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Quesito

Caro Padre,
desidero innanzitutto ringraziarla per la pazienza con la quale risponde ai tanti quesiti (spesso purtroppo sullo stesso argomento: le sarà venuto a noia ormai!) e per la chiarezza dei suoi interventi. Vengo anch’io alla domanda: potrebbe cortesemente chiarire con qualche esempio questa frase che ho trovato in una sua risposta: “Il ricorso ai ritmi naturali di fertilità sia per cercare le nascite sia per distanziarle non è considerato dalla Chiesa un metodo di contraccezione naturale” e “l’usufruire dei periodi infecondi nella convivenza coniugale può diventare sorgente di abusi” In particolare, in che modo due sposi che per seri motivi non desiderano una gravidanza e utilizzano questo metodo potrebbero in realtà abusarne?
Inoltre, potrebbe chiarire che cosa si intende in pratica con “Il ricorso ai ritmi naturali è lecito all’interno di un cammino di castità”? Se si intende castità come assenza di rapporti sessuali, non c’è bisogno di ricorrere ai ritmi naturali, quindi vuole dire qualche altra cosa: che cosa, in pratica? Evitare qualsiasi contatto inerente alla sessualità nei giorni in cui non si può concludere l’atto?
Come capirà, queste domande non mi riguardano più direttamente, ma desidero potere dare risposte chiare ai miei figli.
La ringrazio e le sarei grato, se, in caso di pubblicazione, vorrà omettere i riferimenti personali.
Grazie


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. Si fa contraccezione quando si impedisce all’atto coniugale di raggiungere il suo obiettivo intrinseco, che è quello di essere aperto alla generazione di una nuova vita.
Ora quando i coniugi si congiungono nei tempi di infertilità non fanno nulla per cambiare la fisionomia naturale dell’atto.
Per questo il ricorso a tali metodi non è contraccettivo.
È pertanto sbagliato dire che i metodi naturali sono una contraccezione naturale.
Contraccezione naturale invece è il coito interrotto.
Ma come può ben vedere, c’è una differenza profonda tra il coito interrotto e un rapporto coniugale compiuto come Dio comanda, anche se nei tempi di sterilità temporanea o permanente della donna.

2. “l’usufruire dei periodi infecondi nella convivenza coniugale può diventare sorgente di abusi” quando il gesto è privo di vero amore come ad esempio quando lo si impone senza badare alle esigenze fisiche, psicologiche, spirituali e morali dell’altro, che magari in quel momento non ne ha voglia perché è sfinito, malato, preoccupato, etc…
In questo caso, anche se potenzialmente aperto alla vita, quell’atto sarebbe privo della sua carica umana e cesserebbe di essere un atto di vero amore.
Qui si usa dell’altro solo come sfogo della propria libidine.

3. Quando si parla di castità coniugale ci si vuole riferire alla purezza dell’amore coniugale.
Anche i coniugi sono chiamati a vivere in purezza il loro affetto vicendevole.
La castità o purezza coniugale non è dunque sinonimo di astinenza sessuale.
Quando i coniugi si esprimono l’amore vicendevole con gli atti sessuali, questi atti sono casti se non si fa contraccezione e non sono imposti senza badare alle esigenze dell’altro.
La purezza matrimoniale si esprime anche nel non usare della genitalità al di fuori degli obiettivi per cui ci è stata data.

Ti ringrazio e ti saluto.
Prometto un ricordo al Signore per te e per la tua bella famiglia e tutti vi benedico.
Padre Angelo