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Quesito
Gentilissimo Padre,
da tempo mi ritrovo a riflettere sulla leggerezza con la quale molte persone compiono la scelta di convivere anziché sposarsi.
Trovo che molte donne per dimostrarsi emancipate, indipendenti, accettino di convivere, avere figli “che tanto non cambia nulla, è come essere sposati”.
Quasi vogliono ridicolizzare chi, come me, pur avendo superato i 30 anni, continua a dare importanza ai propri valori e, nel rispetto dell’educazione ricevuta dai propri genitori, non ha mai convissuto, né mai lo farà.
Per me il matrimonio non rappresenta la possibilità d’essere mantenuta -perché fortunatamente non mi manca nulla-, ma il coronamento di un grande amore, basato sul rispetto, sulla progettualità, sul desiderio di rispettare l’altro.
Già, perché io non voglio essere considerata alla stregua di un elettrodomestico da provare ed eventualmente sposare dopo anni nel peccato, né voglio considerare tale il mio partner.
A tal proposito: ho una relazione con un uomo che in passato ha convissuto e devo ammettere che quando ci penso mi viene spontaneo considerarlo inferiore a me.
Da subito gli ho detto che non ho mai convissuto né mai lo farò: preferirei vivere single fino all’ultimo giorno della mia vita piuttosto che mancarmi di rispetto.
Nel caso mi dovessi trovare costretta a lasciarlo non si decidesse a chiedermi di sposarlo (non ho intenzione di aspettare anni), come potrei ritrovare fiducia e speranza verso l’amore e la possibilità di coronare il sogno matrimoniale? A me verrebbe spontaneo rinunciarvi definitivamente.
La ringrazio
Roberta
Risposta del sacerdote
Cara Roberta,
1. che la convivenza prematrimoniale dilaghi è un dato di fatto.
Molti sono convinti che si tratti di una valida esperienza.
Sebbene non di rado bruciati dalla sua dissoluzione, subito ne iniziano un’altra.
L’argomento della castità non passa minimamente per l’anticamera del loro cervello, come se non fosse questa la strada che fortifica e rende più stabile l’amore.
2. Quante volte accanto a persone che vengono dal sacerdote a piangere per la fine della loro convivenza viene da ripetere ciò che Gesù disse piangendo guardando Gerusalemme dal monte degli ulivi: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi” (Lc 19,42).
3. Il problema vero, prima ancora della convivenza, sta nel modo di pensare e di vivere la sessualità.
La convivenza nella maggioranza dei casi è la logica conseguenza di uno stile di vita sbagliato da tempo intrapreso e nel quale la sessualità viene vissuta per lo più come esperienza ludica, che fa star bene sul momento.
4. Più a monte c’è l’eclisse dell’orizzonte o del significato della vita presente, vissuta senza conoscerne il fine, alla luce del carpe diem (godi il momento) degli antichi romani.
5. È vero che i valori di cui parli e che tu hai scelto come stile di vita sono percepibili anche al di qua della fede. Tra questi vi sono anche quelli propri del matrimonio.
Ma al di fuori della prospettiva religiosa rimangono fortemente indeboliti.
Solo l’obiettivo della santificazione, che non è un optional e che anzi è l’obiettivo inderogabile da perseguire in vista della salvezza eterna, dà la forza di essere fedeli nella buona e nella cattiva sorte al consenso prestato nel giorno delle nozze.
6. Ma questo obiettivo è misconosciuto.
Il santo Papa Giovanni Paolo II diceva che è necessario instaurare una pedagogia della santità e che le nostre comunità cristiane, a partire dalle parrocchie, devono caratterizzarsi proprio per questo obiettivo.
Negli ultimi anni del suo pontificato gli incontri giovanili molto spesso erano caratterizzati dal “duc in altum” (Lc 5,4), che letteralmente nella sua formulazione greca significa: vai in alto, più in alto che puoi.
7. Oggi la purezza sembra scomparsa anche dalle parole del magistero.
Dimenticando che solo nella purezza si trova la sapienza, e cioè si trova Dio.
Si legge nel Siracide: “A essa ho rivolto la mia anima e l’ho trovata nella purezza” (Sir 51,20).
8. L’esortazione post sinodale Amoris laetitia parla della convivenza, come di uno stile di vita assunto da molti.
Se qualcuno si aspettava un po’ più di grinta su questo argomento per dare un aiuto alle famiglie e agli educatori è rimasto deluso.
Il documento accennato si limita a riconoscere che “avanza in molti paesi una decostruzione giuridica della famiglia che tende ad adottare forme basate quasi esclusivamente sul paradigma dell’autonomia della volontà” (AL 53).
Tuttavia riconosce che solo la famiglia, e sottinteso la famiglia basata sul matrimonio, rende capaci di un amore vero, fedele, indissolubile e aperto alla vita.
E che “la forza della famiglia risiede essenzialmente nella sua capacità di amare e di insegnare ad amare” (AL 53).
9. Più incisivo invece il Direttorio di pastorale familiare della Conferenza episcopale italiana: “Anche se la cultura contemporanea tende a legittimare queste convivenze, la Chiesa non può non riaffermare che esse sono in contrasto con il senso profondo dell’amore coniugale: esso, oltre a non essere mai sperimentazione e a comportare sempre il dono totale di sé all’altro, richiede per sua intima natura un riconoscimento e una legittimazione sociale e, per i cristiani, anche ecclesiale” (n. 227).
Con l’augurio che la tua testimonianza possa essere contagiosa per molti, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo