Questo articolo è disponibile anche in: Italiano

In occasione della memoria liturgica del Beato Giordano di Sassonia riportiamo alcuni episodi della sua vita così come sono stati trasmessi nelle Vitae Fratrum, che sono una raccolta di fatti accaduti alle prime generazioni domenicane.
Tra questi segnaliamo in particolare il n. 120, il n. 121 e il n. 128.

120. IL CROCIFISSO INDOSSA LA SUA CINTURA

Prima di tutto diciamo ch’egli fu uno specchio di religioso e un esemplare di ogni virtù. Di lui si dice che abbia conservata illibata la castità della mente e del corpo.
Poi dobbiamo aggiungere ch’egli, non solo da religioso, ma anche quand’era ancora nel mondo, ebbe in sommo grado la virtù ella pietà, che – al dire dell’Apostolo – è utile a tutto. Aveva viscere di pietà soprattutto per i poveri e gli afflitti; sicché raramente o mai, benché non fosse mai stato molto danaroso, un povero partiva da lui senza aver ricevuto qualcosa.
Anzi, al primo povero che incontrava al mattino, era solito far sempre l’elemosina anche e non gliela avesse richiesta.
E una volta capitò, quand’egli era ancora studente a Parigi ed aveva la consuetudine di alzarsi ogni notte per il mattutino, che la notte di una solennità credette che il segno di campana che ne preannunciava l’inizio fosse già stato suonato. Per non arrivare tardi, si alzò in tutta fretta, indossando sulla sola camicia un mantello chiuso da una cintura di cuoio. Correndo verso la chiesa, incontrò un povero che gli chiese l’elemosina; ed egli, non avendo altro, gli diede la sua cintura. Giunto alla chiesa, la trovò ancora chiusa, perché il segno di campana, contrariamente a quanto aveva creduto, non era ancora stato dato. Rimase perciò davanti alla porta, in attesa che gli addetti si alzassero e venissero ad aprire. Quando finalmente poté entrare, indugiò in preghiera davanti ad un crocifisso. Fissandolo, si accorse allora ch’esso era cinto della cintura che poco prima aveva donata a quel povero.
In seguito, anche da religioso la sua pietà per i poveri fu sempre talmente grande, che spesso per strada per amore di Cristo si spogliò della tonaca per vestirne gli ignudi; tanto che i frati più di ma volta lo sgridarono e addirittura ne fecero oggetto di accusa nel Capitolo generale.

