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Quesito
Caro Padre Angelo,
ha toccato l’argomento della mortificazione. Può estendere per tutti i lettori il tema specificando quali sono le pratiche da tenere in considerazioni e quali evitare perché la mortificazione non si configuri come un atto per torturare sé stessi?
Digiuno, astinenza, in tutte le varie forme possibili, è quello che consiglia Gesù e talvolta anche la Madonna, ma in questo caso nessuno diventa strumento di sofferenza a se stesso o agli altri.
Grazie Padre
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. il tema delle mortificazioni è molto delicato e rischia di essere frainteso.
2. Sulle mortificazioni corporali è giusto attenersi a quello che comanda la Chiesa. I suoi precetti in questa materia sono abbastanza larghi. Lo stesso digiuno è inteso come la consumazione di un pasto normale all’interno della giornata, mentre chiede di consumare di meno nelle altre refezioni.
3. Per tutte le altre pratiche penitenziali corporali è sempre bene attenersi scrupolosamente al giudizio del confessore, per non andare al di là di quello che è previsto e per non danneggiare la propria salute.
4. Più efficaci delle mortificazioni corporali sono invece le penitenze spirituali quando vengono fatte per amore di Dio, per amore di Gesù Cristo o per amore della Madonna.
Le penitenze spirituali mortificano l’amor proprio.
A questo proposito è molto interessante il comportamento di santa Teresina del Bambin Gesù: “Le mie mortificazioni consistevano
nel rompere la mia volontà, sempre pronta a imporsi,
nel trattenere una battuta di risposta,
nel rendere servizietti senza farli valere,
nel privarmi di appoggiare il dorso quand’ero seduta, ecc. ecc.” (Storia di un’anima, 190).
4. Un digiuno irragionevole non è virtuoso e pertanto non è gradito a Dio.
Scrive S. Tommaso: “La retta ragione non ridurrà mai il vitto al punto da compromettere la conservazione della natura” (Somma teologica, II-II, 147, 1).
E S. Girolamo: “Non c’è differenza tra l’uccidersi di colpo o in un tempo più o meno lungo”; “offre dei beni rapinati colui che affligge il corpo con privazioni eccessive di vitto o di sonno” (Decret. di Graziano 3,5,24).
Continua San Tommaso: “La retta ragione inoltre non riduce il vitto tanto da rendere un uomo incapace di compiere le proprie mansioni: per cui S. Girolamo afferma che ‘‘perde la dignità di uomo ragionevole chi preferisce il digiuno alla carità’” (Somma teologica, II-II, 147, 1, ad 2).
Porta anche la testimonianza di S. Bernardo il quale confessò di aver peccato debilitando troppo il proprio corpo con digiuni e veglie (Quodl., V, 9, 2, sed contra).
E per questo afferma che “non sarebbe immune da colpa chi si astenesse dal vino in modo tale da compromettere gravemente la salute” (Somma teologica, II-II, 150, 1, ad 1).
5. Va ricordato infine che la penitenza non è l’obiettivo della vita cristiana.
L’obiettivo o fine è sempre e solo l’amore per Dio manifestato attraverso l’amore del prossimo.
La penitenza è un mezzo.
E questo mezzo deve essere sempre proporzionato alla capacità e alle necessità dei singoli.
6. Scrive S. Tommaso: “È il fine infatti la realtà che va attinta senza misura.
Tutto ciò, invece, che è mezzo in ordine al fine va attinto con misura e proporzione.
Così ad esempio, il medico cerca la salute più grande possibile del malato (il fine). Somministra invece la medicina (il mezzo) secondo la capacità del ricevente.
Ebbene nella vita spirituale il fine è l’amore di Dio.
I digiuni, invece, le veglie e tutti gli altri esercizi corporali non vengono cercati come fine, perché il regno di Dio non è questione di cibo e bevande (Rm 14,17), ma come mezzi necessari al fine, e cioè per domare le concupiscenze della carne, secondo quanto dice l’Apostolo: ‘‘castigo il mio corpo e lo riduco in schiavitù…’ (1 Cor 9,27). E perciò sono da usarsi secondo una certa misura della ragione: in modo che la concupiscenza venga distolta e la natura non sia estinta” (Quodl., V, 9, 2).
Ti ringrazio, ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo