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Quesito

Caro Padre Angelo,
Gradirei che mi illumini su un quesito al quale non riesco a dare risposta e riguarda il peccato degli angeli. Che l’uomo possa peccare perché imperfetto e tentato dal diavolo risulta comprensibile. Tuttavia, pur compiendo il male, l’uomo cerca sempre la propria felicità ma, lontano da Dio sperimenta solo delusione ed insoddisfazione. Insomma cerca il bene ma fa il male perché attratto da illusioni e chimere suggerite dal demonio o dal richiamo dei propri  istinti animali. Fa il male per debolezza ma non lo desidera
Come hanno potuto gli angeli che contemplavano Dio, fonte di ogni felicità, scegliere la disobbedienza, in modo cosciente e chiaro e vivere in un mondo (celeste) pieno di odio e cattiveria? Hanno preferito questo modo di esistere alla beatitudine della visione di Dio? Dove sta la loro intelligenza?
La ringrazio
Giovanni


Risposta del sacerdote

Caro Giovanni.
1. la Sacra Scrittura attesta che alcuni angeli si sono ribellati a Dio.
Accenna anche ai motivi di tale ribellione.
Gesù ha detto che il diavolo “non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità” (Gv 8,44).
San Pietro parla di un peccato del diavolo a causa del quale è stato gettato nella prigione: “Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò in abissi tenebrosi, tenendoli prigionieri per il giudizio” (2 Pt 2,4).
Anche Giuda Taddeo parla di un peccato degli angeli: “tiene in catene eterne, nelle tenebre, per il giudizio del grande giorno, gli angeli che non conservarono il loro grado ma abbandonarono la propria dimora” (Gd 1,6).
Non precisa però di quale peccato si tratti.

2. La teologia ha cercato di indagare.
Tra tutti San Tommaso, il quale ha escluso decisamente un peccato sensuale.
Al seguito di sant’Agostino che aveva detto che il "il diavolo non è un lussurioso, né un ubriacone, né altre cose simili: è invece superbo e invidioso" (De Civitate Dei, 14, 3), così argomenta: “una creatura spirituale non si compiace dei beni materiali, ma di quei beni che possono trovarsi negli esseri spirituali. Ogni essere infatti si compiace soltanto di ciò che in qualche modo può concordare con esso” (Somma teologica, I, 63, 2).

3. Prosegue il nostro Santo: “Ora, i beni spirituali non possono dar luogo al peccato per il fatto che uno li desidera, bensì perché li desidera in modo non conforme alla regola di colui che gli è superiore” (Ib.).
I beni spirituali infatti non degradano l’uomo, ma sono connaturali alla sua anima immortale. E non degradano neanche l’Angelo.
Allora è possibile peccare nell’ordine spirituale solo perché non ci si assoggetta a chi di dovere e si vuole agire con le sole proprie forze, senza l’aiuto di Dio, senza il  soccorso della grazia.

4. Isaia lascia intender che si sia trattato di un peccato di superbia.
Egli infatti pone sulla bocca del demonio queste parole: "Salirò al cielo… , e sarò uguale all’Altissimo" (Is 14,13.14).
Sant’Agostino dice che il demonio, tronfio della sua grandezza, "volle essere chiamato Dio" (De Quaest. Veteris Testamenti 113).
“Ma non assoggettarsi come di dovere a chi è superiore è un peccato di superbia. Dunque il primo peccato dell’angelo non può essere che la superbia” (Somma teologica, I, 63, 2).

5. “non stava saldo nella verità” (Gv 8,44).
Questo “non stava” permette a San Tommaso di dire che l’Angelo non si ribello nello stesso istante della creazione, ma almeno in  quello seguente.
Inoltre “non stava saldo”:  perché volle abbandonare l’ordine della propria natura, e cioè la sottomissione a Dio.
Non volle conseguire da Dio la beatitudine e l’appagamento del proprio desiderio naturale.
Questa sottomissione gli era necessaria perché la beatitudine promessa era di ordine soprannaturale e pertanto superiore a quello della propria natura
Perciò, “avendo tentato di conseguire contando la beatitudine promessa su se stesso, decadde dalla verità” (Commento al Vangelo di Giovanni 8,44).
Il peccato non è consistito nel voler essere simile a Dio, ma “nel volere questa somiglianza con le proprie forze e non dalla virtù di Dio” (Somma teologica, I, 63, 3).

