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Nel suo cuore dominavano tre passioni: la carità, particolarmente con i poveri e gli infermi; la penitenza, la più rigorosa e l’umiltà che alimentava tutte le sue altre virtù.
Quando una malattia stava per terminare, indipendentemente da quanto facesse prevedere il suo decorso, Martino distribuiva la sua attenzione a seconda delle necessità.
“State tranquillo” diceva agli infermi che si sentivano trascurati, “Quando non mi vedete venire è perché la malattia non è pericolosa”. Cominciò a circolare la frase tra i fratelli del convento: “Fratello tal dei tali morirà presto, perchè Martino va a vederlo molto spesso”.
Una volta si ammalò il Padre Cipriano de Medina e la sua malattia era tanto grave per cui era stato visitato già da 5 medici i quali avevano dichiarato che l’unica cosa da fare era di somministrargli i Sacramenti. L’infermo si rendeva conto della sua gravità però non si poteva dar pace di una cosa: che Martino lo avesse abbandonato e che non andasse a vederlo ormai da tanti giorni.
La notte era già iniziata quando l’infermo sentì un desiderio incontenibile di vedere Martino. Quando ormai aveva perso la speranza di incontrarlo, Martino entrò nella camera e l’infermo lo accolse con una serie di rimproveri. “Padre avreste dovuto comprendere di non essere in pericolo. Sapete già che quando vado spesso a visitare un malato è perché è molto grave. Non vi preoccupate se siete peggiorato. Per ora non morirete. Dio chiede che viviate e continuiate a darGli gloria nella religione”.
I fatti confermarono le parole di Martino, in quanto il Padre Cipriano migliorò e ben presto fu in grado di svolgere la sua attività di insegnante.
Un giorno, mentre si dirigeva alla periferia di Lima, vide diverse persone che lottavano con dei soldati per avvicinarsi ad una capanna sulla quale era dipinta una croce bianca, il segno della peste: Vada via di qui – sentì dire da un soldato – perchè questa gente ha la peste.
“Però questa gente ha bisogno di aiuto” – protestò Martino.
Robusto com’era gli fu facile dare una spinta ed entrare nella capanna. Il quadro che gli si presentò non poteva essere più sconvolgente.
Sopra un povero giaciglio stava il corpo di una donna, immobile, gli occhi chiusi, mentre due bambini intorno a lei la scrutavano impauriti.
“La mamma non parla” disse uno di loro mentre si avvicinava al mulatto. “Si è addormentata, perchè è molto malata”.
Martino strinse contro di sé le due creature e disse: “Andiamo via di qui. Nulla ora risveglierà la vostra mamma, perchè la sua anima è salita al Cielo”. Senza comprendere quanto stava succedendo i bambini seguirono Martino e non gli fu difficile trovare un ricovero per i due orfanelli.
Un altro giorno, al mercato, comprò una quantità di cose che occorrevano alla dispensa.
In un momento di distrazione di Martino un povero ragazzo allungò la mano e tolse delle banane dal cesto che il mulatto portava.
Tuttavia un poliziotto aveva visto tutto e, preso il ragazzo per un braccio voleva arrestarlo e punirlo severamente.
Quando Martino vide il ragazzo preso dalla polizia provò compassione per lui e, sorridendo come sua consuetudine, disse all’incaricato della legge: “Non ha rubato nulla, perché tutto quello che ha preso è da regalare ai poveri” e, detto questo, distribuì le cose che erano nel cesto tra le persone intorno a lui.
“Prendi, ragazzo, a te buona donna, per i tuoi figli, e questo è per te…” e, tutto preso dalla sua opera di carità, senza rendersi conto di nulla, diede fondo a tutto quello che aveva e che gli chiedevano: scarpe, medicinali, frutta e generi alimentari. La gente lo guardava quasi con timore, senza comprendere quello che stava succedendo. Martino preso dalla carità e nell’intento di aiutare il ladruncolo stava realizzando un miracolo, senza nemmeno rendersi conto di quanto stava facendo
Entrò nel convento affaticato e terribilmente preoccupato. A vederlo così il portinaio gli chiese:
– Che ti è successo Frate Martino?
– Una cosa molto strana. Per salvare un ragazzo …. e così raccontò tutto quello che era successo al mercato.
– E il cestino? chiese il portinaio.
– Eccolo. Lo mostrò, posandolo sulla tavola.
– Però non capisco, Frate Martino: come dite che avete dato via tutto se la cesta è ancora piena?
– Cominciò a mostrargli la verdura, la frutta, le uova e persino la carne.
