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Quesito
Padre Angelo buonasera;
ho letto tra i vari quesiti la confessione di un uomo più o meno della mia età che è ricorso alla fustigazione per espiare desideri carnali.
Ho 43 anni e riavvicinato di recente alla fede ne ho tratto grande soddisfazione.
Purtroppo però la confessione così come si usa oggi con penitenze di fede preghiere ed atto di dolore non riesce a placarmi e ricado spesso in tentazione.
È da un pò di tempo che ho iniziato a fustigarmi dopo la confessione.
Ho però letto che sarebbe opportuno farsi seguire da una guida spirituale ma ho forte imbarazzo a parlarne ed ho paura non essere capito. Abito a ….
Ringrazio lei per l’ascolto.
Che la pace sia con lei e tutti noi.
Grazie
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. di per sé la Chiesa non chiede la fustigazione del corpo, anche se questa in taluni casi può essere salutare.
Tuttavia nell’esercizio di determinate pratiche, per essere prudenti e non doversene pentire, è giusto passare attraverso il parere del confessore.
Inoltre va detto che non sono le nostre opere che espiano i peccati, ma solo il Sangue del Redentore.
E questo viene versato sulla tua anima nel momento in cui ricevi l’assoluzione dei tuoi peccati da parte del Sacerdote.
2. A che cosa serve allora la penitenza che viene imposta dal confessore e che è parte integrante della Confessione?
Giovanni Paolo II in Reconciliatio et paenitentia dopo aver detto che “non è certo il prezzo che si paga per il peccato assolto e per il perdono acquistato; nessun prezzo umano può equivalere a ciò che si è ottenuto, frutto del preziosissimo sangue di Cristo” (RP 31,III) porta tre motivi.
Eccoli:
“Le opere della soddisfazione – che, pur conservando un carattere di semplicità e umiltà, dovrebbero essere rese più espressive di tutto ciò che significano – vogliono dire alcune cose preziose:
1- esse sono il segno dell’impegno personale che il cristiano ha assunto con Dio, nel sacramento, di cominciare un’esistenza nuova (e perciò non dovrebbero ridursi soltanto ad alcune formule da recitare, ma consistere in opere di culto, di carità, di misericordia, di riparazione);
2- includono l’idea che il peccatore perdonato è capace di unire la sua propria mortificazione fisica e spirituale, ricercata o almeno accettata, alla passione di Gesù che gli ha ottenuto il perdono;
3- ricordano anche che dopo l’assoluzione rimane nel cristiano una zona d’ombra, dovuta alle ferite del peccato, all’imperfezione dell’amore nel pentimento, all’indebolimento delle facoltà spirituali, in cui opera ancora un focolaio infettivo di peccato, che bisogna sempre combattere con la mortificazione e la penitenza. Tale è il significato dell’umile, ma sincera soddisfazione” (RP 31,III).
3. Quali opere dovrebbe indicare il Sacerdote?
Può essere imposta come penitenza sacramentale qualsiasi opera buona e soprannaturale, interna o esterna, privata o pubblica, libera o anche prescritta, in senso assoluto o condizionata, per se stessi, per i vivi o per i defunti.
Le opere classiche sono quelle indicate da Mt 6,1-18: preghiera, digiuno ed elemosina.
In quest’ultima va intesa qualsiasi opera di carità, che ha il potere di coprire un gran numero di peccati (1 Pt 4,8).
Nel digiuno è compreso ogni atto di mortificazione sia interno che esterno.
4. Questo “ternario penitenziale” è ordinato a rimediare la triplice concupiscenza (1 Gv 2,16). L’elemosina rimedia la concupiscenza degli occhi (che simboleggia l’avidità), il digiuno quella della carne, la preghiera la superbia della mente.
Così ancora: i peccati contro Dio vengono rimediati principalmente con la preghiera; quelli contro se stessi con il digiuno; quelli contro il prossimo con l’elemosina.
5. Accanto alla penitenza sacramentale, esiste anche la penitenza come virtù personale.
Qui i mezzi di disciplina ognuno li sceglie da se stesso.
Se si tratta di penitenze gravose è sempre opportuno, come si diceva, passare attraverso il parere del confessore.
In questo caso vale di più l’obbedienza che qualsiasi altra pratica.
6. Di fatto la penitenza nella quale più facilmente si può andare contro i criteri della prudenza è costituita dal digiuno e da altre penitenze corporali.
A questo proposito San Tommaso riporta la sentenza di San Giovanni Crisostomo secondo il quale “l’amputazione dei genitali non comprime le tentazioni e non causa la quiete quanto il freno del pensiero (Super Matth.)” (S. TOMMASO, Opuscula theologica).
Sotto quest’aspetto è più proficua un’autodisciplina nello sguardo.
L’autodisciplina nell’uso di internet, ad esempio, è formidabile.
In questa direzione si può ricondurre quanto ha detto il Signore nel discorso della Montagna: “Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna” (Mt 5,29).
In quest’autodisciplina non è necessario passare attraverso il confessore.
7. Ugualmente non è necessario passare attraverso il confessore per l’uso della lingua, in specie nella maldicenza.
Astenersi dal riferire il male compiuto dagli altri (eccetto nel caso in cui vada detto per il bene dell’interessato e della comunità) è un bell’atto di autodominio e di carità.
Come vedi, ce ne sono di opere utili non tanto a soffrire, ma ad autodominarsi e a compiere atti di virtù.
Sarebbe già sufficiente questo per diventare più conformi a Cristo nelle sue virtù.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo