Questo articolo è disponibile anche in:
Italiano
Quesito
Caro p. Angelo,
Le auguro un felice e lieto inizio dell’anno nuovo, per quanto possa esserlo appena dopo la scomparsa del Santo Padre Benedetto XVI.
Le vorrei fare una domanda pratica sul Sacramento della Penitenza.
Ecco la domanda: se, durante la Confessione, il penitente si rende conto o ha il ragionevole dubbio che il confessore non abbia sentito alcuni peccati gravi che il penitente ha confessato, il penitente è tenuto a ripeterli o può ricevere l’assoluzione pur essendo consapevole o dubbioso che il confessore non sia pienamente cosciente di ciò che sta perdonando? E per quanto riguarda invece quei peccati gravi che il confessore ha sì sentito, ma dei quali il penitente intuisce ragionevolmente che il sacerdote non abbia compreso la gravità?
Mi scuso per il quesito un po’ ostico, ma che mostra una situazione che penso possa essere stata talvolta fonte di dubbio anche per le coscienze meno scrupolose.
La ringrazio e Le faccio ancora tanti auguri in vista dell’Epifania.
Matteo
Risposta del sacerdote
Caro Matteo,
più che ostico, il quesito sembra risentire di un animo tendente allo scrupolo.
1. In linea ordinaria non dobbiamo dubitare che il sacerdote confessore abbia capito.
Perché se ci fossero in lui dei motivi di dubbio, certamente li paleserebbe e farebbe qualche domanda al penitente.
Succede infatti che il sacerdote chieda di ripetere perché non ha sentito sia perché talvolta i penitenti parlano con voce fievolissima sia perché il sacerdote potrebbe essere diventato duro d’orecchio, sia anche per i qualche rumore.
Per cui, fatta la propria accusa, il penitente non ho motivo di dubitare “ragionevolmente”.
2. Dei peccati gravi di cui si dubita che il sacerdote ne abbia compreso la reale gravità, vale il medesimo discorso.
Anzi, in genere succede il contrario: vale a dire che il sacerdote intuisce che il penitente abbia dei peccati gravi e che non li accusi perché non li considera gravi o per altri motivi.
In genere il sacerdote confessore ha una conoscenza delle anime molto più profonda e dettagliata di quanto non lo pensi il penitente.
3. Capita a volte che il sacerdote nell’esortazione che propone non tocchi alcuni peccati gravi che sono stati confessati.
Se non ne fa menzione, ha i suoi motivi. Sa che il penitente vive in una situazione per cui quasi necessariamente cade in determinati peccati gravi.
Non interviene per non aggravare la situazione del penitente. Si accontenta che il penitente li accusi e manifesti di saper distinguere il bene dal male e di rigettare i peccati commessi.
A me capita sovente di fare così.
4. Infine va detto che il sacerdote assolve di norma i peccati che gli sono stati confessati.
Ma assolvendo quei peccati intende implicitamente assolvere anche i peccati non accusati.
Anzi, assolve per tutto quello che il Signore vede, per tutto quello che il penitente non ricorda e per tutto ciò che costituisce motivo di peccato ma di cui il penitente non ha sufficiente cognizione.
5. L’accusa dei peccati non deve in nessun modo diventare tortura di coscienza.
Alcuni penitenti purtroppo hanno questa inclinazione per motivi vari, come quello della scrupolosità che tende a vedere invalido o insufficiente quello che è valido e sufficiente.
Il sacerdote, che si accorge di questo, tende a sorvolare e tagliar corto perché il sacramento rimanga sacramento di salvezza e doni sollievo alle anime.
Il penitente quando ha accusato i propri peccati senza intendere occultare nulla, ha fatto la sua parte e non ha nessun motivo di inquietarsi.
6. Colgo l’occasione però per ricordare che tra i tre atti che deve compiere il penitente (contrizione, accusa e compimento della penitenza assegnata detto anche soddisfazione) il più importante e assolutamente necessario è quello della contrizione.
Ci possono essere situazioni in cui l’accusa non è possibile e ad essa si viene dispensati, rimandandola a tempo opportuno.
Si può essere dispensati anche dal compimento della penitenza.
Mai invece si può essere dispensati dal pentimento.
7. E siccome il vero pentimento o contrizione è di ordine soprannaturale perché scaturisce dall’offesa fatta Dio o anche dal timore della perdizione eterna, va domandato a Dio perché è un vero dono.
Pertanto domanda la grazia del pentimento dei peccati.
Domandala sempre attraverso l’intercessione di Maria.
Per questo il maestro dell’Ordine dei domenicani, il francese beato Giacinto Cormier, morto nel 1916, suggeriva di recitare un’Ave Maria prima della confessione per invocare l’intervento della Madonna.
8. Insieme a questa richiesta, ringrazia Gesù Cristo perché ha già espiato i peccati che vai a confessare.
Accostati a questo sacramento con sentimenti di penitenza e di gratitudine.
Mi piace riportare a tale proposito quanto il Papa emerito Benedetto XVI ha scritto il termine di una lettera datata 8 febbraio 2022: “Ben presto mi troverò di fronte al giudice ultimo della mia vita.
Anche se nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere tanto motivo di spavento e paura, sono comunque con l’animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato (Paraclito)”.
Contraccambio di cuore gli auguri per la bella festa dell’Epifania del signore che ci accingiamo a celebrare.
Il Signore riempia la nostra anima di una grandissima gioia come ha fatto con i Santi Magi come premio della loro fedeltà e della loro perseveranza.
Avrò nella Santa Messa un ricordo tutto particolare per te e anche per i nostri visitatori proprio per questa precisa intenzione.
Ti benedico e ti auguro ogni bene.
Padre Angelo