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Quesito

Caro padre Angelo,
ho letto il libro dell’oncologo Umberto Veronesi IL DIRITTO DI MORIRE. La libertà del laico di fronte alla sofferenza.
Premetto:
come credente e sacerdote chiaramente non sono favorevole all’eutanasia e perciò in disaccordo su alcune questioni di fondo postulate dall’autore. 
E’ indubbio che di fronte a casi concreti di atroci sofferenze o di vita vegetativa permanente e irreversibile la questione eutanasia è lacerante sia per il credente e ancor più, credo, per chi non lo è 
Ciò detto le chiedo
Dal punto di vista solamente laico (razionale-logico, lasciando da parte la fede) la richiesta di eutanasia, cioè di morire senza sofferenza, quando è in atto una malattia incurabile e irreversibile che ha come punto di arrivo la morte contrasta con i principi di natura? Visto che la morte è ineluttabile e si tratterebbe perciò di anticiparla e renderla meno traumatica, vi è sovvertimento nell’ordine naturale?
Sempre da un punto di vista puramente razionale-logico, è possibile fondare un diritto di morire? Se no, perchè?
Ringraziandola, la saluto ricordandola nella preghiera e augurandole un Buon Anno
don Giancarlo


Risposta del sacerdote

Caro don Giancarlo,
1. mi chiedi se “la richiesta di eutanasia, cioè di morire senza sofferenza, quando è in atto una malattia incurabile e irreversibile che ha come punto di arrivo la morte contrasta con i principi di natura?”
Desidero precisare anzitutto che per eutanasia non s’intende semplicemente il morire senza sofferenza.
Se si può e se il soggetto accetta, si cerca di aiutare tutti a morire senza soffrire.
Per eutanasia invece s’intende dare la morte senza sofferenza. E questo, come vedi, è ben diverso.

2. Su questo punto è necessario ricordare che nessuno è proprietario della vita di un altro.
Non lo sono i parenti, non lo sono i medici e neanche lo stato.
Di fronte al diritto alla vita ci si deve arrestare. C’è una soglia inviolabile che parte dalla medesima eguaglianza tra tutte le persone umane.
Fare un’eccezione per i malati incurabili e sofferenti è come aprire una diga: perché non darla anche agli handicappati? Perché non darla anche a quelli che la pensano diversamente da noi e che noi possiamo considerare come un pericolo per la società?

3. Stando proprio solo alla cultura laica, giova ricordare che Cesare Beccaria, rifacendosi alla concezione del contratto sociale, dal quale secondo gli illuministi deriverebbe la società, negò che il cittadino volesse o potesse delegare ad altri la potestà sulla propria vita: “Chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l’arbitrio d’ucciderlo? (…). E se ciò fu fatto, come si accorda un tal principio coll’altro, che l’uomo non è padrone di uccidersi?” (c. beccaria, Dei delitti e delle pene, § XVI – Della pena di morte).

4. La stessa cosa va detta anche per il suicidio assistito, e cioè per il darsi la morte con l’aiuto di un medico o di un infermiere.
Il suicidio è illecito in ogni caso, compreso il caso pietoso di risparmiarsi delle sofferenze.
A parte il fatto che oggi si riesce abbastanza bene a lenire le sofferenze, c’è di mezzo il principio della inalienabilità della nostra vita e della nostra salute. Non ci apparteniamo.
I diritti e i doveri fluiscono dalle inclinazioni più profonde della persona.
Ora l’inclinazione più profonda è quella dell’autocoservazione. Di qui nasce il diritto alla vita e il dovere di proteggerla.

5. Ogni persona umana è un dono per tutti, anche se è colpita dalla sofferenza.
Il rimedio alla sofferenza non sta nel togliere di mezzo le persone che soffrono, ma nello stare vicini a chi soffre.
È necessario stargli vicino in tutti i sensi, a cominciare dall’assistenza clinico medica.
Ed è necessario soprattutto il calore umano dei famigliari, degli amici e di tante persone.

6. Mi chiedi se esista il diritto di morire.
È vero che alcuni vorrebbero giustificare l’eutanasia e il suicidio assistito col fatto che ogni persona come ha il diritto di vivere, così avrebbe il diritto di morire, e quindi a decidere come e quando morire.
Ma il diritto di morire non esiste, e per un doppio motivo.
Primo, perché si può aver diritto solo su un bene che ci appartiene. Ma la morte non è un bene. Anzi è il contrario di un bene, è un male, è la privazione di un bene. Come dunque non si può reclamare il diritto di avere un cancro, così non si ha il diritto di morire.
In secondo luogo, perché per godere del diritto a un bene, è necessario che quel bene ci appartenga in atto o almeno in potenza. Ma la morte ci capita addosso come un male ineludibile, anzi è la privazione di qualsiasi possibilità di possedere. E, a dire il vero, nessuno la può possedere, perché dalla morte viene annientato.
Si viene portati con forza pertanto a riconoscere la vita è un bene, è un dono e va vissuta nella logica del dono.

7. Si può parlare invece di diritto a morire se con questa espressione si invoca il rifiuto dell’accanimento terapeutico. È il riconoscimento del diritto dell’uomo a non essere sottoposto dalla volontà altrui a sofferenze disumane.

Ti ringrazio del ricordo nella preghiera che ricambio di cuore.
Non potendo augurarti un buon anno nuovo (2011), perché ormai siamo già molto inoltrati da un buon pezzo, ti auguro un buon proseguimento ricco delle benedizioni di Dio.
Padre Angelo