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Quesito

Buonasera, Padre Angelo.
Vorrei porle alcuni quesiti riguardo il pensiero tomista.
Vorrei ricevere, innanzitutto, alcuni chiarimenti sul concetto di "reprobatio" da parte di Dio, secondo quanto ho letto nella Somma Teologica, parte I, q. 23, a. 3. Se Dio è sommo Bene e Amore Infinito, come può negare il bene assoluto della vita eterna, secondo quanto è affermato dall’Angelico nella risposta alla quaestio?
Inoltre, le chiedo di espormi la differenza tra grazia efficace e grazia sufficiente, dal momento che, sempre nella parte I, q. 23, a. 6, San Tommaso sembra porre una netta separazione tra quelli che sono predestinati e, quindi, salvi infallibilmente, e quelli che si salvano per grazia e che possono dannarsi.
Questa "preferenza" divina significherebbe che davanti a Lui vi sono persone più amate e altre meno, ma ciò mi sembra in contrasto con la Volontà di salvezza universale.
Infine, vorrei sapere se sia verità di fede la considerazione della beatitudine come differente per gradazione, che mi induce a credere che l’Amore di Dio sia relativo a qualche atto meritorio e non sia assoluto. Questa proposizione, presente nella Somma, mi sembra in contrasto anche con la I lettera di San Giovanni, quando si afferma che "saremo simili a Lui, perchè Lo vedremo così come egli è", mentre nella Somma si parla di diverse "mansioni" e gradazioni di fruizione della beatitudine.
La ringrazio e la saluto con affetto e prego il Signore perchè le conceda ogni grazia.
Andrea M.


Risposta del sacerdote

Caro Andrea,
1. leggendo il testo di san Tommaso ci si accorge quale sia il vero significato della riprovazione dei dannati.
Tu mi dici che Dio nega la beatitudine eterna ad alcuni.
No, Dio non nega.
La sua volontà è di darla a tutti. Ma Dio permette che qualcuno non l’attinga.
Ora, come ben si comprende, c’è una diversità tra il permettere e il negare.
C’è una diversità tra il permettere che un figlio esca di casa e vada ad abitare da solo per conto proprio e negare la coabitazione.
Negare manifesta una volontà in qualche modo cattiva. Il permettere include una certa sofferenza. È un dispiacere.

2. Ecco il testo di san Tommaso: “Dio riprova alcuni. Infatti abbiamo già detto che la predestinazione è una parte della provvidenza. Si è anche dimostrato che la provvidenza può ragionevolmente permettere qualche deficienza nelle cose ad essa sottoposte. Dunque, siccome gli uomini vengono indirizzati alla vita eterna dalla provvidenza divina, appartiene ad essa il permettere che alcuni manchino di raggiungere questo fine (ut permittat aliquos ab isto fine deficere). E ciò si dice riprovare.
Quindi come la predestinazione è parte della provvidenza relativamente a coloro che da Dio vengono ordinati alta salvezza eterna; così la riprovazione è parte della divina provvidenza rispetto a coloro che non raggiungono tale fine.
Quindi la riprovazione non dice soltanto prescienza: ma vi aggiunge concettualmente qualche cosa. Difatti, come la predestinazione include la volontà di conferire la grazia e la gloria, così la riprovazione include la volontà di permettere che qualcuno cada nella colpa, e che cada nella pena della dannazione per il peccato” (Somma teologica, I, 23, 3).

3. Mi parli del tuo sconcerto nel sapere che da parte di Dio vi sarebbero alcune creature più amate di altre.
E questo ti sembra in contrasto con la sua volontà di salvezza universale.
A questo proposito bisogna evitare degli equivoci perché l’amore di Dio è diverso dal nostro.
Noi amiamo una realtà per il bene che ha o che le desideriamo, mentre l’amore di Dio è causativo del bene.
Scrive San Tommaso: “Dio non ama il bene come lo amiamo noi. Infatti, poiché la nostra volontà non è la causa della bontà delle cose, ma anzi, è mossa da tale bontà come dal suo oggetto, l’amore col quale vogliamo il bene per qualcuno non è causa della sua bontà, ma al contrario, la sua bontà, vera o supposta, suscita l’amore col quale vogliamo che conservi il bene che ha o acquisti quello che non ha ancora. A questo indirizziamo i nostri sforzi. Quello di Dio, invece, è un amore che infonde la bontà nelle creature” (Somma teologica, I, 20, 2).
Questo significa che Dio non ama maggiormente una persona per il fatto che è più perfetta e più santa, ma una persona è più perfetta e più santa per il fatto che è più amata da Dio. In questo senso si capiscono meglio le parole di S. Paolo: “Che cosa ha tu che non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto; perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?” (1 Cor 4,7).

4. A questo punto nasce il problema se Dio ami uno più di un altro,
Ecco che cosa dice S. Tommaso: “Da parte dell’atto di volontà… non si può dire che Dio ami più alcune cose che altre, dato che ama tutto con un solo e semplice atto di volontà, che non può mai variare.
Da parte invece del bene che si vuole all’amato… Dio ama alcune cose più che altre, poiché, dato che il suo amore è causa della bontà delle cose, non ve ne sarebbero alcune migliori di altre, se Dio non avesse voluto, per esse, beni maggiori che per le altre” (Somma teologica, I, 20, 3).
S. Agostino dice che “Dio ama tutte le cose che ha fatto; ma tra esse ama di più le creature ragionevoli, e tra queste maggiormente ama quelle che sono membra del suo Figlio unico; e molto di più ancora il suo stesso Unigenito” (Super Joan., Tract. 110).
Cristo, anche come uomo, “è amato dal Padre non solo più di tutto il genere umano, ma anche di tutto il complesso delle creature. Gli ha voluto infatti un bene più grande poiché gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome (Fil 2,9), affinché fosse vero Dio” (Somma teologica, I, 20, 4, ad 1).
Ciò significa praticamente che Cristo va amato più di ogni altra cosa e l’amicizia con lui va preferita a tutte le amicizie e gli amori. Infatti chi viene introdotto nel circolo di amore divino, conforma il suo modo di amare a quello di Dio.
Tuttavia non possiamo sapere perché Dio ad alcuni dia più che ad altri. Dopo tanti ragionamenti S. Tommaso conclude: “Comunque sia parrebbe presunzione voler dirimere una tale questione, poiché, come si dice nei Proverbi ‘chi scruta gli spiriti è il Signore (Pr 16,2) e nessun altro” (Somma teologica, I, 20, 4, ad 3).

5. Infine domandi “se sia verità di fede la considerazione della beatitudine come differente per gradazione” perché ti sembrerebbe in contrasto anche con la I lettera di San Giovanni, quando si afferma che "saremo simili a Lui, perchè Lo vedremo così come egli è".
È il Signore stesso che parla di diversa gradazione di beni comunicati agli uomini.
Nella parabola dei talenti si legge che ad uno ne vengono dati 5, ad un altro 2, ad un terzo 1: “Il padrone distribuì i talenti secondo le capacità di ognuno” (Mt 25,15).
Commentando questo passo S. Tommaso dice che questa capacità dipende dalla grazia preveniente dello Spirito Santo che produce nell’anima una disposizione soprannaturale corrispondente al grado di grazia o di carità che vuole infondere in essa secondo il suo libero beneplacito (Commento al Vangelo di Matteo 25, 15).

6. Inoltre la S. Scrittura afferma: “A ciascuno di noi la grazia è stata data secondo la misura del beneplacito di Cristo” (Ef 4,7) e “tutte queste cose le compie un solo e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno in particolare come vuole” (1 Cor 12,11).
E il Magistero della Chiesa nel concilio di Trento: “Ci chiamiamo e siamo veramente giusti quando ciascuno di noi riceve la sua propria giustizia secondo la misura con cui lo Spirito Santo la distribuisce a ciascuno come vuole (1 Cor 12,11), e secondo la disposizione e la cooperazione propria di ciascuno” (DS 1529).

7. Sui gradi della beatitudine ne parla anche la Sacra Scrittura: “Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle. Ogni stella infatti differisce da un’altra nello splendore”(1 Cor 15,41).
In ogni caso ognuno è sazio e non prova invidia per quanto Dio ha dato agli altri.

8. A questo proposito mi piace riferire quanto scrive Santa Teresa del bambin Gesù: “Una volta mi meravigliavo che il Signore non dia gloria uguale in Cielo a tutti gli eletti, e temevo che non tutti fossero felici; allora Paolina mi disse di andare a prendere il bicchiere grande di Papà e di metterlo accanto al mio piccolissimo ditale, poi di riempirli di acqua tutti due; e mi domando: "Quale è più pieno?". Le risposi che erano pieni tutti due, e che non si poteva mettere più acqua di quanta ne potevano contenere. La mia cara Madre mi fece capire così che il buon Dio dà in Cielo ai suoi eletti tanta gloria quanta possono riceverne, e che l’ultimo non avrà niente da invidiare al primo. In tal modo, mettendo alla mia portata le verità più sublimi, lei, Madre, sapeva dare all’anima mia il nutrimento che le occorreva” (Storia di un’anima, 65).
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo