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Quesito
Caro Padre Angelo Bellon,
Le volevo porre un quesito sul perché dobbiamo venire al mondo. Mi spiego meglio.
E’ stabilito che moriamo una sola volta e che l’ora della nostra morte è cruciale in quanto in quel preciso momento è deciso dove andrà la nostra anima (e successivamente anche il corpo con la resurrezione dei morti): paradiso, purgatorio (temporaneamente in attesa certa del Paradiso) oppure inferno. e questo sarà per sempre e senza possibilità di ripensamenti.
Mi domando perché Dio non ci abbia creato già nell’altro mondo anziché in questo, lasciandoci decidere davanti a Lui se preferiamo stargli vicino per sempre oppure no. Ripetere in un certo senso quello che avvenne con Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden. In questo modo avremmo saputo della Sua esistenza in maniera certa, non solo: anche delle creature celesti e diaboliche etc.
In questo mondo invece non sappiamo dell’esistenza di nulla di tutto questo. Ed è come brancolare nel buio in attesa che si accenda una luce.
Il fatto che Dio si “nasconda” a noi e che ci lasci decidere senza che possiamo vedere ciò che ci aspetta, lo trovo distante dalla bontà di cui si parla di Lui.
Mi può aiutare a comprendere?
Grazie
Simone C.
Risposta del sacerdote
Caro Simone,
1. anche nel paradiso terrestre, come avvenne per Adamo ed Eva, l’uomo non aveva una conoscenza immediata di Dio.
È vero che Dio gli compariva in forma corporale e passeggiava con lui alla brezza del giorno, tuttavia, sebbene fosse più evidente la presenza di Dio, egli conosceva Dio ancora mediante la fede.
Ciò che vedeva infatti era sempre di ordine naturale. Ma per conoscere Dio, che è nell’ordine soprannaturale, l’uomo aveva bisogno di essere sopraelevato mediante la grazia e il lume della fede.
2. Ci si potrebbe domandare perché Dio, creandoci, non ci abbia messo subito dinanzi a sé.
Tu dici che Dio avrebbe fatto meglio lasciarci decidere davanti a Lui: se preferire stargli vicino per sempre oppure no.
Insomma, per metterci alla prova.
La risposta però non è bella. Non emerge ancora il suo amore.
3. Ecco invece la risposta più bella: Dio ci ha creati a immagine somiglianza sua, come esseri intelligenti, liberi e capaci di amare.
Creandoci in tal modo ha voluto che la sua gloria, e cioè la sua perfezione divina, diventasse nostra nel pieno titolo di questo aggettivo possessivo.
Ora possiamo dire che una realtà diventa veramente nostra quando da noi è conosciuta, amata, desiderata, voluta, posseduta. In una parola: quando è fatta nostra.
Faccio un esempio: se tu sei un architetto, l’architettura non è soltanto un pezzo di carta che ti viene dato (che pure è necessario), ma è una scienza che da te è conosciuta, amata, posseduta, fatta tua. Sarebbe veramente tua anche se tu non avessi il pezzo di carta.
4. Ebbene, Dio ci ha creato e si è manifestato a noi mediante la rivelazione perché diventassimo suoi amici, per intrattenersi con noi, per comunicarsi, perché potessimo possedere e godere ciò che Egli possiede e gode in perfetta comunione di vita e di amore.
Per questo motivo ci ha dotato di libertà. Nessuna cosa infatti è veramente nostra se da noi non è pienamente amata, voluta e posseduta.
Senza libertà non c’è amore. Ed è mediante l’amore, o meglio, è mediante l’amicizia che noi diventiamo una cosa sola con Lui.
San Tommaso dice che la carità non è altro che una certa amicizia con il Signore.
5. Tornando ai nostri discorsi, è vero che Adamo ed Eva avevano una conoscenza più certa dell’esistenza di Dio e degli obiettivi della nostra vita. Tale conoscenza infatti non era offuscata dall’ignoranza e dalla “nebbia” causata dal peccato.
Tuttavia anche la nostra conoscenza di Dio è certa.
Non è vero che non sappiamo nulla di lui e dei motivi della nostra esistenza.
6. Proprio nei giorni scorsi abbiamo sentito proclamare nella Messa il passo della lettera di San Paolo ai Romani a proposito della conoscenza di Dio.
Dice: “Infatti l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa” (Rm 1,18-20).
7. Come vedi, San Paolo afferma che ciò che si può conoscere di Dio è manifesto a tutti gli uomini attraverso le opere da lui compiute.
Dinanzi a qualsiasi opera d’arte ci si domanda chi sia l’autore perché evidentemente le opere d’arte non si sono fatte da sé.
Parimenti gli uomini dinanzi alle creature, stupiti per l’infinita sapienza con cui sono costituite (si pensi soltanto alla perfezione con cui è costituita una zanzara!), si domandano chi ne sia l’autore, di cui si intravede una perfezione somma.
Non si finisce mai di stupirsi della sapienza diffusa in tutte le singole specie e in tutte le singole creature.
Di fronte ad un’evidenza così schiacciante, l’uomo che non riconosce Dio è senza scusa. Così dice San Paolo.
Anzi, meglio, così dice lo Spirito Santo per bocca di San Paolo.
Pur offuscando con i loro peccati la propria intelligenza, gli uomini sono ancora in grado di riconoscere il Creatore.
8. E ancor più perché Dio, nonostante il peccato, Dio si è rivelato agli uomini “parlando molte volte e in diversi modi” (Eb 1,1).
Infine ha parlato attraverso il Figlio suo che, compiendo la redenzione, ha portato agli uomini una grazia ancora più grande di quella che potevano fruire i nostri progenitori.
Basti pensare all’Eucaristia, che i nostri progenitori non avevano e non potevano neanche immaginare.
Insieme col Figlio suo, poi, ci ha donato la Madonna e la comunione dei Santi.
9. Coloro che lo ascoltano, si purificano dei peccati e si accostano a lui non tardano ad essere tra coloro che “si saziano dell’abbondanza della sua casa e si dissetano al torrente delle sue delizie” (cfr. Sal 36,9).
Sicché possono dire con la liturgia della chiesa nel Preconio Pasquale: “O felice colpa, che meritò di avere un così grande Redentore!”.
10. Per chi, purificato dai peccati, si avvicina a Dio tutto diventa più luminoso.
A San Francesco tutto parlava di Dio, della sua sapienza e del suo amore.
Ne è una prova lampante il Cantico delle creature, di cui piace riportare alcuni passi:
“Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e ’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba”.
11. Se San Francesco provava quest’incanto di fronte le creature, perché non lo possiamo provare anche noi?
Va ricordato però che San Francesco quando ha composto il Cantico delle creature non era più quello di prima. Si era convertito, si era purificato, stava sempre unito a Dio.
Con l’augurio che l’esperienza di vita nuova di San Francesco possa diventare anche la nostra, assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo