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Quesito

Caro Padre Angelo,
Le vorrei chiedere un parere personale su quanto mi è capitato di leggere: che la possibilità di dare o meno la comunione ai divorziati risposati non sia di legge divina ma di legge ecclesiastica e che quindi possa essere cambiata dal Romano Pontefice in qualsiasi momento.
Purtroppo sono 2 anni che leggo di tutto e di più su questo argomento anche di eminenti teologi o vescovi o cardinali, c’è chi dice che non si può cambiare e c’è chi dice che si può cambiare.
In più se vuoi seguire la dottrina c’è chi te la interpreta in un modo e chi un altro.
Mi aiuti padre Angelo.
Luca


Risposta del sacerdote

Caro Luca,
1. in teologia è necessario partire dalla Divina Rivelazione.
Ora per il quesito che mi hai posto la Sacra Scrittura ci presenta affermazioni molto importanti, che non riguardano la disciplina, ma le verità della nostra fede.

2. La prima è questa: “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11,27-29).
L’indegnità di cui qui si parla non è quella per la quale nessun uomo è degno di stare alla mensa del Signore e per la quale la Chiesa prima di nutrirci del Corpo e del Sangue del Signore ci fa ripetere le parole evangeliche: “Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma dì soltanto una parola e io sarò salvato”.
Si tratta invece “della volontà di peccare mortalmente oppure di qualche peccato passato del quale non ci si è pentiti sufficientemente”: così commenta San Tommaso in questo passo della prima lettera ai Corinzi.
San Tommaso continua: “Non discerne il corpo del Signore chi non distingue il corpo del Signore dagli altri, assumendolo indifferentemente come fa con gli altri cibi. Nel Libro del Levitico si legge: “Ogni uomo della vostra discendenza che si accosterà in stato di impurità alle offerte sante, consacrate dagli Israeliti in onore del Signore, sarà eliminato dalla mia presenza” (Lev 22,3).

3. Ora si tratta di vedere se la condizione di divorziato risposato sia semplicemente una questione disciplinare oppure tocchi una verità della fede cristiana.
Ebbene a questo proposito abbiamo due affermazioni che in nessun modo possono essere trascurate.
La prima è quella uscita dalla bocca di Nostro Signore: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio” (Mc 10,11-12).
Questa è dottrina. Non è norma disciplinare.
È dottrina che scaturisce dal principio poco prima esposto da Gesù: “per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto” (Mc 10,7-9).
Lo stato del divorziato che passa ad una nuova unione è nettamente contrario al volere del Signore: “l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”.

4. La seconda affermazione è quella che ci rivela la gravità di questo peccato in forza del quale, se non si è pentiti, non si entra nel Regno di Dio: “Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio” (1 Cor 6,9-10).
Ora i divorziati risposati rientrano tra coloro che vivono oggettivamente in uno stato di adulterio.
Se la nostra ragione non riuscisse a comprenderlo, ce lo ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica nel quale si legge:
“Il divorzio è una grave offesa alla legge naturale.
Esso pretende di sciogliere il patto liberamente stipulato dagli sposi, di vivere l’uno con l’altro fino alla morte.
Il divorzio offende l’Alleanza della salvezza, di cui il matrimonio sacramentale è segno.
Il fatto di contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura: il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente” (CCC 2384).

5. La conclusione è chiara: chi si trova in una condizione di adulterio pubblico e permanente vive in palese contrasto con il disegno divino sul matrimonio.
È tra coloro che non possono accedere all’Eucaristia secondo il dettato di 1 Cor 11,27-29).
Questa è dottrina, prima ancora di essere disciplina.
Francamente non riesco a capacitarmi di come alcuni possano pensare diversamente.
Sono convinto che anche un ateo, pur non avendo fede, trarrebbe queste conclusioni dal testo sacro. È la logica che porta a dire questo.
Non c’è bisogno di aspettarsi un pronunciamento dogmatico per ogni verità di fede. Se è per questo, non è stato oggetto di pronunciamento di dogma di fede neanche l’esistenza di Dio o di Gesù Cristo.

6. Certo, c’è poi discorso soggettivo e individuale da fare.
Così come c’è un percorso pastorale da attuare.
È quanto ha inteso fare Amoris laetitia quando scrive: “I divorziati che vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale.
Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni in cui «l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione» (FC 84).
C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di «coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido» (FC 84)” (AL 298).

7. Ma questo esula dalla domanda: se si tratti di legge divina o di legge ecclesiastica, e che quindi se possa essere cambiata dal Romano Pontefice in qualsiasi momento.
Non c’è bisogno di un pronunciamento del Romano Pontefice per dare l’assoluzione e la Santa Comunione (escludendo evidentemente lo scandalo) a coloro che pur vivendo in uno stato oggettivo di disordine non ne possono uscire, si comportano castamente e vivono in grazia di Dio.
È sufficiente il buon senso di qualunque pastore. Come del resto si è sempre fatto.

Ti ringrazio per la fiducia, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo