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Quesito

Buongiorno Padre Angelo,
parlando con un Testimone di Geova, tra le varie cose si incappa sul compleanno che, come si sa, per loro non si deve festeggiare perché nella Bibbia si narra di due episodi nefasti avvenuti durante una festa di compleanno (e non a causa del compleanno, ribadisco).
Vorrei soffermarmi su un altro episodio, tratto dal Libro di Giobbe, interpretato in maniera differente in varie traduzioni bibliche.
Gb:1,4 e Gb:3,1-3

CEI 2008 Gb:1,4
I suoi figli solevano andare a fare banchetti in casa di uno di loro, ciascuno nel suo giorno, e mandavano a invitare le loro tre sorelle per mangiare e bere insieme.

CEI 2008 Gb:3,1-3
Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno. Prese a dire: “Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: “È stato concepito un maschio!”.

CEI 1974 Gb:1,4
Ora i suoi figli solevano andare a fare banchetti in casa di uno di loro, ciascuno nel suo giorno, e mandavano a invitare anche le loro tre sorelle per mangiare e bere insieme.

CEI 1974 Gb:3,1-3
Dopo, Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno; prese a dire: Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: “E` stato concepito un uomo!”.

Interconfessionale Gb:1,4
I suoi figli, a turno, davano delle feste e invitavano i fratelli e le sorelle a mangiare e bere insieme.

Interconfessionale Gb:3,1-3
Finalmente Giobbe cominciò a parlare e maledisse il giorno in cui nacque. Prese a dire: «Maledetto il giorno in cui son nato e la notte in cui fui concepito!

Nella TNM si parla di un giorno a turno in cui si fanno feste, così come in altre traduzioni. Nella New International Standard (inglese), si traduce “birthday” sia in Gb:1,4, sia in Gb 3,1-3.

In sostanza, secondo i testi originali, è una festa di compleanno o è un qualunque giorno di festa dove a turno si trovavano?
Grazie


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. a vantaggio dei nostri visitatori riporto anzitutto il testo in questione perché non si faccia dire alla Sacra Scrittura quello che non dice: “I suoi figli solevano andare a fare banchetti in casa di uno di loro, ciascuno nel suo giorno, e mandavano a invitare le loro tre sorelle per mangiare e bere insieme. Quando avevano compiuto il turno dei giorni del banchetto, Giobbe li mandava a chiamare per purificarli; si alzava di buon mattino e offriva olocausti per ognuno di loro. Giobbe infatti pensava: «Forse i miei figli hanno peccato e hanno maledetto Dio nel loro cuore». Così era solito fare Giobbe ogni volta” (Gb 1,4-5).

2. Il testo di Giobbe non precisa a che cosa corrisponda quel giorno.
Potrebbe essere un giorno da loro stabilito, forse un dato giorno della settimana, oppure anche il giorno di compleanno.
La Bibbia di Gerusalemme traduce “à tour de role”, e cioè a turno. Poco più avanti dice che si trattava di feste periodiche.
Ma anche fosse stato il giorno del loro compleanno, il testo sacro non biasima né la ricorrenza né la festa.

3. Circa l’eventuale peccato, il testo non dice che sia stato compiuto qualche cosa di riprovevole.
Si limita a dire: “Giobbe infatti pensava: «Forse i miei figli hanno peccato e hanno maledetto Dio nel loro cuore»”.
Tutto questo è a lode di Giobbe il quale, secondo il biblista Marco Sales, “era di coscienza così delicata che temeva che i suoi figli, quantunque virtuosi e costumati, nell’allegrezza dei conviti fossero caduti in qualche occulto peccato, e perciò offriva olocausti per impetrare loro il perdono”.

4. San Gregorio Magno, che ha scritto un trattato di morale commentando il libro di Giobbe, a questo proposito scrive: “Quel sant’uomo sapeva bene che è quasi impossibile celebrare conviti senza cadere in colpa e che il godimento dei banchetti deve venire espiato con un grande sacrificio di purificazione; e perciò immolando il sacrificio il padre astergeva le macchie riportate dai figli nel convito”.
Il peccato pertanto, se c’è stato, non è dovuto al compleanno, ma agli eccessi compiuti nei banchetti.

5.  Collegare “il loro giorno” con “il giorno della sua nascita” che Giobbe maledice, è un’operazione che accosta materialmente delle parole senza voler comprenderne la portata.
Quando Giobbe maledice il giorno in cui nacque non esprime un giudizio sul compleanno. Perché chissà quanti ne aveva celebrato nella gioia ed era ben lieto di essere nato e di poter vivere.
Maledice invece quel giorno quando si vedrà precipitato in una miseria così grande per cui nel vedere morti tutti i figli, uccisi i guardiani del bestiame, depredati tutti i suoi beni, dice che a quel punto sarebbe stato meglio  non essere mai nato.
Maledice non solo il giorno in cui nacque, ma anche la notte in cui fu concepito: “Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: «È stato concepito un maschio!». Quel giorno divenga tenebra, non se ne curi Dio dall’alto, né brilli mai su di esso la luce” (Gb 3,3-4).

6. Marco Sales commenta: “La calma del santo patriarca cede il posto alla passione violenta. Il dolore così a lungo soffocato scoppia con veemenza. Con accenti di una eloquenza amara incomparabile egli si lamenta del suo soffrire, e dà le ragioni dei suoi lamenti. Giobbe non è uno stoico, né un titano o un Prometeo ribelle, ma un uomo che soffre orrendamente.
L’acerbità del dolore gli fa mandare grida di angoscia, ma le sue maledizioni e le sue imprecazioni non sono che espressioni enfatiche usate in oriente per manifestare la grandezza della sofferenza, e più che altro sono il gemito della natura”.
E commentando la maledizione di Giobbe scrive: “Giobbe maledice assieme il giorno in cui è nato e la notte in cui nella quale fu concepito. In seguito maledice separatamente tale giorno e tale notte. Il dì natalizio dei grandi merita di essere celebrato, ma Giobbe tribolato vorrebbe che il suo dì di natalizio non fosse mai esistito. Simili maniere di parlare si trovano anche in Geremia 20,14-15 e Abacuc. Si tratta, come è chiaro, di esagerazioni iperboliche di una eccessiva miseria, le quali non esprimono i sensi della ragione e della volontà, ma i movimenti e le agitazioni della parte inferiore che eccitava santi uomini a volere piuttosto non essere che essere in tanta calamità. Guardiamoci quindi dall’attribuirle all’impazienza o alla disperazione”.

7. A dire il vero, non ci sarebbe bisogno di ricorrere ai commenti degli esperti nella Sacra Scrittura, perché con un po’ di buon senso si capisce facilmente che cosa il testo voglia dire.
Questo fa capire quanto sia inutile discutere con i testimoni di Geova che leggono e accostano materialmente i testi senza comprenderne la portata. Quando si parla con loro non c’è buon senso o ragionamento che tenga.
E fa capire come mai i testimoni di Geova, quando escono dalla loro setta, non entrano nella vita cristiana, perché non l’hanno mai sperimentata, ma diventano semplicemente atei.
Non ci si meraviglia allora che nei loro scritti siano stati trovati messaggi subliminali che inneggiano al capro, e cioè al demonio.
Quando alcuni testimoni di Geova sono stati resi edotti di questi messaggi, la prima cosa che hanno fatto è stata quella di abbandonare la loro “congregazione”.

Ti auguro un sereno prosieguo delle feste natalizie, ti benedico e ti ricordo nella preghiera. 
Padre Angelo