a certe tematiche che riguardano la sfera della teologia morale e non solo.
Devo riconoscere inoltre che la mia vita cristiana continua a presentare notevoli miglioramenti, grazie ai suoi consigli come la quotidiana recita del rosario, poiché ho cominciato ad evitare certi peccati, che durante l’adolescenza e soprattutto nella nostra epoca, si è più inclini a compiere.
Colui che le scrive è un ragazzino di 13 anni che ha l’intenzione di approfondire un argomento abbastanza complesso come il tempo.
Mi rivolgo a lei per chiederle maggiori approfondimenti, se ciò non le arreca disturbo, sulla concezione di tempo e anche di eternità di Dio, magari citandomi i grandi colossi della filosofia greca antica, oppure sant’Agostino o san Tommaso d’Aquino e via dicendo.
Grazie ancora per tutto l’amore che dimostra per le stesure delle sue risposte.
Vi ricorderò al Signore e alla Beata sempre Vergine Maria nelle mie preghiere.
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. tutti parliamo di tempo. Ci domandiamo ad esempio: quanto tempo ci vuole da quella località ad un’altra? Quanto dura una lezione? Quanto tempo è passato da quell’evento?
Tutti ci portiamo dietro la consapevolezza implicita di che cosa sia il tempo.
Ma, appena ci domandiamo che cosa sia il tempo, rimaniamo senza risposta.
2. Era questo il motivo per cui Sant’Agostino nelle sue Confessioni si domandava: “Ma che cos’è il tempo? Chi riuscirà a spiegarlo facile e breve? Chi potrà col pensiero capirne tanto da dirne una parola? Eppure non c’è idea che ricorre più familiare e nota nei nostri discorsi che quella del tempo. E la comprendiamo bene anche quando la sentiamo dire da un altro interlocutore. Che è dunque il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo domanda non lo so” (Confessioni, XI,14).
3. Credo che non si sia trovata definizione migliore di quella del filosofo greco Aristotele: “Il tempo è la misura del movimento secondo il prima e il poi”.
Sicché possiamo dire che c’è il tempo quando c’è il passato, il presente e il futuro,
4. Quando il presente non passa e non c’è futuro, si parla di eternità.
L’eternità allora è l’istante che non passa e non ha passato.
Per questo Severino Boezio descrivendo la gioia che si prova in paradiso, nell’eternità, dice che si tratta di “un possesso perfetto e totalmente simultaneo di una vita interminabile” (“interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio”, De consolatione, V).
5. Quando Aristotele ha detto che il tempo è la misura del movimento secondo un prima e un dopo, ha fatto anche un’altra grande considerazione: il computo secondo un prima e un dopo è fatto dalla nostra mente. È il nostro modo di considerare le cose.
E dice il movimento è nella realtà, ma il computo, ossia la misura del movimento, è nella nostra mente.
Per cui concludeva: se non ci fosse un’anima (e cioè una mente) che misura il tempo, non esisterebbe il tempo.
Esisterebbe il movimento, ma non c’è nessuno che lo misura.
6. Questo è il motivo per cui Sant’Agostino dice ancora: “Quello che ora è limpido e chiaro è questo: né futuro né passato esistono; e quindi non si può propriamente dire: i tempi sono tre: passato, presente e futuro.
Forse sarebbe più proprio dire: i tempi sono tre, e cioè il tempo del passato, il tempo del presente, il presente del futuro. Essi sono tutti e tre nell’anima (cioè: nella mente, n.d.r.) ma altrove non li vedo.
Il presente del passato è la memoria; il presente del presente è la visione; il presente del futuro è l’attesa” (Confessioni, XI, 20).
E conclude: “In te, o anima mia, io misuro il tempo” (Ib., XI,27).
7. San Tommaso mutua il concetto di tempo da Aristotele e dice che “il tempo non è altro che il numero del movimento secondo un prima e un dopo” (Somma teologica, I, 10,1).
È d’accordo con Sant’Agostino nel ritenere che il tempo come misura del divenire non esiste fuori della nostra mente.
Tuttavia, osserva, ha una sua radice nelle cose: perché senza il divenire, che è proprietà delle cose, non ci sarebbe neppure il tempo.
Scrive: “Ciò che appartiene al tempo come suo elemento materiale, si fonda nel divenire, ossia nel prima e nel poi; invece per quanto concerne il suo aspetto specifico (formale), questo è frutto dell’operazione dell’anima misurante.
Per questo motivo Aristotele nella Fisica (IV,14) dice che se non ci fosse l’anima non ci sarebbe neppure il tempo” (Commento alle Sentenze di Pietro lombardo, I, 19,2,1).
8. Osserva anche che il tempo è una delle proprietà delle realtà corporee, le quali sono necessariamente soggette al divenire, al cambiamento, allo sviluppo, alla generazione e alla corruzione. “Il tempo è la misurazione di cose che hanno successione: perciò sono direttamente misurate dal tempo quelle cose che implicano l’idea di successione, o elementi connessi con la successione: per esempio il moto, la quiete, la conversazione e simili” (Somma teologica, I-II, 31,2).
9. San Tommaso, parlando del tempo, necessariamente parla dell’eternità. Ma introduce anche una realtà che sta tra il tempo eternità: è l’evo.
Alcuni ai suoi tempi, per farla breve, dicevano che l’eternità non ha né principio né fine. L’evo ha principio ma non ha fine, mentre il tempo ha principio e ha fine.
E concludevano: Dio è nell’eternità, gli angeli buoni o cattivi e le anime separate sono nell’evo, la realtà di questo mondo sono nel tempo.
10. Questo modo di ragionare è certamente comprensibile. È sintetico ed è anche bello.
Ma San Tommaso non è soddisfatto perché, rileva, “supposto che gli angeli siano sempre esistiti, l’evo differirebbe ancora dal eternità”.
Dio, infatti, avrebbe potuto crearli dall’eternità.
Con questo sarebbero stati resi partecipi dell’eternità, ma non sarebbero di natura eterni.
11. Perciò, partendo dalla considerazione che tutto ciò che esiste è in atto, conclude che si può essere in atto in tre modi.
Nel primo, quando il soggetto è in atto e non è in alcun modo in potenza, perché racchiude già tutta la perfezione possibile: “E tale è l’essere divino e la sua operazione” (Commento alle Sentenze di Pietro lombardo, I, 19,2,1).
12. Nel secondo modo il soggetto è in atto quando ha acquisito la perfezione che gli aspettava e tuttavia sottostà ancora ad una certa potenzialità: “E a questo corrisponde l’evo” (Ib.).
Questo soggetto corrisponde agli angeli e ai beati del paradiso, ai quali Dio concede di attuare qualche operazione in questo mondo. Non è un’operazione che aggiunge qualcosa di essenziale alla loro perfezione, che è già del tutto acquisita. Ma manifesta la provvidenza che possono esercitare nei nostri confronti.
13. Nel terzo modo il soggetto è in parte in atto e in parte in potenza: è in atto in quanto è esistente. È in potenza in quanto è in divenire.
Tale soggetto corrisponde alle creature di questo mondo.
Proprio per il suo divenire esiste in una successione di momenti: “E a questo corrisponde il tempo” (Ib.).
Dopo averti presentato queste interessanti nozioni, ti ringrazio per il gradito ricordo che mi hai promesso al Signore e alla Beata Vergine Maria.
Lo contraccambio volentieri, ti auguro ogni bene e ti benedico.
Padre Angelo