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Quesito

Caro Padre Angelo,
era da un pò che non le scrivevo. Sono Bernardo, si ricorda di me?
Voglio farle una domande sulla confessione.
A scuola ho studiato che il sacramento della confessione è stato istituito da Papa Bonifacio VIII per sapere che cosa faceva e pensava la gente. Quindi ho dei dubbi sulla validità di questo sacramento e poi penso che dovrebbe essere diverso: secondo me i propri peccati non si dovrebbero dire ad un sacerdote, ma direttamente a Dio; è vero che in quel momento il sacerdote rappresenta Dio, ma comunque è una persona che ascolta tutto ciò che hai fatto e qualcuno potrebbe vergognarsi. Secondo me, durante la confessione, il fedele invece di dire al sacerdote i suoi peccati dovrebbe stare un paio di minuti in silenzio chiedendo perdono a Dio. Passati questi due minuti recita l’atto di dolore, gli viene detto cosa deve fare per penitenza e il sacerdote gli dà l’assoluzione. Molto probabilmente mi sbaglio a pensare in questo modo, ma volevo sapere la sua opinione.
La ringrazio per il tempo che mi ha concesso e la saluto.
Bernardo


Risposta del sacerdote

Caro Bernardo,
mi ricordo certamente, soprattutto per le varie domande che mi hai fatto sull’Ordine Domenicano.

1. A scuola – se ti hanno detto quanto mi scrivi – ti hanno detto delle autentiche stupidaggini.
Il sacramento della Confessione è stato istituito da Cristo la sera del giorno della sua risurrezione quando comparendo agli apostoli nel Cenacolo ha detto: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,22-23).
E siccome gli apostoli non avrebbero potuto rimettere o non rimettere se non fossero stati a conoscenza dei peccati e delle disposizioni dei penitenti, se ne deduce che Cristo ha voluto anche la confessione dei peccati.
E così è sempre stato fin dall’inizio della Chiesa.
Quando qualche persona commetteva un peccato grave andava a dirlo segretamente al Vescovo, il quale assegnava la penitenza che si doveva fare. Solo dopo aver compiuto la penitenza, che a volta durava anche anni, si poteva essere riammessi alla Comunione.
Questa forma di celebrare il sacramento della Penitenza veniva detta “Penitenza pubblica o canonica”.
Bada bene: era pubblica solo la penitenza, ma non il peccato, che rimaneva segreto tra il penitente e il Vescovo.
Inoltre questa forma di penitenza poteva essere celebrata solo una volta nella vita. Era la seconda tavola di salvezza, dopo quella del Battesimo. E non se ne poteva abusare.

2. Verso il sesto secolo compare la confessione individuale e fatta quante volte si vuole.
Questa forma di penitenza proveniva dall’ambiente monastico. Fu divulgata dai monaci irlandesi scesi in Francia per rievangelizzarla (infatti dopo che Clodoveo, re dei Franchi, si fece battezzare, tutto il popolo si fece battezzare, rimanendo però ancora molto pagano).
Questo nuovo modo di confessarsi è quello pratico anche da noi oggi.
Si tratta pertanto non di istituzione della confessione, ma di divulgazione di un altro modo di celebrare il sacramento della Penitenza.
E questo ben 700 anni prima di Bomifacio VIII.
San Tommaso ne tratta a lungo e in largo nella Somma Teologica. E la Somma fu scritta nel 1200.
Bonifacio VIII invece, come ben sai, è del 1300.

3. Nessun Papa può istituire sacramenti. I sacramento li ha istituiti solo Gesù Cristo.
Dire poi che il Papa abbia istituito questo sacramento per sapere che cosa pensa o che cosa fa la gente è una enorme fesseria.
Infatti come emerge dalla dottrina della Chiesa, il prete che ascolta le confessioni è tenuto al segreto sacramentale per la cui violazione è prevista una scomunica che può essere tolta solo dal Papa.
Anzi il sacerdote confessore non può neanche fare uso di quanto viene a conoscere in confessione per il suo governo esterno.
A che cosa sarebbe servita dunque la confessione sacramentale con tutte queste restrizioni?

4. E poi oggi: per sapere che cosa pensa la gente, hai bisogno di diventare prete e metterti a confessare? È molto più semplice leggere il giornale…

5. Ma vengo adesso alla seconda parte delle tue riflessioni. Scrivi: Secondo me, durante la confessione, il fedele invece di dire al sacerdote i suoi peccati dovrebbe stare un paio di minuti in silenzio chiedendo perdono a Dio. Passati questi due minuti recita l’atto di dolore, gli viene detto cosa deve fare per penitenza e il sacerdote gli dà l’assoluzione.
Caro Bernardo, come potrebbe il sacerdote dare l’assoluzione se non conosce i peccati? Tu sai che talvolta i sacerdoti non possono dare l’assoluzione, come quando si trovano dinanzi uno non è pentito e non vuole affatto cambiare la propria condotta. Inoltre non può dare delle penitenze per peccati che non conosce e assolvere senza sapere da che cosa assolve.

6. Ma va tenuta presente anche un’altra realtà molto importante: il peccato non degrada soltanto chi lo commette, ma offende e impoverisce tutta la Chiesa.
Pertanto chi si confessa, va a domandare perdono alla Dio e alla Chiesa. E tanto Dio che la Chiesa sono impersonificati dal sacerdote, che è simultaneamente ministro suo e della Chiesa.

7. Infine è vero che accusare certi peccati è motivo di vergogna. Ma anche questa vergogna è provvidenziale: è già una penitenza, un’espiazione. Davide nel salmo dice: “Il mio peccato io lo riconosco” (Sal 51,5).
Se uno non potesse accusare il peccato, gli sembrerebbe di averlo ancora dentro. Santa Caterina da Siena dice che attraverso l’accusa lo si espettora.
Per questo sono convinto che al termine delle tue confessioni, sebbene talvolta ti possano costare, ti senti sempre liberato.

8. Ti do un consiglio infine, caro Bernardo: confessati molto spesso e possibilmente dal medesimo confessore. Non tralasciare i quindici giorni. E ti accorgerai di fare grande profitto nella vita cristiana.

Ti ringrazio, ti saluto, ti prometto una preghiera e ti benedico.
Padre Angelo