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Quesito
Buona sera,
mi hanno consigliato questo portale per esprimere i miei dubbi in materia di fede. Ho visto anche che i quesiti sono pubblicati sul sito a meno che non si faccia richiesta di mantenere privata la mail. In generale preferirei infatti rimanesse privata.
Cerco di esporre qui le mie domande, che nelle ultime due settimane si sono fatte molto insistenti e mi stanno creando una certa sofferenza interiore perché le trovo irrisolvibili. Mi presento prima velocemente perché magari può servire. Sono uno studente in filosofia prossimo alla laurea magistrale. Sono cresciuto in un ambiente moderatamente cristiano, i miei genitori hanno sempre voluto che frequentassi l’oratorio e facessi catechismo. Verso i 17 anni ho abbandonato l’ambiente per rifiuto. In quel tempo, come succede a moltissimi giovani, incontrai la filosofia di Nietzsche la quale mi fece tremare le vene e i polsi. Da lì iniziò il dissidio interiore. Tuttavia sono sempre stato in ricerca. Motivo per cui mi sono iscritto a filosofia. La ricerca di Dio per me è sempre stata importante. Una cosa che non ho mai ritenuto banale nonostante l’ambiente laicista che mi circondava (in una facoltà di filosofia in università i credenti si contano col contagocce). Come quasi tutti ricercavo il senso, il significato dell’esistenza. (…).
Ultimamente sto maturando sempre più una sensibilità politica. Un po’ perché mi appassiona l’argomento, un po’ perché questa passione è notata all’esterno. Ricevo molti riscontri da terzi su questa strada. “Perché non ti metti in politica?”. (…). Ma non vedo come possa un politico non giocarsi l’anima. Il politico da una parte mi sembra l’uomo maggiormente degno di rispetto (intendo un autentico uomo di stato, non un commediante del nichilismo partitico contemporaneo) perché è una figura del margine. Si trova al margine della comunità, né dentro né fuori. Il capo di stato è si a servizio della comunità (nazione?), ma allo stesso tempo per servire la patria deve prendere decisioni che spesso mal si conciliano con la caritas. La forza non è caritas, ma spesso la politica ne richiede l’uso. Si tratta di dosare la forza o di abbandonarla del tutto? (…).
L’intervento è un atto di forza, dov’è la caritas in un atto di forza? Io penso che questo problema del politico sia intrascendibile e irrisolvibile. Da qui la mia sofferenza. (…).
La mia angoscia aumenta se penso alla coscienza che ho del peccato perché, avendo letto il compendio del catechismo, conosco la differenza tra peccato mortale e veniale. Il discrimine principale è l’adesione della propria coscienza all’atto malvagio. Ma un soldato allora come mai può salvarsi dall’inferno? Come mai può evitare la dannazione un ministro degli esteri? Un capo dei servizi segreti? (…).
Così mi trovo a non sapere cosa fare. Ho paura di non morire in beatitudine, e di relegare me stesso ad un’eternità di abbandono da Dio. (…).
Vi ringrazio molto per la vostra disponibilità, offerta gentilmente su questo portale.
Un cordiale saluto,
Stefano
Risposta del sacerdote
Caro Stefano,
1. sabato scorso, 28 gennaio, abbiamo celebrato la festa di San Tommaso d’Aquino, il quale in pieno medioevo quando qualcuno nella la Chiesa rivendicava l’autorità del Papa su quella temporale, ha distinto i due ambiti.
La Chiesa ha come obiettivo la salus aeterna animarum, mentre la società civile ha come suo obiettivo la promozione del bene comune.
L’ambito della Chiesa è quello della carità, quello della società civile è la giustizia.
2. San Tommaso ricorda spesso che la Caritas non soppianta la giustizia, ma la presuppone, la purifica e la eleva.
Innanzitutto la presuppone.
Proprio per questo può capitare che la giustizia debba usare la forza per promuovere e difendere il bene comune, come quando un popolo, una nazione, viene invaso da un altro popolo.
3. La giustizia non si oppone alla carità, anzi, ma ne è, come diceva Paolo VI, la misura minima..
Possiamo dire che la Caritas comincia con la giustizia e non è veramente tale senza la sua piena realizzazione.
4. Pertanto la carità non sostituisce la giustizia, ma la pre richiede, secondo la nota affermazione di San Tommaso universalmente accettata all’interno della Chiesa: “gratia non destruit, sed perficit naturam” (la grazia o caritas non distrugge e non sostituisce la natura, ma la perfeziona).
Non può perfezionarla se non presupponendola.
5. Pio XI, nella Divini Redemptoris, in termini molto forti, disse: “La carità non sarà mai vera carità se non terrà sempre conto della giustizia…
Una carità che privi l’operaio del salario a cui ha stretto diritto, non è carità, ma un vano nome e una vuota speranza di carità.
Né l’operaio ha bisogno di ricercare come elemosina ciò che a lui tocca per giustizia; né si può tentare di esimersi dai grandi doveri imposti dalla giustizia con piccoli doni di misericordia” (DR 49).
6. E Pio XII: “Per essere autentica e vera, la carità deve sempre tener conto della giustizia da instaurare e non accontentarsi di mascherare disordini e insufficienze d’una ingiusta condizione” (Lettera al Presidente della Settimana sociale in Francia, 1952).
7. Nello stesso tempo non si può dimenticare che a motivo del peccato originale tante debolezze sono congenite alla natura umana e che la giustizia è tentata spesso da ripiegamenti egocentrici. E che, anche quando viene applicata, talvolta non va al di là del freddo calcolo, mentre di suo, per essere virtuosa, richiede di essere animata dall’amore.
Lo stretto rigore di giustizia, espresso nella legge del taglione, non è sufficiente per regolare i rapporti umani.
Giorgio La Pira diceva che se nella società si procedesse solo con il criterio dell’occhio per occhio edel dente per dente (Es 21,24) a quest’ora tutti saremmo ciechi e sdentati!
8. Si rende necessario allora un supplemento d’amore, dato da Dio con la carità.
Essa ha per oggetto Dio, amato in se stesso e per se stesso.
Ha per oggetto anche l’amore del prossimo amato a motivo di Dio e in vista di Dio.
In tal modo l’amore umano viene rafforzato dall’amore di Dio e si orienta a stabilire un ordine perfetto, che tutela i diritti di tutti e in particolare dei più deboli.
9. La sola giustizia, che è la forma minima dell’amore, non è perfetta se non è integrata dalla grazia, dalla Caritas.
Tanto meno può provvedere e rimediare a tutto.
A ragione Sant’Agostino diceva: “Non vivunt bene filii hominum, nisi effecti filii Dei” (“non vivono bene i figli degli uomini se non sono resi figli di Dio”, Contra Ep. Pelag. 1, 1. n. 5).
Di fatto si diventa virtuosi, anzi, pienamente virtuosi solo se la giustizia si lascia integrare della carità.
10. Ecco, pertanto, ciò che è necessario tenere presente: giustizia e carità non si oppongono, ma si implicano vicendevolmente.
Ragion per cui è possibile essere santi anche nella politica come lo è stato in modo particolare Giorgio La Pira la, la cui causa di beatificazione va avanti.
Ti benedico, mi complimento per la tua bella riflessione che purtroppo ho dovuto tagliare e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo