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Quesito
Caro Padre Angelo,
prima di fare questa domanda mi sono premurato di cercare tra le numerose a cui ha già risposto, per evitarle questo ulteriore affanno, ma senza successo.
I miei dubbi dottrinali riguardano l’accesso al purgatorio e non l’aiuto delle anime ivi giunte (a mezzo delle messe, delle opere di carità e delle indulgenze).
A tal proposito il catechismo della chiesa cattolica recita:
1030 Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo.
1. Vorrei che lei mi spiegasse cosa significa, concretamente “grazia e amicizia di Dio” e come si mantiene tale condizione dopo il battesimo.
Ho letto una sua risposta sull’unzione degli infermi che conferisce grazia e che può condurre direttamente al paradiso (seppur vi siano visioni teologiche discordanti) oppure al purgatorio.
2. Ecco, tutti questi “passaggi” non mi sono chiari. E propongo alcuni esempi e altrettante domande, riproponendo la Sua abituale sistematicità a “punti”:
– Se un uomo si battezza, ma poi conduce una vita distante dalla Chiesa e da Gesù Cristo, non viene sottoposto ad altri sacramenti, ma alla fine della sua vita chiede e riceve l’unzione degli infermi, dove va la sua anima?
– Se un uomo si battezza, ma poi conduce una vita distante dalla Chiesa e da Gesù Cristo, non viene sottoposto ad altri sacramenti e alla fine della sua vita NON riceve l’unzione degli infermi, dove va la sua anima?
– Se un uomo si battezza e conduce una vita in seno alla chiesa e con il cuore a Gesù Cristo, viene sottoposto ai sacramenti, ma durante la sua vita si allontana dalla chiesa e NON riceve l’unzione degli infermi, dove va la sua anima?
3. Raramente ho conosciuto sacerdoti che alle esequie, seppur di fronte ad un defunto solo battezzato e poi totalmente disinteressato ad un qualsiasi rapporto con Dio e con la Chiesa, si sono espressi in modo “negativo” o magari “dubbio” di fronte all’accesso in paradiso dell’anima del defunto. E’ concorde con me? Se si, cosa ne pensa? Non crede che seppur con le più buone intenzioni (anche rispetto alla “cura” dei vivi) tale atteggiamento sia scorretto?
La ringrazio per la sua pazienza.
Vittorio
Risposta del sacerdote
Caro Vittorio,
1. per grazia s’intende la partecipazione alla vita di Dio. Nella Scrittura è presentata con l’immagine di una veste bianca che conferisce all’anima un certo splendore.
Per amicizia con Dio s’intende la virtù della carità, che secondo san Tommaso è un’amicizia soprannaturale con Dio.
Quest’amicizia soprannaturale non nasce da noi, è un dono suo, liberamente accolto.
L’amicizia con Dio (la carità) fa sì che la persona ami la volontà di Dio, proprio come succede tra autentici amici dove uno ama e fa volentieri la volontà dell’altro.
A motivo di questa carità Dio abita in noi e noi in Dio, come dice San Giovanni: “Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1 Gv 4,16).
2. Sull’unzione degli infermi.
L’unzione degli infermi rimette i peccati veniali. Il peccato mortale viene rimesso ordinariamente con la confessione.
Ma quando questa risulta impossibile, l’unzione degli infermi rimette anche il peccato grave purché ve ne sia stato almeno un pentimento imperfetto (attrizione): “Il Sacramento dona inoltre, se necessario, il perdono dei peccati e porta a termine il cammino penitenziale” (Rito 6).
San Tommaso dice: “Siccome tale energia viene dalla grazia, la quale è incompatibile col peccato, ne segue che, se trova nell’anima un peccato mortale o veniale, lo cancella quanto alla colpa, purché non vi sia ostacolo da parte di chi lo riceve” (Suppl. 30,1).
3. Sul far entrare direttamente in Paradiso San Tommaso è più sfumato.
Già il testo menzionato dice che rimette il peccato quanto alla colpa. SE questo lascia intravedere che possa rimanere qualche pena da scontare.
Inoltre dice che “questa unzione è l’ultimo rimedio che la Chiesa può dare, quasi come disposizione prossima alla gloria” (Suppl. 32, 2). Infatti “l’effetto principale di questo sacramento è lo stato di benessere spirituale necessario a chi esce da questo mondo e si avvia alla gloria” (Ib., ad 2).
Di fatto ci si avvia alla gloria anche andando in purgatorio.
Questo dipende dalle disposizioni che questo Sacramento trova nel soggetto che lo riceve.
4. Rispondendo adesso ai tre quesiti che mi hai posto dico:
– circa il primo: dipende dai sentimenti di pentimento con cui chiede il sacramento.
– circa il secondo: tutto dipende dalle disposizioni interiori.
Se non è pentito dei suoi peccati si perde eternamente.
– circa il terzo: la domanda non si capisce bene.
Probabilmente vuoi dire: se dire che comincia bene, ma poi si allontana e muore senza sacramenti. Se è così, tutto dipende dalle disposizioni interiori, come nel secondo caso.
5. Circa quanto non viene detto dai sacerdoti durante le esequie di un battezzato che non ha più frequentato i sacramenti, va ricordato che nessuno non conosciamo il destino eterno di una persona, a meno che la Chiesa si impegni per qualcuno con la canonizzazione.
Il destino eterno può dipendere dalle disposizioni interiori alimentate al termine della propria vita. E queste le conosce solo Dio.
6. Dal momento però che il defunto è stato portato in chiesa, pare logico che il sacerdote in quel momento esorti a pregare per la sua anima e ad invocare anche per lui la misericordia di Dio perché nella Gerusalemme del cielo “non entra nulla d’impuro” (Ap 21,27).
In altri momenti potrà, anzi dovrà usare toni diversi, ma non nel momento delle esequie deve fare così. Deve pregare.
Augurandoti di perseverare fino alla fine e di entrare direttamente nella Gerusalemme del cielo, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo