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1° giorno (30 luglio)
Dispregio delle vanità.
1. Meditiamo la figura e la vita di san Domenico. San Giovanni Crisostomo dice: Cessi dall’encomiare i Santi colui che sdegna imitarli: il migliore ossequio è imitare coloro che veneriamo. Ora san Domenico è un magistero vivente ed incarna nei suoi costumi la perfezione evangelica. Infatti tutta la sostanza del Vangelo si riduce a tre cose: Dispregio delle vanità, amore della verità, aspirazione all’eternità.
Ora in san Domenico fu un profondo disprezzo delle vanità. Come sulla sua fronte, nella rigenerazione battesimale, brillò una luce che più non si spense, così l’anima di lui fu posseduta dalla grazia, che lo fregiò delle sue chiarezze divine e andò innanzi alla natura. Fu trovato fuori della culla, giacente sul nudo pavimento, quasi per disprezzare dall’esordio della sua esistenza l’ozio ed il riposo e preludere ai rigori della penitenza. All’alba della ragione imprese a lottare, e costringendo i movimenti della natura, non parve cosa di terra. La sua beata madre a Calaroga, gli stillò in cuore i balsami di una pietà verace ed esimia. Ai piedi del Dio nascosto alimentava il suo giglio e sfogava gli ardori dell’anima verginale. Piccolo Samuele, si abituò a udire la voce di Dio, che gli dischiuse ampia via all’eroismo della virtù. Pianse sui mali altrui che lo torturavano; angelo, sdegnò la polvere, con le austerità sempre crescenti fece siepe al suo fiore, dando slancio al suo spirito.
2. Conosciuto il tesoro della sapienza divina, vide il vuoto immenso del mondo; e sorvolando sulle creature, fermò il desiderio in Dio, e nell’essere immutabile di lui continuamente albergava. Non lo sedusse l’umana grandezza abbagliante, ma ne estirpò dalle più profonde radici ogni amore; la povertà con i suoi disagi, il disprezzo con le sue amarezze gli furono cose caramente dilette. La dottrina del Vangelo: Beati i poveri, beati i miti, beati quelli che piangono, beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, fu da lui espressa vivamente nella sua vita. Niente alla natura, tutto alla grazia. Dio, la virtù, le anime, furono la sua ambizione, la sua conquista. Tutto quello che è passeggero quaggiù: onori, piaceri, ricchezze, che sono la vanità nel suo trionfo fu materia del suo eroismo. Il suo gusto fu cambiato; e noi lo vediamo amare, ambire, assaporare il disprezzo. Preferì Carcassona a Tolosa, perché a Carcassonna è disprezzato ed a Tolosa è riverito. Si compiace della paglia e del fango che gli gettano a scherno e ingiuria sulle vesti, segno che un cambiamento era stato operato nella sua anima, e la grazia aveva creato in lui un cuor nuovo con nuovi istinti, che gli facevano amare ciò che il mondo odia ed odiare ciò che il mondo ama.
3. L’anima di san Domenico non si attaccò a nessuna di quelle cose che si chiamano vane, perché sono vuote e passano col mondo e col tempo. Fu in lui un disprezzo profondo della vanità considerata in tutte le sue forme. Tenne come vanità il suo proprio essere mortale; e disse all’eretico, che nel caso di un assalto e di una uccisione, lo avrebbe pregato di tagliarlo a pezzi lentamente, per fargli assaporare a lenti sorsi la morte. Innocente, si sentiva reo e scellerato; ed all’entrata delle città si gettava a terra piangendo, perché Dio non le colpisse con i suoi fulmini, mentre vi entrava un tal peccatore. Così la sua stessa virtù, oggetto di ammirazione agli angeli del cielo, egli non solo la giudicò vana e da poco, ma all’occhio di lui pareva difetto, mentre i difetti si ingrandivano al suo sguardo e lo inducevano al pianto.
O beato Patriarca, infondete anche in noi un sincero disprezzo delle vanità del mondo, affinché conosciamo il nostro nulla ed il nulla di ciò che nel mondo è giudicato grandezza. Dietro i vostri esempi apprendiamo a distaccarci da noi stessi e da ogni cosa terrena, per aspirare soltanto ai beni celesti. Amen.
2° giorno (31 luglio).
Amore della verità.
1. San Domenico fu un amante appassionato della verità. Amò la verità nelle sue fonti, che sono le divine Scritture; a queste attinse come assetato. Tre libri gli furono cari sopra tutti: Il Vangelo di san Matteo, le Lettere di san Paolo ed i Dialoghi di Cassiano. Questi libri educarono e plasmarono la sua mente e il suo cuore. Dal Vangelo di san Matteo conobbe la divina trama della vita di Gesù nei suoi misteri e nei suoi oracoli santi. San Paolo gli porse l’immensa tela della dottrina e delle grandezze di Gesù Cristo, la vita e la celeste filosofia del Verbo incarnato. I Dialoghi di Cassiano gli tracciavano i singoli atti delle virtù cristiane ed egli si componeva a quella norma sicura per essere una giustizia vivente. I pensieri, gli atti, le movenze, tutto era governato dalla virtù. Egli ne fu un codice vivente, e tutte le virtù più soavi e più splendide rifulsero in lui. Così le Scritture ed i libri dei Santi erano suo nutrimento vitale, ed alla cherubica mente davano slancio verso la regione della verità, che ha la fonte in Dio.
2. San Domenico combatté i nemici della verità. Consumò sette anni nella lotta a gli Albigesi difendendo la verità posseduta dalla Chiesa e voluta offuscare dalle intelligenze ribelli al Verbo. Per essa digiunò, vegliò, effuse lacrime e sangue, e centomila eretici ravviò sul sentiero della ortodossia e addusse pentiti al grembo della Chiesa. Arcangelo armato, lottò nella Francia, predicò nei Palazzi Apostolici, sfolgorò nei Concili. La verità era luce e fiamma in lui, scaturiva dalle sue labbra come fiumana, ed irrigava la Chiesa; e le anime tornavano per lui alla fede, che vince ogni errore. Contro i nemici della fede armò i suoi figli, fatti da lui campioni del Vangelo, i Frati Predicatori, monaci ed al tempo stesso ministri della parola, mentre pose le figlie a tutela delle fanciulle in pericolo per l’eresia.
3. San Domenico espresse in sé tutte le chiarezze e le bellezze della verità. Egli fece sua l’eterna verità, traendo a sé quel che leggeva o udiva, e assaporava le intime dolcezze delle verità lette e meditate. Chiudeva i libri baciandoli e dicendo con infantile candore: Mi danno il latte. La verità lo nutriva e lo faceva crescere e vivere di Dio ed in Dio, non lo faceva parlare se non di Dio o con Dio. Se leggeva in san Paolo: Gesù riformerà il nostro corpo, configurandolo allo splendore di sua chiarezza, sentiva in sé quest’opera riformatrice. Si infrangeva con digiuni e con discipline, traendo sangue dalle sue vene e già s’irradiava dei fulgori della vita nuova. Se leggeva: La nostra conversazione è nel cielo, mandava il suo spirito lassù e conversava col cielo. Se leggeva: Chi è che s’infermi, e che io non senta l’infermità? Chi si scandalizzi ed io non soffra? egli s’infermava e pativa ineffabili torture. La verità dalla mente e dal cuore si derivava e manifestava nei suoi costumi, e con le sue chiarezze e bellezze si faceva parvente ed amabile in lui. Un sereno bagliore, un fascino soggiogatore parlavano in lui e attiravano le anime a Dio.
O santo Patriarca Domenico, che amaste la verità con cuore appassionato e la faceste trionfare, riducendo i nemici di lei a confessarla ed amarla, voi, che della verità esprimeste tutte le chiarezze e bellezze, comunicate a noi un raggio della vostra sapienza e una scintilla del vostro fuoco; e la verità conosciuta ed amata sia anche per noi fonte di eterna salute.
3° giorno (1 agosto).
Aspirazione all’eternità.
1. In san Domenico fu un’aspirazione indeficiente all’eternità. Per la contemplazione, che era in lui abituale, egli rimpatriava, si addentrava nelle cose celestiali ed eterne dopo aver dispregiato la vanità del mondo ed amata di puro amore la verità. Le realtà gloriose del mondo eterno si abbassavano all’anima di lui contemplante e albergavano e vivevano in lui. Nell’anima di Domenico, fissa in Dio, si specchiava, a dir così, l’eternità, che è possessione tutta insieme e perfetta d’interminabile vita. Nuda di terreni fantasmi quella mente cherubica intendeva, gustava, aderiva all’invisibile Iddio e partecipava della vita di Lui.
2. L’eternità, a cui Domenico aspirava, egli la respirava, a dir così, nell’Eucarestia. L’eternità è tutta lì sotto il velo, ed è lì nel suo fonte, che è l’essenza di Dio sostanzialmente espressa e contenuta nel Verbo. L’Eucarestia è l’eternità a contatto del tempo, e Domenico la sentiva, la penetrava, e viveva bene addentro in lei. Il suo guardare, col cuore amante, l’Ostia divina, l’abbracciare gli altari come persone viventi, l’effondere davanti ad essi l’anima sua, il suo pianto, il suo sangue, sono argomenti che in Domenico trascendevano l’ingombro dei sensi, le barriere del tempo, le angustie della materia e lo facevano entrare in commercio ineffabile con la vita di Dio. Le chiarezze, le fiamme le energie divine, le delizie inenarrabili dell’eternità per la deificata carne del Verbo Eterno si travasavano in lui, lo trasumanavano e lo facevano vivere di una vita che non è la vita del tempo.
3. Dall’eternità ebbe san Domenico responsi sublimi. Se egli s’ impiglia in qualche passo difficile dei libri santi, o deve intraprendere l’apostolato, Pietro e Paolo, già cittadini dell’eternità, gli si mostrano visibili, parlano a lui, conversano con lui. Se i suoi religiosi hanno bisogno di alimento terreno, ecco gli angeli che a loro somministrano il pane. La Regina dell’eternità gli si mostra, gli fa vedere i suoi figli sotto il manto che avvolge tutta la patria celeste, gli rivela che Ella si prostra in cielo a Gesù quando i suoi religiosi cantano la Salve e la chiamano Avvocata. Dall’eternità viene il giovane di bello e sereno aspetto che lo invita al riposo eterno. Altri giusti hanno avuto trepidazioni affannose in vicinanza della morte; Domenico gode per l’assoluta certezza d’andare al bacio di Dio. L’eternità lo aveva nutrito, l’eternità lo accolse e lo collocò nel suo regno. Bella e santa vita, pura e sublime anima, giglio e rosa ad un tempo per la verginità senza macchia e la carità serafica, fiorisce ora in eterno nella casa di Dio.
Amiamolo, amiamolo, confidiamo in lui e diamo opera a sradicare la vanità dai nostri cuori, ad innamorarci della verità, ad aspirare all’eternità. Se ci sentiamo degeneri dalla vita santa di lui, facciamoci forti della magnifica speranza, e piangendo ricordiamogli ciò che promise morendo: Imple, Pater, quod dixisti, nos tuis iuvans precibus! (Adempi, o Padre, quanto promettesti, aiutandoci con le preghiere).
4° giorno (2 agosto).
Somiglianza con Dio.
1. La fisonomia morale di san Domenico non si può cogliere in un punto solo. È forse egli un angelo, un apostolo, un vergine, un martire? È qualcosa di tutto questo, un che di indefinibile come l’essenza di Dio; e la ragione sta nei principi che lo hanno formato. In san Domenico ha messo del suo principalmente Iddio, e vi misero del loro la Vergine, gli Angeli ed i Santi.
Iddio forma i Santi ad immagine sua secondo la grazia, ma in san Domenico pose del suo largamente, Dio è pura intelligenza, serena, eterna, immutabile. Immobile fa tutto muovere, cieli, angeli, astri; adorabile tranquillità di amore che ci possiede: ecco il concetto di Dio. Di questa sua perfezione Iddio fece larga copia a Domenico. Lo storico dice: «Fu in lui costante e serena unità e uguaglianza di spirito, poiché le mutazioni avvenivano attorno a lui, non in lui. Egli vede tutto muoversi, cambiarsi, né si turba. La sua anima è un cielo di serena bellezza; egli guarda l’immutabile, conversa con lui e trae dello splendore di lui. Questa immutabilità è piena e feconda, vi si trova dentro il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che nell’adorabile tranquillità del loro essere intendono, amano, contemplano bellezze infinite». Tale è l’immagine di san Domenico. Dolce e serena esistenza, che hai un raggio dell’immutabilità di Dio, l’anima nostra ti canta un inno di gloria!
2. Iddio, fatto carne, mise molto del suo in questa grandissima vita. ln Gesù sono unite l’umanità e la divinità in un modo ineffabile. Gesù è la bellezza eterna velata di carne e di miseria, venuta a splendere ed innamorare. Guardate il volto di Gesù, voi vi vedete profonda malinconia, i suoi occhi son gravi di lacrime, il suo cuore è palpitante di amore mesto. Le sue lacrime, il suo sangue, le sue fiamme sono i caratteri suoi, i segni della sua missione, gli argomenti della sua tenerezza, le fonti della nostra gioia. Gesù mette del suo in san Domenico le ineffabili tenerezze, le lacrime cocenti, la sete del sangue. Guardate Domenico; il suo cuore geme, egli si trae sangue dalle vene e Io sparge con ardore indicibile per la salute dei peccatori. Si affligge delle altrui sciagure e le trae nel santuario della sua compassione piangendo senza riposo. Le grotte di Segovia serbarono a lungo le tracce del suo sangue; all’altare offre il sangue dell’Agnello e mette sull’altare di Dio con le lacrime sue il sangue che ci redense.
3. Gli ardori dell’Uomo-Dio che ebbe sete di sangue e pianse e portò sopra di sé i nostri dolori, noi li troviamo in san Domenico. Pensiamo alle sue lacrime effuse nelle vigilie notturne davanti al Dio nascosto nel Sacramento di amore che ricorda gl’infiniti dolori tollerati per noi nella sua carne innocente. Ecco il cuore del Redentore che scalda, infiamma, consuma il cuore di san Domenico e vi si versa, per così dire, con la sua vita. La mente in Dio, gli occhi in lacrime, il cuore in fiamme, ecco qualche cosa di divino che ci rapisce. È innocente e piange, è vergine e si flagella, immagine insanguinata del Dio Redentore!
O santo Patriarca, che faceste splendere innanzi a noi le perfezioni divine e foste in terra immagine viva di Gesù dolorante per noi, elevate la nostra mente alla visione delle cose celesti e fateci amare il dolore che purifica l’anima e la salva.
5° giorno (3 agosto).
Somiglianza con Maria.
1. Consideriamo l’alta eccellenza del glorioso Patriarca san Domenico nel riscontro ch’Egli ebbe con la santità di Maria. Da questo lato la mirabile vita di lui splende di un’amabilità che rapisce. Di Maria si afferma che fu luce nella intelligenza, fiamma nella volontà, fragranza di verginità nella carne, melodia d’amore nella voce; e si aggiunge che la sua mano fu la mano della virtù e il suo passo il passo della vittoria. Somiglianti caratteri noi li troviamo in san Domenico. L’intelligenza di lui fu di fortissima tempra e prevenuta da luce superna con quel raggio che brillò sulla fronte di lui, rinato alla grazia. Bevve la scienza di Dio nell’intimo commercio con l’immutabile verità. Si illuminò all’altare dell’eterna divinità e le forme caduche dell’universo visibile non adombrarono mai il pensiero di quella vergine. Pellegrinando in terra fu cittadino del cielo, splendore di cherubica luce. Fu lampada lucente ed ardente, perché pari alla luce dell’intelligenza ebbe la fiamma dell’amore. Nell’anima sua grande fu infuso dallo Spirito Santo un fuoco che si dilatò sempre, senza interruzione, come la sua luce fu senza eclissi.
Era l’anima sua come incenso nel fuoco ai giorni estivi, e dall’ intimo di essa esalavano i profumi di una pietà immacolata. Al sommo Bene si abbracciò con indomabile energia, ed ogni fremito di vita umana rintuzzò e spense. Dal balenar che faceva a lui del continuo l’eterna bellezza e dall’avvampare del fuoco celestiale venne quel fuoco di lacrime che egli effuse sempre nel celebrare i misteri santi e nel ripensare alle umane colpe e sciagure. Se Maria è madre di misericordia, Domenico con torrenti di lacrime ne intenerì il cuore e chiamò la misericordia di lei sui colpevoli.
2. San Domenico, come la Vergine Madre, fu una fragranza di verginità nella carne e nella parola melodia d’amore. Vero giglio piantato lungo la sorgente delle acque, trovò ogni giorno nell’Eucarestia la rugiada vivificante. Il suo corpo, al tocco ed al bacio della carne del Verbo, non parve più un ingombro all’anima, ma fulgida veste che la fregiasse e velasse. Un’aura soave e d’ineffabile purità emanava da lui e imbalsamava i cuori. Straziato dai flagelli e da catene di ferro, affranto da rigori che spaventano la nostra mollezza, quel corpo verginale diveniva più bello, il volto rideva, ed una dolce ilarità abbelliva tante agonie. La freschezza e floridezza nella carne di Domenico fu miracolo della grazia, e Dio volle che il Santo ne svelasse il segreto sul letto di morte per farne come un legato ereditario ai suoi figliuoli. Fratello degli angeli, alunno della Madre celeste, ebbe nella stessa sua voce divine melodie. Ragionò ai popoli del divino amore, dei misteri di Cristo e della sua Madre, disingannò gli uomini dalle follie della vita, diede leva ai cuori, vi accese affetti celesti. Abituato a parlare con Dio, fu angelo di fervore nelle diurne e notturne salmodie e tutti scaldò e spinse alle laudi divine ed ai desideri ed alle speranze del cielo.
3. La mano di san Domenico, come quella di Maria, fu la mano della virtù. Il beato Patriarca ebbe tutte le virtù legate col nodo d’oro della prudenza ed alimentate dal fuoco della carità, protette dalla modestia, che ne fu come la porpora, formanti in tutte le potenze dell’anima di lui come un equilibrio pieno di maestà e di bellezza. Di tutte queste virtù fu come un’emanazione balsamica una profonda umiltà, connaturata a lui in modo da fargli amare il dispregio, a ritroso degli istinti umani. Così il santo Patriarca parve aver riconquistato per la grazia l’innocenza dell’Eden, e Dio gli elargì una speciale potenza e regale signoria sulle cose. Il suo passo, come quello della Vergine, fu il passo della vittoria. Col tocco della sua mano o solo con la voce scaccia le malattie, col segno di Croce dissipa la nebbia, fornisce pane miracoloso ai suoi figli, rimette insieme le morte membra del giovane Napoleone e comanda che si levi intero, sgombra via dai corpi i maligni spiriti li costringe, con sublime scherno, a servirlo. Comanda sul cuore di Dio e nessuna grazia che chiese non fu esaudita. Ebbe infine dominio sopra l’istinto della paura che affanna anche il giusto in vicinanza della morte, e all’accostarsene sfavillò di gioia. La Vergine gli vibrò raggi d’amore e il paradiso gli si fece incontro.
O beato Patriarca, che la Vergine Madre volle formato a sua somiglianza, Voi, che foste come Lei luce e fiamma, fragranza e melodia, studio di virtù e sede di vittoria, conduceteci dietro alla fragranza dei vostri unguenti, allo splendore dei vostri esempi, otteneteci almeno il perdono del nostro orgoglio e fate sì che nell’umiltà troviamo la via della gloria.
