Questo articolo è disponibile anche in: Italiano
Quesito
Caro Padre Angelo,
Le pongo una domanda sull’assistenzialismo
L’enciclica Centesimus Annus dice: “Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese”.
Potrebbe commentare questo brano in particolare il rischio di deresponsabilizzare la società?
Grazie
Niccolò
Risposta del sacerdote
Caro Niccolò,
1. l’assistenza dello stato, che è doverosa verso alcuni beni essenziali per la persona, va contemperata con il principio di sussidiarietà.
Per sussidiarietà s’intende quel principio secondo il quale le società superiori, per il raggiungimento del loro scopo, devono rispettare l’attività relativamente autonoma dei gruppi intermedi, servirsene per il bene comune a cui esse mirano, e prestare loro l’aiuto e la protezione di cui hanno bisogno.
2. Si dice di “sussidiarietà” dal vocabolo latino “subsidiariae cohortes” (riserve) che stavano dietro alla “prima acies” (prima schiera di combattenti).
Non è la stessa cosa che il principio di solidarietà, perché questa vige tra tutti, mentre qui si parla di un particolare rapporto (difesa, aiuto, promozione) dato dalle società superiori a quelle inferiori. Esso si fonda sul primato della persona umana sulla società.
Di fatto è quel principio che garantisce il corretto rapporto tra persona, gruppi intermedi e società.
Esso riconosce il primato dell’azione alla persona individua rispetto alla società e alle società minori rispetto a quella maggiore. Afferma tale priorità all’essere che ha maggiore dignità e densità ontologica rispetto a quello che ne ha meno; si applica immediatamente ai rapporti fra una società minore e una maggiore.
3. In base al principio di sussidiarietà è dovere della società:
– incentivare le iniziative dei singoli e dei gruppi, purché non si oppongano al bene comune;
– proteggerle e aiutarle, perché questo è proprio il compito dello stato e il significato del bene comune.
La storia dimostra l’utilità dell’applicazione di questo principio. Se si vuole un accenno alla storia sacra, basti l’esempio di Mosè. Gli fu chiesto di scegliere settanta uomini che lo aiutassero. “È compito troppo grave per te e non puoi resistere da solo… scegli uomini capaci e stabiliscili sul popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine, capi di decine… Così il peso che grava su di te sarà alleggerito, portandolo anch’essi insieme a te” (Es 18,18-22).
S. Tommaso osserva che la sinfonia cessa quando tutti cantano la stessa nota. Lo stato o la comunità deve conoscere la convergenza di una pluralità di apporti.
4. Perciò le società intermedie non solo sono legittime, ma doverose. Esse nascono per la libertà di associazione e con maggiore tempestività provvedono ai problemi emergenti (si pensi a quello che hanno fatto le istituzioni religiose, quando lo stato non si era ancora assunto l’impegno di assistere i più deboli).
Inoltre le associazioni che nascono dal basso hanno un interesse particolare (materiale o di carità) per risolvere i problemi, e questo giova alla loro risoluzione. In questo spirito va incentivato il volontariato; che è fonte di creatività e di dinamismo per la società e lo stato. Queste associazioni devono avere di mira sempre l’incremento del bene comune. Nel caso non vi provvedessero o i loro fini non concordassero con quelli del bene comune, diventa dovere per lo stato intervenire, porre delle esigenze e anche sopprimere certe associazioni (come ad esempio quelle sovversive, a delinquere…).
5. Giovanni XXIII nella Mater et Magistra ha detto che “deve essere sempre riaffermato il principio che la presenza dello stato in campo economico, anche se ampia e penetrante, non va attuata per ridurre sempre più la sfera di libertà dell’iniziativa personale dei singoli cittadini, ma anzi per garantire a quella sfera maggiore ampiezza possibile nella effettiva tutela, per tutti e per ciascuno, dei diritti essenziali della persona; fra i quali è da ritenersi il diritto che le singole persone hanno di essere e di rimanere normalmente le prime responsabili del proprio mantenimento e di quello della propria famiglia; il che implica che nei sistemi economici sia consentito e facilitato il libero svolgimento delle attività produttive” (MM 60).
“L’esperienza infatti attesta che dove manca l’iniziativa personale dei singoli vi è tirannide politica; ma vi è pure ristagno dei settori economici diretti a produrre soprattutto la gamma indefinita dei beni di consumo e dei servizi che hanno attinenza, oltre che ai bisogni materiali, alle esigenze dello spirito: beni e servizi che impegnano, in modo speciale, la creatrice genialità dei singoli” (MM 62).
6. La Congregazione per la dottrina della fede nell’Istruzione su libertà cristiana e liberazione scrive: “In virtù del principio di sussidiarietà né lo stato né alcuna società devono mai sostituirsi all’iniziativa e alla responsabilità delle persone e delle comunità intermedie in quei settori in cui esse possono agire, né distruggere lo spazio necessario alla loro libertà.
Con ciò la dottrina sociale della Chiesa si oppone a tutte le forme di collettivismo” (n. 75).
7. Benedetto XVI in Deus caritas est ha ribadito l’importanza di questo principio di sussidiarietà: “Non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che ci occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto. La Chiesa è una di queste forze vive: in essa pulsa la dinamica dell’amore suscitato dallo Spirito di Cristo. Questo amore non offre agli uomini solamente un aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell’anima, un aiuto spesso più necessario del sostegno materiale. L’affermazione secondo la quale le strutture giuste renderebbero superflue le opere di carità di fatto nasconde una concezione materialistica dell’uomo: il pregiudizio secondo cui l’uomo vivrebbe «di solo pane» (Mt 4,4; cfr Dt 8,3) – convinzione che umilia l’uomo e disconosce proprio ciò che è più specificamente umano” (DCE 28b).
Ti ringrazio del quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo