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Quesito

Caro Padre Angelo,
innanzi tutto grazie per il tempo che dedica svolgendo questo servizio. Non le nascondo che mi trovo spesso confusa di fronte a certe tematiche, alle quali al momento attuale sembra che ciascuno risponda a modo suo. Mi rivolgo quindi a lei perché tante volte ho beneficiato delle sue risposte, che hanno fugato dubbi e fatto chiarezza.
La domanda che vorrei porle è questa: potrebbe delucidarmi i concetti di “salvezza personale” e “salvezza comunitaria”? Partendo dal presupposto che non esiste un cristiano “solo”, isolato, sganciato dagli altri (nel senso che ciascuno, grazie al battesimo, appartiene alla comunità ecclesiale anche se non decide di appartenere a un ordine, movimento, associazione, ecc.), ma che allo stesso tempo saremo giudicati personalmente per i nostri peccati e le nostre opere, in che modo questi due concetti di “salvezza” si fondono? Credo sia lecito pensare che non mi salveranno i meriti di qualcun altro (a parte quelli di Nostro Signore 😊 ), così come che per i miei peccati sarà chiesto conto a me e non ad altri, ma ho le idee confuse circa queste due dimensioni della salvezza.
La ricordo nella preghiera e le chiedo una benedizione,
Maria Grazia


Risposta del sacerdote

Carissima, 
1. più che parlare di legame tra la salvezza personale e quella comunitaria sarebbe più opportuno parlare di salvezza personale e amore del prossimo ed esercizio della carità.
Perché la salvezza personale non dipende da quella altrui. Ci si può dannare anche se tutti gli altri si salvano, come inversamente ci si può salvare anche se tutti gli altri si danno.
Lo Spirito Santo ci ricorda che “tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male” (2 Cor 5,10).

2. La salvezza è legata essenzialmente alla carità, al farsi dono secondo Dio.
Senza la carità nulla ci giova per la vita eterna (cfr. 1 Cor 13,3).
La carità è l’unico bene che ci portiamo dietro varcando il limite della morte. Infatti solo “la carità non avrà mai fine” (1 Cor 13,8).
San Giovanni della croce diceva che al termine dei nostri giorni saremo giudicati sulla carità.

3. Questo fa comprendere che il senso della nostra vita consiste nel crescere nella carità per essere sempre più all’immagine di Colui che è carità (cfr 1 Gv 4,8).
L’eucaristia stessa, che è il più grande di tutti i sacramenti, è ordinata a trasformarci in Cristo, che è la carità divina donata al mondo.

4. A questo proposito torna opportuno riferire quanto Dio ha detto a Santa Caterina da Siena: “I molteplici doni e grazie di virtù e di altre capacità spirituali e materiali li ho distribuiti in tale diversità che nessuno le possiede tutte: ciò perché abbiate per forza motivo di usare la carità l’uno con l’altro. Potevo certo far sì che gli uomini fossero dotati di tutto ciò che bisognava loro sia per l’anima che per il corpo, ma io volli che l’uno avesse bisogno dell’altro e tutti fossero miei ministri nel dispensare le grazie e i doni che hanno ricevuto da me.  Sicché, lo voglia o no, l’uomo non può non esercitare, almeno per necessità, l’atto della carità.
È vero però che se non è fatto e prestato per amore di me, quell’atto non vale quanto alla grazia.
Affinché dunque praticassero la virtù della carità io ho fatto gli uomini quali miei ministri ponendoli in diversi e svariati stati e gradi: ciò dimostra che nella mia casa ci sono molte dimore e che non voglio altro che amore.
Nell’amore di me l’uomo compie l’amore del prossimo, e compiuto il precetto dell’amore del prossimo ha osservato la legge” (Dialogo della divina provvidenza, 47).

 5. E ancora: “Mentre siete viandanti in questa vita mortale vi ho legati l’un l’altro con legame della carità: lo voglia l’uomo o no, egli vi è legato. Se egli se ne scioglie con l’affetto, vi resta legato dalla necessità. Onde, affinché voi usaste la carità o nell’affetto del cuore o almeno negli atti esteriori ho fatto in modo che, se anche perdeste l’affetto della carità per la vostra iniquità, foste costretti dal bisogno ad esercitarne almeno gli atti. A questo scopo provvidi a non dare a nessuno di saper fare tutto quello che occorre nella vita, ma chi ha un dono e chi ne ha un altro, e così ognuno ha bisogno di ricorrere all’altro. In tal modo l’artefice ricorre al lavoratore il lavoratore all’artefice: l’uno ha bisogno dell’altro perché non sa fare quello che sa fare l’altro. Così il chierico e il religioso ha bisogno del secolare e il secolare del religioso e l’uno non può fare senza l’altro. E così per ogni altra cosa.
Non potevo dare io ad ognuno tutto? Certamente, ma volli provvidamente che l’uno somigliasse all’altro e fossero tutti costretti ad esercitare fra di loro l’atto e l’affetto della carità” (Ib., 148).

6. “È infatti di fronte alle necessità del tuo prossimo che tu partorisci il figliuolo della carità che hai dentro l’anima tua: e di fronte alle ingiurie che ricevi dal prossimo che tu partorisci in lui la pazienza e l’orazione che fai specialmente per quelli che ti ingiuriano. E se i nostri fratelli ci sono infedeli, noi dobbiamo essere loro fedeli, partorendo così la fedeltà che ci fa fedelmente cercare la loro salute.
Il prossimo è veramente il mezzo con il quale proviamo e acquistiamo la virtù. Nella carità di Dio concepiamo le virtù, e nella carità del prossimo le partoriamo” (lettera 50).
“E attraverso il prossimo che l’uomo prova la virtù della pazienza quando riceve ingiurie da lui; prova l’umiltà a contatto con il superbo; prova la fede a contatto con l’incredulo; la vera speranza con colui che non spera, la giustizia con l’ingiusto, la pietà col crudele, la benignità e la mansuetudine con l’iracondo.
Tutte le virtù si provano e si partoriscono nel prossimo, e così nel prossimo gli iniqui partoriscono ogni loro vizio.
Se tu guardi bene, l’umiltà è provata nella superbia in quanto l’umile spegne la superbia e il superbo non può fare alcun danno all’umile; come pure l’infedeltà dell’iniquo che non mi ama né spera in me non può diminuire la fede e la speranza di chi in me ha concepito queste virtù: al contrario le fortifica le prova nella dilezione e nell’amore del prossimo” (Dialogo della divina provvidenza, 8).

7. Prima di Santa Caterina, San Giovanni (ed è parola di Dio) aveva detto che “Se uno dice: «Io amo Dio» e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Gv 4,20).
Diversamente si tratterebbe solo di una illusione.

Augurandoti ogni bene, ti benedico e ti ricordo nella preghiera. 
Padre Angelo