6° giorno (4 agosto).
Somiglianza con gli Angeli ed i Santi.
1. Nella mirabile vita del santo Patriarca Domenico fu posta qualcosa degli Angeli e dei Santi. E prima di tutto gli Angeli per la loro immaterialità e per la penetrazione dei divini segreti. San Domenico non parve soggetto a lusinghe di sensi, non parve sentire la necessità ingombrante della materia. La sua vita fu una perenne ascensione, andò di chiarezza in chiarezza, accolse nella vasta anima tutta la scienza dei sacri Libri e dell’altissima teologia fu maestro. Il suo studiare fu un contemplare angelico. Della scienza di Cristo spiegò gli oracoli ai Pontefici ed ai popoli. La sua intelligenza strappò i segreti celesti, e parlando fu come gli Angeli, luce e fiamma. Dalla carità del suo cuore uscì lo splendore della sua eloquenza. Arse coi Serafini; coi Cherubini s’internò nei segreti di Dio che parlò ed operò in lui; come gli spiriti fu celere nell’ubbidire alla grazia che era l’energia potente della sua vita; ebbe in comune con gli Angeli il fervore intenso della lode che suonò perenne sulle sue labbra.
2. Gli Apostoli misero qualcosa del loro in san Domenico e fu il carisma dei miracoli. Domenico ebbe dominio sulla materia, sulle malattie, sui demoni, sulla morte; la natura pareva in lui tornata ai giorni del l’Eden, quando l’universo della materia obbediva all’uomo innocente. Dalle sue mani, dice il beato Giordano, esalavano i balsami. La sua parola fu potente, soggiogatrice, a migliaia toccò i cuori e li volse a Dio. Pieno di Cristo, parlava di Cristo e delle divine cose con apostolico eloquio, e con la parola di Dio e con l’amore di Dio pugnò e vinse. Con i Martiri ebbe in comune Domenico la sete del sangue, dei patimenti, dei disprezzi. Visse in perpetuo, volontario martirio, affliggendo il suo corpo, crucciandosi dei mali altrui, addolorandosi dei peccati non suoi. Il suo gusto era per il dolore dell’anima e del corpo, era per il sangue, al cui spargimento per la salute delle anime focosamente anelava.
3. I Confessori, le Vergini e tutti gli altri Santi parvero mettere insieme un cumulo di meriti per la grandezza di san Domenico. Uomo di contemplazione e di azione, pronto alla parola e maestro nella virtù del silenzio, egli seppe vivere in mezzo agli uomini e passar tra essi beneficando, e seppe chiudersi nel deserto per parlare in solitudine con Dio. Fu un composto di virgineo e di angelico, che rifulse attraverso al velame della sua carne, attraverso la terra splendendo ed ardendo; esempio a tutti delle più rare virtù, dopo averle tutte adunate nel suo cuore, ne sente il vuoto e si scorge reo. Il suo amore ed il suo ansimare nelle vigilie notturne, il suo lacrimare e dar sangue nelle discipline, il suo slanciarsi di tutta forza all’infinito che gli balenava, lo attraeva, lo torturava, era un continuo morire. Amando si logorò, e nelle ultime febbri che lo bruciavano, si porse gioioso a parlare con Dio, alla cui bellezza si sentiva vicino. Come una fiamma si consumò e andò al bacio di Dio, dopo aver rassicurato i suoi che avrebbe loro giovato dopo la morte.
O santissimo Patriarca, che foste angelo in carne, che foste insieme apostolo e martire, confessore e vergine, arricchito da Dio di doni di natura e di grazia, fate che ciascuno di noi vi imiti almeno in uno solo dei vostri caratteri. Noi gridiamo a voi e vi invochiamo con tutto l’affetto; aiutateci dal cielo con le vostre preghiere, affinché, preservati nel terreno esilio dalle corruzioni dei sensi, viviamo la vita dello spirito, che sarà la vita nostra nella patria celeste.
7° giorno (5 agosto).
Quasi stella matutina.
1. La Chiesa sa attingere nei tesori delle Sacre Scritture dei simboli e delle figure che ben si appropriano ad esaltare i suoi Santi. Ora ella applica a san Domenico le parole dell’Ecclesiastico: Quasi stella del mattino in mezzo alla nebbia, quasi luna nei giorni di sua pienezza e quasi splendente sole, così egli rifulse nel tempio di Dio. In questi tratti è chiusa tutta la vita del glorioso Patriarca.
Che la sua missione fosse di spander luce nel mondo è stato già significato dalla visione che ne ebbe la madre, prima della sua nascita, del cane dalla fiaccola sfavillante in bocca, misterioso presagio, che preludeva in lui la vigilanza e l’ardore. Ma più mirabile ancora fu la stella, che al caro infante portato al fonte battesimale fu vista in fronte, raggio che non si ecclissò mai nella sua vita. Egli fu la stella che precede il sole e splende al mattino. Talora si vede la nebbia ingombrare il cielo, ma a poco a poco essa si dirada e si sperde e la stella emerge spandendo amabili chiarori. Ai giorni di Domenico la nebbia di errori e di eresie ingombrava la Chiesa ed offuscava il suo cielo. In mezzo a queste nebbie emerge il Santo di Calaroga, e brilla vivido astro e spande dolce chiarezza. Grande anima assetata dell’infinito, e, a somiglianza di quella del Verbo fatto Uomo, piena di grazia e di verità.
