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Quesito

Stimato Padre Angelo.
Ricevi i miei saluti più cordiali e cattolici, nella fede di Cristo.
Fortunatamente, ho avuto l’opportunità di seguirla su diversi mezzi di comunicazione e sui social network, e vista la sua saggezza e fiducia che lei dimostra sempre, molto umilmente le chiedo di potermi orientare nei due punti che le presento, premettendo che sono stato sposato cattolicamente e ora sono sposato civilmente.
Quello che le voglio chiedere è quanto segue:
1. Può essere ministro della parola (leggere le letture) una persona sposata civilmente?
2. Può essere ministro della Comunione una persona sposata civilmente?
Anticipatamente la ringrazio molto, per la risposta orientativa.
La saluto cordialmente
Fidel Alberto


Risposta del sacerdote

Caro Fidel Alberto,
1. conserva tutto il suo vigore la Lettera della Congregazione per la dottrina della fede in data 14 settembre 1994, con la firma dell’allora cardinale Ratzinger e approvata dal Santo padre Giovanni Paolo II, sulla posizione dei cristiani divorziati dal matrimonio sacramento e risposati civilmente.
La tua situazione, da quanto ho capito, è proprio questa: prima ti sei sposato in chiesa col matrimonio sacramentale e poi ti sei sposato di nuovo civilmente
Questa lettera, mentre ricorda che gli sposi irregolari non sono scomunicati ma fanno parte della Chiesa e sono chiamati a vivere al suo interno in maniera attiva secondo quanto lo permette la loro condizione, al numero 4 scrive: “A motivo della loro situazione oggettiva i fedeli divorziati risposati non possono essere ammessi alla Santa Comunione e neppure accedere di propria iniziativa alla mensa del Signore”.
Viene poi ribadita “la prassi della Chiesa fondata sulla Sacra Scrittura di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati” (Familiaris consortio 84).

2. Da questa affermazione ne segue logicamente che, se una persona non può fare la Santa Comunione, non può neanche esserne ministro straordinario. 
La stessa cosa vale anche per la lettura fatta in Chiesa durante l’assemblea liturgica, magari alla presenza del coniuge e dei figli ingiustamente abbandonati e umiliati.

3. Oltretutto sarebbe uno scandalo per i fedeli che rimarrebbero confusi circa la dottrina evangelica dell’unità e dell’indissolubilità del matrimonio.
Non possiamo dimenticare che Gesù ha detto: “non separi l’uomo ciò che Dio ha unito” (Mc 10,9) e “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio” (Mc 10,11-12).
Nessuno evidentemente può mutare l’insegnamento del Signore.
Anzi, tutti sono tenuti a partire dalle parole del Signore per dirimere ogni questione.
Sia i vescovi sia i sacerdoti sono ministri dell’insegnamento di Cristo.
Non possono mutarlo.

4. La Lettera della congregazione per la dottrina della fede aggiunge: “Il fedele che convive abitualmente more uxorio (e cioè come marito e moglie, n.d.r.) con una persona che non è la legittima moglie o il legittimo marito, non può accedere alla Comunione eucaristica. Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori, date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa. Devono anche ricordare questa dottrina nell’insegnamento a tutti i fedeli loro affidati” (n. 6).

5. Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica dice la stessa cosa: “La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo («Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio», Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio.
Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione.
Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali.
La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza” (CCC 1650).
Dice anche che “il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente” (CCC 2384).

6. Se possono essere confessati e ricevere la Santa Comunione quando vivono in completa continenza, possono tuttavia ricevere questi sacramenti evitando ogni scandalo e confusione per i fedeli.
In altre parole li possono ricevere privatamente.
Oppure li possono ricevere pubblicamente solo là dove non sono conosciuti come divorziati risposati.

7. Il Direttorio di pastorale familiare della Conferenza episcopale italiana scrive: “La partecipazione dei divorziati risposati alla vita della Chiesa rimane condizionatadalla loro non piena appartenenza ad essa. È evidente che essi non possono svolgere nella comunità ecclesiale quei servizi che esigono una pienezza di testimonianza cristiana, come sono i servizi liturgici e in particolare quello di lettori, il ministero di catechista, l’ufficio di padrino per i sacramenti.
Nella stessa prospettiva, è da escludere una loro partecipazione ai consigli pastorali, i cui membri, condividendo in pienezza la vita della comunità cristiana, ne sono in qualche modo i rappresentanti e i delegati.
Non sussistono invece ragioni intrinseche per impedire che un divorziato risposato funga da testimone nella celebrazione del matrimonio: tuttavia saggezza pastorale chiederebbe di evitarlo, per il chiaro contrasto che esiste tra il matrimonio indissolubile di cui il soggetto si fa testimone e la situazione di violazione della stessa indissolubilità che egli vive personalmente” (DPF 218).

Ti auguro ogni bene, ti benedico e ti ricordo nella preghiera. 
Padre Angelo