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Il generale decadimento religioso che interessò l’Italia, sul finire del XIV secolo, dovuto in buona parte allo scisma che lacerava la Chiesa, ma anche conseguenza di pestilenze e guerre che impoverivano sempre più la società, colpì anche gli ordini religiosi. I Domenicani, come avvenne in altre congregazioni, videro però sorgere al loro interno luminose figure che dedicarono tutta la propria esistenza a far tornare l’Ordine al fervore delle origini e all’osservanza rigorosa delle regole del Padre Fondatore Domenico. Ricordiamo, tra i principali “riformatori”: santa Caterina da Siena, il b. Raimondo da Capua, eletto Maestro Generale nel 1380, e il b. Giovanni Dominici, uno dei suoi principali collaboratori. Tra i massimi artefici di tale opera riformatrice troviamo anche un piemontese, il cui apostolato fu straordinario.

Antonio nacque a San Germano Vercellese intorno al 1394, in una nobile famiglia, i Marchesi Della Chiesa di Roddi. Il padre inizialmente si oppose al desiderio del giovane di prendere l’abito domenicano. Solo intorno ai vent’anni Antonio entrò come novizio nel convento vercellese di San Paolo, dove pronunziò i voti solenni e iniziò gli studi filosofici e teologici. Per ottenere il titolo di lettore, necessario per essere abilitato all’insegnamento, fu poi mandato nel celeberrimo convento veneziano dei Ss. Giovanni e Paolo, dove giunse in pieno “clima riformista”. Vi passò i suoi anni di formazione, fino ad essere ordinato sacerdote, quindi iniziò il ministero pastorale pur seguitando a studiare. Si distinse perché seppe unire alla vita contemplativa, un generoso impegno caritatevole. Osservava frequenti digiuni e non era inusuale che trascorresse l’intera notte in preghiera. Tale impegno fece sì che terminati gli studi, a soli 28 anni, venisse inviato a Como come priore con il compito di riformare il grande convento di S. Giovanni Pedemonte, detto anche “in Alto”, che era presso le mura, ai piedi del monte di Santo Eustichio, comprendente due chiostri ed una bellissima chiesa gotica. Nella sua nuova “patria” non limitò l’impegno alla “moralizzazione” della comunità, ma esercitò il suo benefico influsso anche sulla vita cittadina, sconvolta da lotte politiche dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti. In tale opera di pacificazione fu coadiuvato nel 1432 dal celebre predicatore san Bernardino da Siena. Tra il Della Chiesa e il santo francescano nacque un’amicizia e i due frati furono compagni nelle missioni tenute anche nei paesi vicini. Dopo Como l’azione del nostro santo presso i conventi riformati si estese anche a Bologna (1439) e San Marco di Firenze.

Tutta la sua opera si svolse in seno all’Ordine, nel quale tanto credito gli meritavano la formazione teologica e l’equilibrato zelo per la disciplina regolare; e nella Chiesa, prodigandosi, su incarico del papa Eugenio IV, a ricondurre alla verità i cattolici che avevano aderito all’antipapa Felice V.

Morì a Como (22 gennaio 1459) e le sue reliquie furono portate (1810) nella parrocchiale di San Germano Vercellese, suo paese natìo.

Pio VII il 15 maggio 1819 ne concesse la Messa e l’Ufficio, in base al culto attribuitogli “ab immemorabili”.