121. IL NOVIZIO CHE SAPEVA SOLO IL PATER NOSTER

Coi frati egli era sempre gentile e misericordioso: aveva compassione di loro quando erano ammalati, provvedeva per quanto gli era possibile ai loro bisogni e cercava di correggere le loro mancanze, ma più con la comprensione e la misericordia che non con la severità. Ma quando le circostanze la esigevano, anche di questa sapeva far buon uso, avendola appresa da Colui che insegna la giusta misura in tutte le cose.
Si mostrava caritatevole e comprensivo soprattutto con gli ammalati, che visitava spesso e consolava con esempi, esortazioni e preghiere. Era, infatti, sua abitudine, quando giungeva in un convento, di visitare gli ammalati, di chiamare vicino a sé i novizi durante la mensa e, se c’erano dei tentati, di cercare di sollevarli.
Capitò, così, che una volta, mentre si trovava a Bologna, i frati gli riferirono di un novizio che era tentato di uscire dall’Ordine. Prima di entrarvi, era stato molto delicato ed aveva condotto una vita tutta spesa nella ricerca degli agi, del lusso, delle comodità, dei divertimenti; tanto ch’egli non sapeva neppure cosa fossero la rinuncia e la sofferenza. Si era però applicato intensamente allo studio, nel quale aveva fatto tanto profitto da potersi laureare in legge l’anno seguente. Non era mai stato ammalato, mai aveva avuto eccessi d’ira; tranne il Venerdì Santo non aveva mai digiunato e all’infuori del venerdì raramente aveva fatta astinenza dalle carni; non si era mai confessato e delle preghiere conosceva solo il Pater noster.
Ma un giorno, essendo venuto al convento dei frati per pura curiosità e non avendo saputo dir loro di no, era entrato nell’Ordine. Se n’era però pentito subito; ed ora, tutto ciò che vedeva o sentiva gli sembrava una seconda morte. Non riusciva più né a mangiare né a dormire; e, nonostante che prima di allora non avesse mai avuto eccessi d’ira, la rabbia un giorno lo aveva assalito in maniera così violenta da tentare di percuotere col salterio il sottopriore, che lo aveva convinto ad entrare nell’Ordine.
Il Maestro Giordano, riscontrando che quel novizio era così turbato, avendo sentito che si chiamava Teodalto, cominciò a confortarlo ricorrendo scherzosamente al suo nome: “Teodalto vuol dire che tende in alto”. Poi, dopo avergli dati alcuni consigli, lo portò all’altare di S. Nicola, affinché, non conoscendo altre preghiere, vi recitasse in ginocchio il Pater noster. E postegli le mani sul capo, pregò il Signore con tutto il cuore, perché lo liberasse da quella tentazione.
Col proseguire di quella preghiera, parve al novizio che poco a poco subentrasse nella sua mente una certa dolcezza e di avvertire in cuore una tranquillità mai prima provata. Quando poi gli tolse le mani dal capo, gli parve – a quanto poi egli riferì a molti frati – come se gli fossero tolte due mani che gli stringevano il cuore. E il suo spirito si ritrovò del tutto rasserenato e tranquillo. Ne rimase così consolato e convinto, che in seguito sostenne molte fatiche e compì molte opere buone nell’Ordine.

122. OGNI STRADA PORTA AL CIELO

Questo santo aveva ricevuto dal Signore una speciale grazia di orazione, ch’egli non trascurò, nonostante la cura ch’egli, in forza del suo ufficio, doveva avere dei frati e per le conseguenti fatiche ch’egli doveva sostenere nei molti viaggi, né per le sue altre numerose incombenze e occupazioni. Quando pregava era solito stare in ginocchio, con le mani giunte e a busto eretto, oppure stare a lungo seduto, per il tempo che uno impiegherebbe a fare otto miglia. E questo egli faceva soprattutto dopo compieta e dopo mattutino.
Era di molte lacrime; tanto che si crede che proprio per la loro abbondanza sia incorso in una grave malattia degli occhi, che gliene fece perdere uno del tutto. In quell’occasione convocò i frati in capitolo, dicendo loro: “Fratelli, rendete grazie a Dio, perché ho perso un nemico, ma pregate di conservarmi l’altro, se così piace a lui ed è utile a me”.
Era sempre assorto in meditazione, sia in convento che in viaggio e in essa provava una straordinaria dolcezza. Durante i viaggi era solito occupare tutto il tempo in preghiera e in meditazioni, eccezion fatta per quando recitava l’ufficio divino o parlava di cose utili col compagno di viaggio: cosa questa, che faceva però solo ad una certa ora, dopo aver esortato i compagni ad attenersi a questa sua volontà. E per questo motivo spesso si staccava da loro. Alle volte, durante il viaggio, cantava a voce alta e piangendo l’inno Jesu nostra redemptio e la Salve Regina e, tutto assorto nella meditazione e col cuore gonfio di dolcezza, qualche volta, dopo essersi allontanato dai frati, perdette la strada. Ma nessuno lo vide mai turbato per questo o lo udì incolparne i compagni; ché anzi, vedendo che essi erano turbati, confortava dicendo: “Non turbiamoci, perché ogni strada porta al cielo”.

123. Lo SCHIAFFO DI UN INDEMONIATO

Era talmente umile, che sapeva evitare con intelligenza e discrezione ogni occasione di vanagloria e ogni sorta di onore che gli venisse tributato. Per cui una volta, venendo a Bologna, sentendo che tutta la città, al corrente del suo arrivo, voleva andargli incontro processionalmente, deviò rapidamente il suo percorso e per altre strade giunse al convento dei frati da tergo: cosa questa che fu di esempio a molti.
Sempre a Bologna, Maestro Giordano incontrò per caso nel chiostro un frate indemoniato il quale, alzando il braccio, gli diede un fortissimo schiaffo. Il santo padre, con molta pazienza ed umiltà gli porse l’altra guancia. E quello, irritato per tanta virtù, abbassò la testa e si allontanò vergognoso.
La sua umile pazienza risaltò soprattutto in un Capitolo generale. Quando, infatti, per una certa cosa venne proclamato dai Definitori e gli venne detto che, se voleva, poteva discolparsi, rispose umilmente: “Non si deve mai credere al ladro che si scusa”. E da queste parole molti restarono edificati.

124. LA CINTURA CON LA FIBBIA D’ARGENTO

Sapeva talmente estraniarsi dalle cose esteriori, per concentrarsi tutto in quelle interiori, da sembrare che a quelle non pensasse mai o di esse neppure si accorgesse.
Capitò, infatti, una volta, che una nobile e devota persona gli chiedesse ed ottenesse la sua cintura. E siccome egli non ne aveva altra, fece cambio con quella di lei. Dopo un certo tempo il Maestro si trovava in ricreazione coi frati. Siccome portava ancora quella cintura, che aveva una ricca fibbia d’argento, un frate la vide, la prese in mano ed alzandola chiese: “Come mai, Maestro?”. E lui osservandola attentamente, come se la vedesse per la prima volta, rispose: “Dio mio, chi ci ha messo questa fibbia? Io non me n’ero mai accorto”.
Da una tale risposta, i frati capirono, edificati, che il suo cuore era attaccato solo alle cose interiori.

125. UNA STRANA ALLEGRIA

Essendo una volta in viaggio con molti altri frati verso Parigi, per parteciparvi al Capitolo generale, un giorno il predetto padre aveva mandato i frati in paese a fare un giro di questua per procurare il pane che avrebbe dovuto loro servire per la colazione. Ed aveva loro dato l’appuntamento presso una sorgente vicina.
Ma quelli tornarono con soltanto un poco di pane nero, sufficiente sì e no per quattro persone. Il padre se ne rallegrò e ne ringraziò Dio con canti di gioia, esortando i frati, con le parole e con l’esempio, a fare altrettanto. Al che una donna del vicinato, vedendo la scena, disse scandalizzata: “Come mai, voi che siete dei religiosi, siete già così allegri e brilli di mattina?”. Ma poi, avendo inteso che per loro, che si erano fatti poveri per amore di Dio, era motivo di allegria il non avere pane, corse in casa e portò loro pane, vino e formaggio in abbondanza, raccomandandosi alle loro preghiere.

126. IL MAESTRO GIORDANO SONO IO

Predicando un giorno a Padova, dove ha sede una importante Università, ricevette nell’Ordine un giovane tedesco, di famiglia nobile e di condotta esemplare. Il suo maestro e i suoi compagni, sentendo che si voleva far frate, lo chiusero diabolicamente in camera con un’avvenente ragazza, sperando in tal modo di distoglierlo dal suo proposito. Ma Cristo vinse in lui e lo spinse con ancor più convinzione ad entrare nell’Ordine. Anzi, in un secondo tempo riuscì a farvi entrare anche il suo maestro.
Ma suo padre, ch’era potente e ricco e non aveva altri figli che lui, avendo udito della sua entrata nell’Ordine, turbato fino a morirne, venne in Lombardia con un seguito numeroso, proponendosi fermamente o di riavere il figlio o di uccidere Maestro Giordano.
Un giorno, venendo a cavallo coi suoi per una strada, si incontrò proprio col Maestro
Giordano; ma, non conoscendolo, gli chiese urlando e pieno d’ira dove fosse il Maestro. Ma questi, ricordandosi di Gesù, che aveva detto ai Giudei “Sono io”, rispose sereno e tranquillo:
“Il Maestro Giordano sono io”.
Egli allora da quella sua risposta così sincera capì la virtù di quel santo uomo e, scendendo da cavallo gli si gettò umilmente ai piedi, confessandogli il delitto che aveva avuto intenzione di
commettere. Ed aggiunse: “Di mio figlio ora non mi preoccupo più e ti prometto che, prima di tornare nella mia patria, andrò insieme al mio seguito aldilà del mare per servire il
Signore. E mantenne la promessa, insieme ai suoi quasi cento cavalieri.

127. UN PREDICATORE VERAMENTE GRAZIOSO

Quanto all’esercizio della parola di Dio e all’ufficio della predicazione, il predetto padre fu talmente grazioso e pieno di zelo, da poter dire che ben difficilmente se ne poté trovare uno simile a lui. Ma non solamente nel predicare, ma anche nel conversare Dio gli aveva dato un carisma ed una grazia speciale: dovunque e con chiunque egli fosse, sapeva infatti trovare parole convincenti, portare esempi personali molto efficaci ed adattarsi in modo tale agli ascoltatori, da riuscire a soddisfare e a convincere sempre tutti. Tutti perciò desideravano
ascoltarlo.
Il diavolo evidentemente era geloso di questo suo successo e qualche volta se ne lamentò, e fece di tutto per distoglierlo dalla predicazione.

128. NON BASTANO LE TONACHE

Frequentava soprattutto le città ch’erano sede di Università; per cui passava la Quaresima un anno a Parigi ed uno a Bologna, i cui conventi, quand’egli era presente, per i molti che vi entravano e i molti che poi trasferiva ad altre Province, sembravano alveari di api. Appena vi giungeva, fiducioso che molti avrebbero chiesto di entrare nell’Ordine, faceva subito confezionare molti abiti; ma alle volte, oltre ogni previsione ne entravano tanti, che a stento se ne potevano procurare in tempo a sufficienza.
Una volta, ad esempio, a Parigi, nella festa della Purificazione, ricevette nell’Ordine ventun studenti universitari e ci fu in quella occasione una marea di lacrime, perché da un lato i frati piangevano per la gioia e dall’altro gli studenti piangevano per il distacco dai loro
cari.
Fra costoro c’erano molti che poi ebbero una cattedra di teologia in diverse città. C’era anche un giovane tedesco che il Maestro aveva più volte rifiutato di accogliere per la sua troppo giovane età. Ma siccome allora si presentò mescolato con gli altri, sembrò inopportuno al Maestro dargli ancora un rifiuto, anche perché alla cerimonia assistevano quasi mille studenti. Per cui, alludendo a lui, disse scherzosamente davanti a tutti: “Uno di voi entra nell’Ordine commettendo una rapina”.
Ma il vestiario aveva pronti solo venti abiti e per la moltitudine degli studenti che affollava la sala del capitolo, non poteva uscire per andare a prenderne un altro. I frati dovettero perciò spogliarsi parzialmente dei propri, dando a lui chi la cappa, chi la tonaca e chi lo scapolare. Questo giovane frate fece poi una buona riuscita nell’Ordine, dove fu lettore ed ottimo predicatore.
Quanto al Maestro, fu costretto più volte a dare la propria Bibbia in pegno per pagare i debiti degli studenti che entravano nell’Ordine.

129. ECCO, LO ACCOMPAGNO IO!

Presiedendo, in un giorno di festa, alla presenza di molti studenti, alla cerimonia di accettazione di uno di loro nell’Ordine, nel fare la predica si rivolse agli astanti, dicendo: “Se uno di voi andasse ad un banchetto o ad una grande festa, i suoi amici sarebbero così scortesi da lasciarlo andar solo e non volerlo accompagnare? Ecco, vedete! Costui è stato invitato da
Dio ad una grande festa. Vorreste forse lasciarlo andar solo?”
Oh meraviglia! La sua parola fu di tanta efficacia, che uno studente, che prima di allora non aveva mai avuto volontà di farsi frate, saltando in piedi esclamò: “Maestro, ecco! Lo accompagno io nel nome del Signor nostro Gesù Cristo”.
E così fu ricevuto nell’Ordine insieme all’altro.