2. Spettacolo magnifico è il mattino, allorché sembra destarsi il creato. Il mattino è lo splendore nella freschezza. ln questi due vocaboli si direbbe definito il santo Patriarca. Nulla di più fresco, nulla di più splendido della sua vita, anche guardata nei suoi primordi. Fin dalla più tenera età egli vive di Cristo e con Cristo. Gli splendori della scienza divina ed umana si concentrano in lui; egli va di chiarezza in chiarezza, e la sua intelligenza si eleva e s’innalza verso il cielo, e dalla fiamma della sua carità serafica escono splendori di luce. II santo proposito di darsi in Pegno per salvare il figlio della vedova fatto schiavo, la vendita dei libri, che egli chiama pelli morte, per dare il pane ai bisognosi, rivelano in lui, ancor giovane, una freschezza di carità promettitrice di maggiori eroismi.
3. Osserviamo le proprietà della stella. In essa è l’altezza, lo splendore, la piccolezza apparente. Se la guardi, è un punto luminoso che scintilla lassù, ma in sé stessa è una realtà smisurata, un mondo che, errando nella immensità dello spazio, narra la gloria di Dio. Tali sono i caratteri di san Domenico. Nulla più distante dalla terra che la vita di lui. Il suo digiuno è austero e perpetuo, non dorme quasi e la pietra del santuario offre appoggio al suo capo per il breve riposo. Novello Giacobbe, sulla pietra unta dell’olio riposa e vede le visioni del cielo. Mentre l’umiltà lo fa piccolo agli occhi suoi e si avvilisce e si annienta, egli vuol esser piccolo al cospetto degli altri, si getta per terra e si umilia nella polvere per un vivo sentimento della propria miseria. Veste poveramente, non ha affetto a nessuna cosa, forte e sublime anima che si spande sopra tutto il creato e per la incorruzione si accosta a Dio. Punto esiguo in sé, ma smisurato negli affetti e nelle aspirazioni, tutto luce, come l’astro del mattino.
O Padre santo, otteneteci che la divinità, coi fulgori della sua bellezza, ci penetri e produca in noi l’oblio di ogni cosa creata, nelle nostre menti, ingombre di futili idee e così povere nella scienza di Dio, gettate un raggio della luce di cui siete rivestito, e preparate in noi la venuta del Sole di giustizia.
8° giorno (6 agosto).
Quasi luna piena.
1. San Domenico fu quasi luna nel suo pieno lume. Della luna si notano tre caratteri. Ella è decoro della notte, madre della rugiada, emulatrice del sole. Questi caratteri noi li troviamo nel secondo periodo della vita di san Domenico. E innanzi tutto egli fu decoro nella notte del secolo suo. Ai suoi tempi gli Albigesi, nuovi Manichei e Iconoclasti, componevano come una notte sopra e intorno la Chiesa. Bestemmiatori delle cose sante, ostili alla purissima Madre di Dio, gli Albigesi, sostenuti dalla potenza secolare, infrangevano altari e croci, e tenebre di paganesimo riconducevano sopra la terra. Era una vera notte, i cui orrori Domenico dissipò con la bellezza delle sue virtù, che tutte in lui brillarono irradiando fuoco di amore. Lottò sette anni percotendo negli eretici sterpi, e combatté per la Chiesa di Cristo sempre assalita, mai vinta, Glorioso atleta di Cristo, non si stancò; effuse tesori di scienza sacra e rischiarò la notte che ingombrava la Chiesa. Elogiatore incomparabile della verginità di Maria, celebrò le glorie della benedetta tra le donne e diede leva ai cuori sollevandoli agli amori e alle speranze dell’eternità.
2. La luna piena è madre della rugiada. Domenico fece cadere sui popoli una rugiada nuova che innaffiò e ristorò le piantagioni della Chiesa di Dio. Questa rugiada fu la predicazione evangelica che era scaduta e fu da lui risuscitata. I popoli non erano più avvezzi al parlare apostolico che aveva convertito il mondo alla croce; Domenico ebbe i carismi apostolici, e ravvivò le anime indebolite nella fede e le accese nell’amore delle cose celesti. Quella parola sciolse il ghiaccio dei cuori e creò una primavera di fede e di grazia, che fu massima in Francia ed in Italia. Si conobbe allora l’eterna gioventù della Chiesa che al cader di quella rugiada sembrò rinnovata, e si vide risorto il fervore dei tempi apostolici. La predicazione del Rosario iniziata da san Domenico e dai suoi figli suscitò nelle anime l’entusiasmo della preghiera e raddoppiò la fiducia nella potente intercessione della Madre di Dio.
3. La luna piena emulatrice del sole del quale ci porta come un riverbero, quando il gigante della creazione invola a noi il radioso e infiammato suo volto. È una serena chiarezza su cui possiamo tranquillamente fissare lo sguardo e godere. Domenico fu un riflesso di Gesù, sole eterno di bellezza; di quella bellezza Egli fu emulatore e la rispecchiò nell’ardore dell’anima immacolata. È mirabile il commercio sacrosanto che avvenne tra l’anima di Domenico e il Salvatore. Nella contemplazione dei divini misteri si trasformava in Lui; nell’offrire l’Ostia di pace, la Vittima divina feriva il tenero e amoroso suo cuore. La sublimità dello spirito, la tenerezza del cuore, il pianto continuo, la sete del martirio, lo sguardo fisso nell’infinito, il mistero di pace, i lineamenti stessi del volto ricordavano Gesù e lo facevano sentire presente, operante e predicante in lui. Le forze diaboliche prostate, i morti risuscitati, i pani moltiplicati, i miracoli, mostravano a tutti che Gesù viveva e splendeva in lui. Egli era luna emulatrice del Sole di eterna bellezza.
O Padre santo, felice natura, della quale si avvantaggia tutta la Chiesa, predicatore della grazia, voi che propinaste generoso ai popoli l’acqua della sapienza e la luce della dottrina, congiungeteci a Voi nella gloria dei beati.
9° giorno (7 agosto).
Quasi il sole risplende.
1. San Domenico fu sole che rifulse nella Chiesa, casa e tempio di Dio. Il sole ha bellezza nell’aspetto, efficacia nell’effetto e lascia dopo di sé, declinando, crepuscoli d’oro. Si pensi al suo sorgere nel firmamento. Esso ha la corona di raggi che lo fanno apparire come un giovane sposo e quasi emblema dell’eterna gioventù di Dio; desta e abbellisce il creato, corre senza indugio al meriggio versando luce, calore e vita nell’universo; e quando sparisce dal nostro orizzonte, lascia una bellezza nuova quasi orma di sé, sempre diversa, nella quale le tinte varie e soavi formano come un incanto. Così il santo Patriarca ebbe bellezza nell’aspetto, ove il virile e il verginale, si intrecciavano insieme e formavano con una forza che rapisce i cuori. Il paradiso che portava dentro brillava al di fuori e guadagnava anime. Nessuno lo vide senza che ne tornasse migliore, tanto era dolce l’incanto del suo aspetto e del suo conversare.
2. Efficace nell’effetto è il sole. Ammirabile efficacia si vide in Domenico; i balsami stillavano dalle sue mani e i languidi corpi rifiorivano al suo tocco; le anime, scaldate dai suoi raggi si convertivano. Nelle diverse parti di Europa sparse luce e calore. Nel Palazzo Apostolico è ammirata l’altezza della sua dottrina. Aduna le vergini e le pone a tutela della fanciullezza insidiata dall’eresia. Aduna compagni e li fa monaci, apostoli, e con essi corre in guerra contro gli errori. Non conosce riposo, passa insonni le notti, e il continuo lavoro non ha sosta che nella preghiera. Dall’alba precipita al tramonto. Nel luglio del 1221 giunge a Bologna. Affranto dalle fatiche, non pone giù il fervore e l’ardore indomabile dell’anima. Passa le notti in preghiera, va al mattutino coi suoi figli, è l’ultima volta che li vede, e tirato da non so quale forza arcana, palesa loro la sua illibata verginità che lascia loro in retaggio. Benedetta impronta di Maria in Lui che tanto l’amò e la esaltò e di cui tanto ha divulgata la gloria.
3. Il sole è tramontato e comincia il suo crepuscolo di gloria, già sette volte secolare. Suscita uno spirito di verginità, di penitenza, di scienza, di vita apostolica, che non si è più spento. Dalla sua tomba gloriosa germogliano i fiori della santità; ed è bello vedere le falangi dei martiri che da san Pietro da Verona vanno agli ultimi eroi della Cina e del Tonkino. È bello veder Rosa di Lima che al di là dell’Oceano cerca Caterina da Siena per imitarne le virtù ed emularne i portenti. È bello veder Pio V che muore gridando a Marcantonio Colonna: « Fiacca la mezzaluna e togli via dal mondo i nemici del Vangelo e della civiltà ». È bello il veder san Tommaso d’Aquino aprir la schiera dei dottori e dettar volumi ed inni che non moriranno. E le falangi dei sapienti lo seguono, e combattono le battaglie del Signore, agitando la fiaccola della scienza. Il giardino Gusmano ha fiori che non marciscono ed acque di sapienza che non vengono meno.
Ed ora leviamoci al Paradiso e gettiamo lo sguardo nelle schiere beate di vergini, di martiri, di dottori, di santi che fanno corona al glorioso nostro Patriarca. E dalla famiglia del cielo corriamo ai figli ed alle figlie piangenti sulla terra, presso l’urna benedetta che ne racchiude le sacre spoglie. Prostrati con lo spirito nella polvere, baciamo e ribaciamo quei marmi e pensiamo qual fiore di grazia vi sia nascosto! Domenico giace in quella tomba come un astro adombrato, ma non è spento. Iddio lo fa raggiare di nuovo ad incolumità delle genti. Corra a Domenico il mondo languente, e sarà risanato; l’umanità cieca, e riceverà la luce; la società vacillante, e riotterrà la sua vigoria, per camminare nelle vie della giustizia e della pace.
Per il giorno della festa (8 agosto)
Privilegi concessi da Maria al santo Patriarca Domenico
1. Sarà dolce a tutti i devoti del santo Patriarca Domenico il contemplare ad una ad una le armonie che furono poste dalla grazia tra di Lui e la Madre di Dio. E innanzi tutto apparve in san Domenico come un’impronta della piena di grazia quella mistura di sublime e di umile che si palesò in Lui per tutta la vita. Maria, che è umile ed alta più che creatura, Maria, che si chiama ancella mentre è fatta madre di Dio, che si abbassa fino alla polvere mentre è regina dell’eternità, infuse in Domenico un tesoro di grazie e di carismi celesti. Madre della sapienza, fece sì che Domenico spandesse fiumi di sapere con la sua parola; Regina degli Apostoli, pose in Lui tutte le chiarezze e le fiamme apostoliche; Sovrana degli Angeli, lo fece cherubino di scienza e serafino d’amore, vincitore di Satana e dei suoi seguaci. Ma a fondamento e corona di tutte queste virtù e di tutti questi pregi sublimi ebbe Domenico dalla Vergine profonda umiltà per cui si reputava reo e indegno dei celesti favori. Così formato il suo figlio prediletto, Maria lo donò alla Chiesa, offrendolo con Francesco d’Assisi al divino suo Figlio sdegnato contro le corruttele del mondo. E i due Patriarchi vennero al mondo a sposare la povertà e predicare il Vangelo e la Croce, armati di penitenza e di pianto, nati da uno sguardo che diede alle sue piaghe il Figliuolo di Dio.
2. Al santo Apostolo della fede diede Maria stessa la forma dell’abito, attirò a Lui i suoi primi compagni e fornì loro un’arma potente contro i nemici della fede. Al beato Reginaldo appare la Vergine Madre vestita di un abito candidissimo, il colore della verginità, a cui riparo è posto il nero, emblema dell’amor penitente che si conserta ed intreccia all’amore innocente nel caro Ordine che può chiamarsi la famiglia della Madonna. Così ebbero la loro veste i nuovi atleti della fede, mentre in loro infuse Maria lena e ardimento alle lotte a cui erano destinati. Nuova arma per Domenico e per i figli fu il culto delle rose di Maria, delle sue gioie, dei suoi dolori, dei suoi trionfi. E Domenico sparge le rose e commuove i popoli, col saluto angelico reiterato e annodato ai misteri dell’umana redenzione. Il santo Rosario diviene la preghiera prediletta dalla Chiesa, e per la sua virtù sono domati gli errori e torna a fiorire nel mondo la cristiana pietà.
3. La predilezione di Maria verso san Domenico e l’Ordine suo giunse al punto che la Madre celeste diede il suo manto regale per custodire i figli di così grande Padre. In una visione celestiale, Egli non li scorgeva e con ansia li ricercava. Ne domandò a Maria, e questa, sollevando un lembo del suo manto, mostrò nascosti là dentro i figli di san Domenico. Si nasconde quel che è caramente diletto, quel che è prezioso, quel che è tesoro. La visione dimostra che Maria guarda come tesoro i figli e le figlie di san Domenico. Ma non basta. Maria diede a Domenico una posterità verginale. Nell’Ordine dei Predicatori i Dottori sono vergini, le vergini sono maestre. Giacinto, Raimondo, Tommaso, Vincenzo, Pio V, Antonino sono Dottori vergini; Caterina da Siena, Caterina de’ Ricci sono maestre in divinità, e temperando la penna nel sangue del dolce Agnello Gesù, dettano lettere che mettono in fuoco d’amore le anime. Questa discendenza verginale formerà una falange che accompagnerà la Chiesa nelle sue lotte e nella sua corsa trionfale sopra la terra.
Figli degeneri di un tanto Padre, leviamo oggi a Lui lo sguardo pieno di pianto. Guardiamo il manto di Maria; esso è grande e involge tutta la patria celeste. Il numero dei figli e delle figlie di san Domenico non è ancora compiuto, vi è posto anche per noi. Questo pensiero ci apra il cuore alla meravigliosa speranza che il santo Padre morente legò ai suoi figli. Se oggi in cielo a Lui fa festa la famiglia Gusmana presso la Madre diletta, esulti in terra anche la povera schiera che corre dietro le orme di Lui ed ha per avvocata e madre la Vergine; e al Padre santo che vive nel riso dei cieli innalzi un inno pieno di santa speranza.