– Che cosa? disse Martino con il viso turbato constatando che quanto il portinaio aveva detto era vero. Infatti il cestino era completamente pieno.
– Signore, non raccontare a nessuno quello che hai visto. Io ho dato via tutto. Perché mi hanno dato queste cose?
Con la testa bassa e meditabondo, il povero mulatto con il suo cestino salì fino alla sala capitolare dove, prostratosi davanti al Cristo che dominava la grande sala, Gli disse tutto contento:
– Sei tu che mi hai riempito il cestino, vero? Perchè lo hai fatto? Adesso crederanno che faccio i miracoli. E scrollando la testa se ne ritornò in cucina.
Solitamente al convento si recava un ragazzino sui 9 anni che aveva diversi parenti tra i religiosi.
Un giorno, dopo una delle tante birichinate comuni ai ragazzi della sua età, andò a rifugiarsi dove era certo che nessuno lo avrebbe trovato, cioè dietro il catafalco usato per le Messe dei defunti. Alzò la testa e quale fu la sua sorpresa nel vedere Frate Martino, il suo amico sollevato in aria proprio vicino al Cristo che si trovava colà. Si avvicinò per vedere meglio, e poi corse dai religiosi per raccontare quanto aveva visto dal suo nascondiglio.
Un’altra volta cercavano Frate Martino che stava assistendo il Padre Arce, gravemente malato. Non trovandolo da nessuna parte, mandarono un novizio a cercarlo. Questi si recò nella Sala Capitolare e, aperta la porta, lo vide sollevato in aria, abbracciato al Cristo e con le labbra sulla Divina piaga del costato di Gesù il converso corse dicendo: “Padre, guardate il mulatto che è in estasi”.
Entrarono tutti i Padri che videro la stessa scena. Pochi istanti dopo, come se nulla fosse accaduto, Martino discese e disse ai fratelli che erano presenti: “Dite a Padre Arce che predisponga le sue cose per seguire il cammino che tutti noi dobbiamo percorrere”.
Alle 4 Padre Arre passava da questo mondo all’eternità seguendo la previsione di Frate Martino.
E’ vero che la Santità non consiste in estasi: però è certo che questo dono è un segnale dell’unione intima dell’anima con Dio.
Questo fatto si manifestò quando il Signore apparve a Santa Caterina dicendole che l’avrebbe sollevata da terra e portata in cielo, perché l’unione dell’anima con il Signore è più perfetta che l’unione tra anima e corpo e così, Frate Martino de Porres, il mulatto di Lima, realizzò i più grandi miracoli con tanta naturalezza come se fossero un cammino obbligato della sua esistenza.
Un poeta peruviano ha riassunto così i fatti della sua vita con una poesia dedicata che dice:
Non vi fu guardiano del convento più modesto, né servo più mansueto che il fraticello Martino; i poveri lo trovarono sempre disposto. Chiedeva la grazia dell’ultimo posto, del letto più duro, del trattamento più pesante.
Benediceva la mano che lo spingeva verso le aspre strade dell’eternità e quando l’odio tormentava la sua esistenza, sulle sue labbra sbocciava l’amore, il più amabile sorriso della Santità.
Un giorno un uomo anziano, recatosi per una infermità al convento, mostrò le sue piaghe al Frate Martino e questi, con gli occhi rivolti a Cristo, lo sollevò sulle braccia e, lo portò fino alla propria cella, sulla sua branda.
Il giorno dopo, di buon mattino, il padre provinciale e tre religiosi lo videro dormire sulla porta della cella, con il capo appoggiato allo stipite.
“Perché non siete nella vostra cella?”
Frate Martino si mostrò sorpreso di trovarsi in quella posizione. Mezzo stordito ancora dal sonno rispose: “Padre, perdonate, però il povero aveva tanta febbre…”
– Ma, di che cosa stai parlando?
Uno dei monaci apri la porta della cella e vide sul giaciglio un vecchio dalla chioma e barba fluente e con il volto fasciato da Padre Martino.
– Ma, é proprio necessario mettere un sacco di immondizia nella propria cella?
– Vede, padre, con un poco di sapone si può lavare la coperta, ma neanche un torrente di lacrime potrebbe lavare la mia anima per essere stato duro di cuore.
– Martino replicò il Superiore, con questo non rispetti la clausura del convento.
– E’ vero Padre, però penso che per i poveri e gli infermi non valga questa regola, perché contro la carità non può valere alcuna legge.
Il Superiore lo guardò ammirato e dopo qualche momento di riflessione, gli disse: “Hai ragione Frate Martino, accogli quanti infermi vorrai però fuori dalla clausura, in modo che noi possiamo soddisfare questo precetto.”