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Quesito

Salve carissimo Padre Angelo,
sono Vincenzo e vorrei capire il significato del mortificare l’amor proprio.
Perché sembra che alcuni santi abbiano vissuto la fede in negativo e nella tristezza?
Amare Dio e il prossimo non richiedono di amare anche se stessi (in senso positivo e non egoistico)?
Non è giusto avere autostima? Penso di sì, altrimenti si sarebbe nella disperazione. 
Penso che apprezzare se stessi significhi amare Dio per la vita che ci ha donato.
La ringrazio anticipatamente.
Il Signore la ricompensi del suo servizio e sia sempre nel suo cuore.
Buona giornata

Risposta del sacerdote

Caro Vincenzo,
1. in teologia spirituale la dizione amor proprio ha un significato negativo ed è sinonimo di vanagloria.
Con questa parola si intende fare tutto per proprio vanto.
Il contrario di amor proprio e di vanagloria è la cosiddetta purezza di intenzione. Che significa: far tutto in onore di Dio o per amore di Dio.

2. Mortificare l’amor proprio è pertanto l’equivalente di impegnarsi a mortificare la vana gloria e a ricordare che il bene che facciamo è dono di Dio.
Per questo San Paolo dice: “Perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore” (1 Cor 1,31).
E: “Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?” (1 Cor 4,7).

3. Oggi si parla molto di autostima. È un’espressione ambivalente.
Nel suo significato positivo sta ricordare che è cosa buona e doverosa riconoscere i talenti ricevuti ed è ancor meglio trafficarli, perché così si rende lode a chi ce li ha donati.
È un’espressione invece che non si può accettare se per essa s’intende autogonfiarsi.

4. L’umiltà è verità. Santa Teresa d’Avila diceva che l’umiltà è “camminare nella verità” (Castello interiore, seste mansioni 10,7).
Per questo San Paolo era santamente orgoglioso di poter dire: “Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, con parole non suggerite dalla sapienza umana, bensì insegnate dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali” (1 Cor 2,12-13).

5. Umiltà è riconoscere che “ogni dono perfetto viene dall’alto e scende dal Padre della luce” (Gc 1,17).
Umiltà è riconoscere che tutto quello che di buono facciamo lo dobbiamo a Dio perché è lui ci dà la materia e la capacità di farlo.
Da noi stessi non potremmo fare nulla.

6. Ecco come Santa Teresa d’Avila parla dell’umiltà: “Mi chiedevo una volta perché il Signore ami tanto l’umiltà e mi venne in mente d’improvviso, senza alcuna mia riflessione, che ciò deve essere perché egli è somma verità, e che l’umiltà è verità.
È verità indiscutibile che da parte nostra non abbiamo nulla di buono, ma solo miserie e niente. Chi più lo intende, più si rende accetto alla suprema Verità, perché in essa cammina.
Ci conceda Dio, sorelle, di non uscire mai da questo nostro conoscimento! Amen” (Autobiografia, 12,4).

7. Santa Teresa rimane nella medesima linea di ciò che l’Eterno Padre diceva a Santa Caterina da Siena secondo la narrazione del suo confessore, il beato Raimondo da Capua: “Raccontava dunque la santa vergine ai suoi confessori, tra i quali senza merito sono stato anch’io, che all’inizio delle visioni di Dio, cioè quando il Signore Gesù Cristo cominciò ad apparirle, una volta, mentre pregava, le comparve davanti e le disse: «Sai, figliola, chi sei tu e chi sono io? Se saprai queste due cose, sarai beata. Tu sei quella che non è; io, invece, Colui che sono.
Se avrai nell’anima tua tale cognizione, il nemico non potrà ingannarti e sfuggirai da tutte le sue insidie; non acconsentirai mai ad alcuna cosa contraria ai miei comandamenti, e acquisterai senza difficoltà ogni grazia, ogni verità e ogni lume»” (Legenda Maior di Santa Caterina da Siena, 92).

8. E ancora: “«Tu sei, disse il Signore, quella che non sei». E non è forse così? 
Ogni creatura fu fatta dal nulla dal Creatore, perché il creare è fare una cosa dal nulla; e la creatura, abbandonata a se stessa, tende a ritornare nel nulla.
Se, dunque, il Creatore cessasse anche un istante di conservarla, subito di essa non se ne parlerebbe più.
Quando la creatura commette il peccato, che è il nulla, sempre si accosta al nulla; né, secondo l’Apostolo, da sé sola può fare o pensare alcuna cosa (2 Cor 3,5).
Niente meraviglia, perché da sé non può essere, né da sé può conservarsi nell’essere. Onde il medesimo Apostolo dice: «Se infatti uno pensa di essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna se stesso»” (Gal 6,3).

9. In conclusione, l’autostima va bene, ma se ci si stima nel Signore e pertanto secondo la verità proposta da Santa Teresa e da Santa Caterina.

Con l’augurio di giungere a tanto e di essere pienamente felice come ha promesso Nostro Signore a Santa Caterina, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo