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La nascita di Agnese, vergine insigne per il fiducioso amore verso Dio, avvenuta in un villaggio detto Gracciano Vecchio, situato nel « territorio della famosa città di Montepulciano (Siena), da genitori, stando al giudizio del mondo, di oscura condizione, sebbene fossero al tempo stesso considerati ricchi perché possedevano beni temporali in abbondanza, fu, se vogliamo attenerci alla lunga fama, veramente santa». Così il Beato Raimondo da Capua iniziò « La leggenda della Beata Agnese», che scrisse 50 anni dopo la morte della Santa dimorando nel monastero fondato dalla medesima. Ed è questa, tutt’oggi, l’unica fonte a cui attingere le notizie prin­cipali della vita di S. Agnese.
Lo scrupoloso biografo curò la direzione del monastero per tre anni e più, e constatò di persona il forte richiamo che esercitava sui fedeli il corpo vir­gineo della Santa presso il quale molti ottenevano grazie consolatrici.
« Era il tempo della mia giovinezza »   egli annota nella vita di S. Cate­rina da Siena che scriverà alcuni decenni dopo   « e raccogliendo qua e là da alcuni scritti che vi trovai, e parlando con quattro suore sue condiscepole che erano ancora in vita, scrissi una storia di lei » . Questa spiegazione si rendeva necessaria per mettere in luce il forte legame che unì la Santa senese alla Vergine di Montepulciano. Infatti a S. Caterina « era stato rivelato che nel cielo si sarebbe ritrovata accanto alla Beata Agnese e che l’avrebbe avuta compagna nell’eterna beatitudine. Le era quindi nato un gran desiderio di visi­tare le sue reliquie. Quando si recò al monastero la prima volta si accostò religiosamente al corpo della Vergine. Si inginocchiò ai suoi piedi e reclinò il capo per baciarglieli, ma il corpo esanime, senza farle ingiuria, alzò un piede fino a lei »: Una seconda volta S. Caterina tornò in quel monastero e « vi condusse per servire l’Altissimo, due sue nipoti, figlie del fratello Bartolomeo.
Il suo primo pensiero fu di andare a venerare il corpo della Beata. Questa volta le si avvicinò dalla parte del capo e accostò la sua faccia a quella di Agnese avvolta in un panno di seta filata d’oro, e rimase alquanto in quella posizione. Ad un tratto le persone presenti videro venir giù come pioggia una bianchissima e minutissima manna, e in tanta abbondanza da imbiancare non solo la salma, ma anche il corpo delle visitatrici. Il miracolo della manna era comunissimo ad Agnese quando pregava. Essa rappresenta, con la bianchezza e la piccolezza dei chicchi, la purità e l’umiltà, le due virtù che rifulsero maggiormente nelle due Vergini » .
Torniamo ora agli inizi della vita terrena di Agnese Segni. Ella nacque nel 1268 e subito « fu mostrato agli astanti di quanto merito dovesse essere in seguito davanti a Dio la neonata ». Infatti grandi bagliori illuminarono la stanza in cui si trovava la mamma partoriente, ma questi splendori cessarono appena la bimba venne alla luce. Ancora in tenera età, si appartava nella parte posteriore della casa, si inginocchiava vicino al muro e ripeteva con gran fervore il « Pater noster » e l’ « Ave Maria » .
Nella preghiera quotidiana si maturò in lei il desiderio di abbandonare il mondo per consacrarsi tutta al servizio di Dio. Ma i genitori pensarono che fosse un entusiasmo passeggero e non diedero peso alle sue richieste, fino a quando un fatto insolito non li fece riflettere. Verso i nove anni, in compagnia di alcune donne, la bambina uscì dal suo villaggio per recarsi a Montepulciano. Mentre si avvicinava ad un colle situato nei pressi della città, « si levò da questo colle uno stormo di corvi neri neri, gracchianti, che le si avventarono contro, adoperandosi, con gli unghioni e a furiosi colpi di becco, di straziarla ».
Alle sue accompagnatrici la bambina dette la sua spiegazione: « Dio permette che questi corvi mi investano con tanta persistenza, appunto perché non
mi volete permettere ai indossare l’abito religioso, per dedicarmi al Signore».
Questo avvenimento indusse i genitori ad assecondare la sua inclinazione e la condussero in una casa di vergini consacrate le quali, a motivo dello scapolare di ruvido panno, erano chiamate da tutti « monache del sacco ».
Esaudito il suo desiderio, Agnese « cominciò a vivere molto intensamente la vita dell’anima, tanto da togliere all’umana fragilità tutto il tempo che poteva, per dedicarsi completamente alla preghiera, alla meditazione e alla obbedienza » . La sua maestra, Sr. Margherita, era dolcemente tratta ad ammirare così profonde virtù, e tutte le suore, sia giovani che anziane, la tenevano in gran considerazione « chè era remissiva per amore di santa obbedienza, piena di fervore nella preghiera, cortese nella conversazione, sempre serena per amor di Dio, autorevole per l’assennatezza, perché sapeva dominare e guidare la propria volontà in ogni atteggiamento dello spirito » . Per tutte queste ragioni quando, verso i quattordici anni, le fu affidato l’ufficio di dispensiera, perché distribuisse a ciascuna quanto occorreva, il Signore le concesse di svolgere l’incarico con soddisfazione di tutte, senza tralasciare l’aspra penitenza abituale, né interrompere il fervore della preghiera continua. Fu in questo periodo che lo Sposo divino cominciò a favorirla di celesti carismi. Una volta fu vista innalzarsi fino all’altezza del grande Crocifisso posto sopra l’altare e baciarlo ed abbracciarlo con grande trasporto. Un’altra celebre visione fu quella in cui la Beatissima Vergine Maria, di cui era teneramente devota, le porse tre pietruzze, dicendole: «Prima di morire innalzerai una chiesa in mio onore: sarà costruita sulla rupe e rafforzata da fede incrollabile nella SS. Tri­nità». Agnese prese in consegna il pegno della futura fondazione e lo custodì con trepida segretezza.
La fama di santità delle «monache del sacco» indusse gli abitanti di Proceno, un paesetto situato nel contado della città di Orvieto (Terni), a chie­dere che venisse fondato un monastero anche nel loro territorio. Fu scelta a questo scopo Sr. Margherita, che volle come compagna la sua santa discepola Sr. Agnese.
Le due suore non delusero le aspettative dei Procenesi ed il merito mag­giore fu di Sr. Agnese che irradiava tanta bontà da conquistare il cuore di molte fanciulle coi suoi dolci avvertimenti e le sue parole soavi, così che furono presto numerose le vergini consacrate nel nuovo monastero.
«Per l’autorità del Sommo Pontefice Martino IV, Agnese, quando com­piva i quindici anni, per la visibile forza della sua santità, fu eletta Superiora del monastero e tutte, indistintamente, le prestarono atto di obbedienza. Veden­dosi così giovinetta alla direzione di una comunità, pensò, con la parsimonia di cibo e di bevanda e con altri molti rigori, di tenere il corpo completamente soggetto allo spirito e lo spirito a Dio, mediante fervorosa continua preghiera. Con digiuni ed astinenze mortificò il suo corpo per ben quindici anni, durante i quali con pane duro e poca acqua soddisfaceva alle necessità fisiche. Non aveva letto, ma proprio come il Santo P. Domenico di cui avrebbe in seguito vestito l’abito ed abbracciata la regola, sdraiava il corpicciolo sulla nuda terra e per guanciale teneva sotto il capo una pietra durissima. Spesso l’onnipotente Iddio volle cospargere di fiori di cielo, freschi e profumati, il luogo dove Agnese pregava, o ricoprire di manna, i cui grani avevano la forma di croce, il mantello che portava, per significare quanto Gli era gradita».
Durante un’estasi nel giorno dell’Assunzione, la Santa ottenne dalla Ver­gine Maria il dono di prendere nelle sue braccia Gesù Bambino, ma quando venne il momento di restituirglielo, tentò in tutti i modi di trattenerlo ancora, e non potendo ottenere quanto desiderava, afferrò una crocellina legata con un filo sottilissimo al collo del Bimbo; questa le restò in mano quando la visione disparve e fu conservata con cura tra le altre reliquie.
Durante la permanenza a Proceno, Agnese si recava ogni tanto da sola nell’orto del monastero a pregare vicino ad una pianta di ulivo. Una domenica mattina si immerse nella preghiera al primo albeggiare e soltanto dopo molte ore si rese conto che era giorno festivo e che doveva ascoltare la S. Messa in coro. Venne però un angelo del Signore portando con sé l’Ostia immacolata e la comunicò. Questo fatto si ripeté anche nelle nove domeniche successive.
Per mezzo di S. Agnese il Signore operò molti prodigi a beneficio di quanti ricorrevano alla sua intercessione, sia per le necessità materiali che per il bene delle anime: al suo apparire il demonio si allontanò da un ossesso; un benefattore delle suore, dietro suo invito, confessò sinceramente i suoi peccati e morì in grazia di Dio poco tempo dopo; molte volte con le sue preghiere ottenne dalla Divina Provvidenza il pane per la comunità, o l’olio necessario, o i denari per pagare gli operai e i creditori del monastero.
Quando erano trascorsi quindici anni dalla fondazione del monastero (siamo circa nel 1298), la Santa fu colta da una malattia così grave da cui non guarì più e che le procurava dolori continui al capo. Il Signore la preparò al dolore con una ammirabile visione in cui gli angeli cantavano, in presenza della Regina del Cielo, una devota sequenza iniziante con le parole: « Vernans rosa, spes humilium… » ed in seguito Ella spesso ne ripeteva le strofe traen­done consolazione e conforto.
Crescendo sempre la fama di santità di Agnese, i suoi concittadini le chiesero con insistenza di ritornare a Montepulciano. La Santa chiese luce al Signore con fervorose preghiere ed Egli le rispose con una visione, rivelandole che era sua volontà che fondasse una chiesa ed un monastero in quel luogo, abitato da donne peccatrici, da cui era sceso lo stormo di corvi neri ad assalirla nella sua infanzia.
Inoltre era nei disegni di Dio che il nuovo convento fosse affidato alla cura spirituale dei Frati Predicatori, che non avevano conventi in quella terra.
Così Agnese, prendendo come compagna Sr. Caterina, iniziò a trentotto anni la fondazione del secondo monastero nel quale volle si seguisse la Regola di S. Agostino. Fiduciosa nell’aiuto di Dio, comperò quel colle con tutte le adiacenze, fece abbattere la casa di peccato ed iniziò la costruzione della chiesa e del complesso monastico. Tutti gli abitanti della città lodarono il Signore e cooperarono con copiose offerte all’opera intrapresa.
Attratte dall’esempio della sua fiammeggiante carità, erano accorse nume­rose giovinette, pronte a consacrarsi a Dio. Agnese, eletta Superiora dopo la professione delle prime sette suore, ottenne prima dal Vescovo e poi da un Cardinale legato della Sede Apostolica, che fossero i Domenicani ad occuparsi della direzione del monastero e della chiesa dedicata a S. Maria Novella.
Ben presto anche a Montepulciano si verificarono fatti prodigiosi ad opera di Agnese: moltiplicazioni del pane, guarigioni di infermi, liberazioni dal demonio, ammonimenti profetici per il bene pubblico, visioni celesti.
Per nove domeniche consecutive un angelo le porse un calice da bere dicendo: Bevi, o Sposa di Cristo, questo calice che nostro Signore ha bevuto Anche per te ». Era un avvertimento per una opprimente e dolorosa malattia che avrebbe provocato il disfacimento del suo corpo ed ella, da vera sposa dell’Agnello, col nome e con le opere mostrò la sua somiglianza con Lui, perseverando con pazienza e fortezza nell’accettazione del dolore.
Benché contraria perché consapevole che quella sua sofferenza fisica era voluta da Dio, accondiscese agli altrui desideri e si recò ai bagni termali di Chianciano, a pochi chilometri da Montepulciano, dove si pensava che avrebbe trovato una cura efficace per il suo male: era accompagnata da fra Meo, oblato del suo monastero, e da alcune pie signore. Ma la permanenza a Chianciano giovò alla salute corporale degli altri, più che alla sua: dove lei fece il bagno eruppe una nuova polla termale, le cui acque guarirono molti malati. Col suo diretto intervento risuscitò un bimbo caduto nella piscina e guarì una profonda ferita che una bambina s’era procurata ad un ginocchio. Col suo contegno esemplare dimostrò come  «  si porge l’altra guancia» a chi ci disprezza. Successe, infatti, che alcuni giovinastri vedendo quella suora frequentare i bagni, presero a dileggiarla usando parole sconce. Tornata alla casa dov’era ospite, Agnese fece cucinare dei polli e li mandò ai suoi beffeggiatori per ricambiare il male con il bene, ed essi, vinti dalla sua amabile cortesia, andarono a chiederle perdono manifestando un sincero pentimento.
Quando ritornò a Montepulciano dopo la cura, cominciò a sentirsi sempre più sfinita e fu costretta a mettersi a letto. Alle suore che circondavano trepidanti e piangenti il suo capezzale, l’inferma promise, come il S. Patriarca Domenico, un maggior aiuto dopo la morte. Alla mezzanotte del 20 aprile 1317, questa fulgida stella si inabissò nella eterna luce di Dio.
Molti miracoli accompagnarono la sua morte; il suo corpo rimase insepolto perché dalle mani e dai piedi stillò un liquido odoroso in gran quantità, tanto da restarne impregnati i panni e produrre una vera imbalsamazione. Prodigi e guarigioni di ogni genere avvenivano non solo a contatto con il suo corpo, ma anche semplicemente invocando la sua protezione.
Il suo culto si diffuse subito in Toscana ed anche altrove, ma fu canonizzata soltanto nel 1726 dal Papa domenicano Benedetto XIII.
La chiesa di S. Agnese, che quasi s’impenna fuor della porta di Montepulciano, accoglie anche oggi molti devoti della Santa, che si recano presso l’urna contenente il suo corpo per invocarne grazie e favori.