6. Oppure “desiderò di essere simile a Dio, in quanto desiderò come fine ultimo quella beatitudine, a cui poteva giungere con le proprie forze naturali, distogliendo il suo desiderio dalla beatitudine soprannaturale, che si ottiene mediante la grazia di Dio” (Ib.).
Rifiutò pertanto l’amicizia con Dio.

7. In un terzo senso “volle essere simile a Dio, e cioè nel senso di compiere opere che sono esclusive di Dio, perché legate alla sua natura divina, “come ad esempio se uno desiderasse di creare il cielo e la terra, che è un’operazione esclusiva di Dio. In questo suo desiderio ci sarebbe il peccato.
Ora, il diavolo desiderò di essere come Dio in questa maniera” (Ib.).

8. Oltre al peccato di  superbia, vi fu anche quello di invidia.
Scrive San Tommaso: “Però in seguito ha potuto esserci anche l’invidia.(…).
“L’invidioso prova dispiacere per il bene altrui, perché lo giudica un impedimento al bene proprio. Ora, il bene altrui non poteva essere ritenuto un impedimento al bene desiderato dall’angelo cattivo, se non in quanto l’angelo cattivo desiderava un’eccellenza del tutto singolare, la quale viene a cessare ove ci sia un altro dotato della medesima eccellenza.
Perciò, nell’angelo prevaricatore, al peccato di superbia tenne dietro il peccato d’invidia, poiché egli provò dispiacere del bene concesso all’uomo; ed anche dell’eccellenza divina, in quanto Dio si serve di lui per la sua gloria, proprio contro la volontà del diavolo” (Somma teologica, I, 63, 2).

9. In conclusione il diavolo non volle diventare amico di Dio, non volle entrare nell’ordine soprannaturale.
Questo avrebbe richiesto lasciarsi attrarre e trasportare da Dio.
All’amicizia di Dio preferì il proprio orgoglio.
Alla possibilità che altri diventassero amici di Dio e cooperassero con Lui nell’ordine soprannaturale della grazia preferì l’invidia.
Come abbia potuto desiderare questo per noi è un mistero.
Ma a tanto può arrivare la malizia di un spirito altissimo che si perverte.

10. Nella tradizione della Chiesa vi sono stati autori che hanno voluto applicare alla caduta degli Angeli quanto nel libro di Ezechiele viene detto per il re di Tiro, tanto più che nel testo di Ezechiele si fa esplicito riferimento al paradiso terrestre:
“Tu eri un modello di perfezione, pieno di sapienza, perfetto in bellezza; in Eden, giardino di Dio, tu eri coperto d’ogni pietra preziosa: rubini, topazi, diamanti, crisòliti, ònici e diaspri, zaffìri, turchesi e smeraldi; e d’oro era il lavoro dei tuoi castoni e delle tue legature, preparato nel giorno in cui fosti creato.
Eri come un cherubino protettore, ad ali spiegate; io ti posi sul monte santo di Dio e camminavi in mezzo a pietre di fuoco.
Perfetto tu eri nella tua condotta, da quando sei stato creato, finché fu trovata in te l’iniquità.
Accrescendo i tuoi commerci ti sei riempito di violenza e di peccati; io ti ho scacciato dal monte di Dio e ti ho fatto perire, o cherubino protettore, in mezzo alle pietre di fuoco.
Il tuo cuore si era inorgoglito per la tua bellezza, la tua saggezza si era corrotta a causa del tuo splendore” (Ez 28,12-15.17).
Quello che hanno fatto gli angeli ribelli continuano a farlo, con la loro ispirazione e con il loro aiuto, gli uomini che si ribellano a Dio.
Purtroppo col medesimo esito, se permangono in questa ribellione sino alla fine.

Nella speranza che questo non succeda per nessuno di noi, ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo