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Quesito

Caro Padre Angelo,
ho da poco scoperto il sito internet dove sono pubblicate le risposte alle domande degli utenti, e ho avuto così modo di ammirare e stimare la competenza, l’equilibrio e la sapientia cordis, che la muovono nell’analizzare e rispondere alle diverse questioni.
Vorrei pertanto avere un suo autorevole parere sulla questione del sedevacantismo, incrociato nel mio percorso di studi quasi accidentalmente, e che, se pur non mi convince sul piano dottrinale, devo ammettere che talora mi pare non avere tutti torti.
Mi rendo conto che dire sedevacantismo sia un po’ troppo vago, cercherò quindi di circoscrivere le questioni che non riesco a sciogliere quanto vorrei. Gli appartenenti a tale “movimento” sostengono, come senz’altro Lei saprà, che la sede petrina sia vacante dalla promulgazione dei documenti del Vaticano II in poi, in quanto che in detta sede si sarebbe consumata un’apostasia. Si dice cioè che nel precedente Concilio si siano contraddette verità di fede, le quali invece sarebbero state formulate e confermate da 2 millenni di magistero concorde ed unanime, e per questa ragione la Chiesa avrebbe derogato dal proprio mandato. Sto sintetizzando e per forza di cose semplificando, ma il punto è sostanzialmente quello.
A supporto di queste affermazioni i sostenitori del sedevacantismo prendono in esame la posizione della Chiesa, ad esempio, in relazione al tema delle altre religioni, e notano come l’atteggiamento di Questa, prima del CVII, fosse quello della “tolleranza dei falsi culti”, e non quello di una libertà religiosa, facilmente confondibile, come spesso purtroppo è accaduto di vedere, con un relativismo religioso. Quasi come a dire che la libertà religiosa sia stata la porta che ha surrettiziamente introdotto l’idea che le religioni siano equivalenti. La retorica delle “tre religioni monotesite” e il dialogo ecumenico spesso hanno dato quest’impressione. Continuano i sedevacantisti dicendo che dietro alla libertà religiosa si sia posta sulla stesso piano la verità della fede cattolica con la non-verità delle altre fedi.
All’interno di questo ampio capitolo, poi, in detta sede, si nota la particolare attenzione posta alla religione ebraica, nei confronti della quale, si dice sempre, l’atteggiamento magisteriale precedente il CVII fu desicamente diverso, per non dire opposto all’attuale. Sgomenta particolarmente in detti ambienti il riguardo che viene tributato alla religione ebraica, la quale, considerata sotto il profilo teologico, è la negazione di quella cristiana. Essere ebreo oggi, dicono costoro, significa far propria la negazione di Cristo quale Messia e Dio. Il Cristianesimo per gli ebrei, se osservanti, è quasi blasfemia. Si ripete che l’antico magistero per millenni ha avallato la teologia della sostituzione, che pare essere stata dismessa dal CVII in poi. Se non ricordo male il Card. Lehmann mi pare abbia addirittura ipotizzato una sorta di via di salvezza parallela per gli Ebrei, che non sarebbero così dunque tenuti a confessare Cristo per adire al Regno Celeste. Termino qui la lista dei rilievi sviluppati in detto ambiente, per venire a considerazioni più personali. Se da una parte mi pare assurdo pensare che lo Spirito Santo sia venuto meno al Proprio compito di inFormare e guidare la Chiesa negli anni che vanno dal pontificato di Giovanni XXIII a quello di Paolo VI, devo però riconoscere che l’ermeneutica della continuità spesso ribadita dall’amato S. Padre, forse, non sia poi così reale. Gli errori del modernismo così ben riconosciuti e denunciati da Pio IX prima e Pio X poi nella Pascendi paiono oggi un po’ meno considerati. L’apertura conciliare all’ecumenismo, la riforma liturgica, la ricalibrazione della libertà umana (forse un po’ a scapito della verità cui questa deve subordinarsi) sono tutti elementi che hanno avuto un corso piuttosto ambiguo nel prosieguo della storia degli ultimi 40 anni.

Ho avuto raramente modo di partecipare a delle celebrazioni eucaristiche more antiquo, e m’è parsa del tutto evidente l’adeguatezza delle une al Mistero Ivi celebrantesi, di contro alla dispersività di quelle attuali, molto centrate sulla liturgia della Parola. Da una parte il senso del Sacro è perfettamente significato, dall’altra no, decisamente no. E, se la lex orandi est lex credendi, le nuove celebrazioni hanno avuto dubbie ripercussioni sulla fede di chi vi assiste.

Quello che cerco di dire è che mi pare sia evidente che il CVII abbia portato dei mutamenti, probabilmente non quelli voluti dai padri conciliari, o non nella misura da questi intesa, ma senz’altro una mutazione venne introdotta. E questo è anche abbastanza ovvio, un concilio che non innovasse, pur nel solco della continuità, fallirebbe il proprio compito. E appunto è il solco della continuità che fa problema, è possibile sostenere che detta traiettoria si sia mantenuta fedele al depositum fidei?

A suo tempo mi riproposi di analizzare i concili precedenti il CVI, per studiare da vicino lo scarto esistente tra di essi, e valutare quale fosse la misura della continuità nel cambiamento “accettabile”, per poter dire che un concilio sia stato in relazione di continuità con il precedente, ma confesso di essermi trovato incapace di tanto compito, che pure auspico di poter assolvere quanto prima.

A me è parso che il CVII abbia voluto una Chiesa non più arroccata, ammesso che prima lo fosse, a difesa di valori contro i quali la modernità aveva mosso guerra, ma proteso a cogliere quanto di buono vi fosse nel moderno, per potervi dialogare in modo più fecondo. Non saprei dire se questa apertura sia stata motivata dalla “paura” di restare progressivamente esclusi dal movimento della storia, o da un’analisi più positiva del fenomeno del modernismo. Fatto sta, a mio modestissimo avviso, che si aprì un tavolo con l’evo moderno, tavolo non più teso solo ad indicarne gli errori, ma mirante a correggerne la traiettoria. Ora, se è vero, come mi pare che sia, che il modernismo è corrotto alla radice, a partire dalla propria antimetafisicità dichiarata, l’averci voluto dialogare a tutti i costi, forse, è stata un’ingenuità, non esente da conseguenze. La traiettoria compiuta da questa weltanshaung è disegnata nel segno del nulla, donde muove. Se. volere convertire questo movimento, è senz’altro opera buona e necessaria, credo l’operazione più proficua da farsi sarebbe stata quella di indicarne sempre con maggiore rigore gli errori, più che non darle un certo qual credito.
L’enfasi posta sulla libertà ha reso questa facile preda del relativismo, in tempi in cui questo era già culturalmente dilagante, pur se non filosoficamente sostenibile.

Mi fermo e mi scuso per la lungaggine.

Il tema mi appassiona e mi angustia allo stesso modo, tengo solo a precisare che quanto scritto non intende in alcun modo sindacare sull’operato della Chiesa, per la Quale ho solo devota e figliale riconoscenza, ed è proprio questo atteggiamento che mi porta a voler capire e sapere di più su di Ella.
Cordialmente

Giampaolo G.


Risposta del sacerdote

Caro Giampaolo,
rispondo solo per sommi capi alle tue riflessioni.
1. I sedevacantisti rifiutano l’attuale Magistero della Chiesa perché, secondo loro, sarebbe in contraddizione con il magistero precedente.
Fino a quando lo rifiuteranno? Chi in futuro avrebbe l’autorità di dire: finalmente il magistero di oggi è conforme al magistero preconciliare?
Come vedi, i sedevacantisti si sono messi in una china inarrestabile.
Senza volerlo e dal versante opposto si conformano ai protestanti.

2. Il Magistero conciliare va accolto non solo senza riserve, ma come un autentico dono di Dio.
È Magistero straordinario. La Chiesa in quel momento aveva la consapevolezza di agire in comunione con lo Spirito Santo, nello stesso modo in cui la Chiesa primitiva poteva dire: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi” (At 11,28).
Tutti i documenti del Concilio infatti si concludono così: “ Tutte e singole le cose, stabilite in questo decreto, sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in virtù della Potestà apostolica conferitaCi da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e stabiliamo: e quanto è stato così sinodalmente stabilito, comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio”.

3. Bisogna poi dire che un conto è il testo conciliare e un altro conto il percorso fatto dagli uomini. Il primo è infallibile, il secondo no.
Sul primo non si discute e rimane per noi la luce da seguire.
Sui nostri singoli percorsi invece ci confrontiamo con gli altri ben sapendo che “i ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni” (Sap 9,14).

4. Sulla libertà il Concilio non si è distaccato in alcun modo dal Magistero precedente.
Nel secolo XIX il Magistero condannava la libertà dalla verità, perché non esiste libertà dalla verità.
Nel dopo guerra (ma anche prima) il magistero rivendica il diritto alla libertà dall’oppressione dello stato totalitario.
Tra queste libertà il magistero della Chiesa rivendica il diritto alla libertà religiosa.
Ma è chiaro per tutti: non è libertà dalla verità, ma libertà da chi opprime la fede della gente.

Ti ringrazio per la stima e la fiducia.
Ti seguo con la preghiera e ti benedico.
Padre Angelo