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Quesito

Caro padre Angelo, 
 stamattina sono andato a confessarmi ma la modalità con la quale è avvenuta la confessione mi ha lasciato molto perplesso. All’interno della confessione il confessore mi ha fatto confessare i peccati attraverso un’accusa non verbale degli stessi come solitamente avviene, ma esclusivamente in pensiero. Mi ha detto esplicitamente di rivolgermi a Gesù e chiedere perdono a Lui con il cuore e il pensiero. Al termine dell’accusa non verbale dei peccati commessi in pensieri, parole, opere ed omissioni, mi ha fatto ripetere un’espressione del tipo: “Signore perdonami”.
Come se non bastasse, la formula dell’assoluzione “io ti assolvo dai tuoi peccati” l’ha modificata in: “Dio ti assolve dai tuoi peccati”.
 Le chiedo se questa confessione avvenuta con questa modalità sia valida oppure è necessario che ripeta la confessione con un sacerdote più rispettoso del sacramento e di ciò che prescrive la Chiesa.
In attesa di risposta, la ringrazio anticipatamente. Il Signore la benedica infinitamente! 
R.,


Risposta del sacerdote

Caro R., 
1. il sacerdote che si è comportato in questo modo ha compiuto un sacrilegio deformando volutamente il sacramento della riconciliazione.
L’accusa dei peccati infatti è di diritto divino. Ed è necessaria perché il sacerdote conosca lo stato dell’anima, sappia se vi sono le condizioni per poter assolvere o non assolvere.
Come potrebbe poi proporre gli opportuni rimedi se non conosce i mali di cui il penitente è afflitto?

2. Ecco quanto ha detto Giovanni Paolo II nell’esortazione post sinodale Reconciliatio et paenitentia: “Questo sacramento è, secondo la più antica tradizionale concezione, una specie di azione giudiziaria; ma questa si svolge presso un tribunale di misericordia, più che di stretta e rigorosa giustizia, il quale non è paragonabile che per analogia ai tribunali umani, cioè in quanto il peccatore vi svela i suoi peccati e la sua condizione di creatura soggetta al peccato; si impegna a rinunciare e a combattere il peccato; accetta la pena (penitenza sacramentale) che il confessore gli impone e ne riceve l’assoluzione. 
Ma, riflettendo sulla funzione di questo sacramento, la coscienza della Chiesa vi scorge, oltre il carattere di giudizio nel senso accennato, un carattere terapeutico o medicinale. E questo si ricollega al fatto che è frequente nel Vangelo la presentazione di Cristo come medico, mentre la sua opera redentrice viene spesso chiamata, sin dall’antichità cristiana, «medicina salutis». «Io voglio curare, non accusare», diceva sant’Agostino riferendosi all’esercizio della pastorale penitenziale, ed è grazie alla medicina della confessione che l’esperienza del peccato non degenera in disperazione. Il «Rito della penitenza» allude a questo aspetto medicinale del sacramento, al quale l’uomo contemporaneo è forse più sensibile, vedendo nel peccato, sì, ciò che comporta di errore, ma ancor più ciò che dimostra in ordine alla debolezza e infermità umana.
Tribunale di misericordia o luogo di guarigione spirituale, sotto entrambi gli aspetti, il sacramento esige una conoscenza dell’intimo del peccatore, per poterlo giudicare ed assolvere, per curarlo e guarirlo. 
E proprio per questo esso implica, da parte del penitente, l’accusa sincera e completa dei peccati, che ha pertanto una ragion d’essere non solo ispirata da fini ascetici (quale esercizio diumiltà e di mortificazione), ma inerente alla natura stessa del sacramento” (RP 31,II).

3. Il sacerdote al quale ti sei presentato ha rifiutato di conoscere l’intimo del peccatore, non sa che cosa ha assolto, né si è formato un giudizio per vedere se c’erano le condizioni per assolvere.

4. C’è poi il problema delle parole usate: Gesù non ha detto di dire: Dio ti assolve dai tuoi peccati. Tanto più che è uno potrebbe dire: come faccio a saperlo?
Gesù invece ha dato ai sacerdoti l’incarico di assolvere o non assolvere i peccati, con tutto ciò che vi è connesso.
Per cui il sacerdote deve dire proprio quelle parole perché Gesù Cristo glielo comanda: “Io ti assolvo”. Ha dato a lui l’incarico di verificare, di perdonare e di guarire.
In altre parole, gli ha dato la delega di agire in persona Christi e anche in persona Ecclesiae.
Nelle parole usate da quel sacerdote non compare questa dimensione ecclesiale, non compare che egli agisce con la delega data da Gesù.

5. Giovanni Paolo II nel Motu proprio Misericordia Dei (7.4.2002) ha ricordato che “il Concilio di Trento dichiarò che è necessario ‘per diritto divino confessare tutti e singoli i peccati mortali’ (DS 1707). La Chiesa ha visto sempre un nesso essenziale tra il giudizio affidato ai sacerdoti in questo Sacramento e la necessità che i penitenti dichiarino i propri peccati (DS 1679, 1323), tranne in caso di impossibilità. Pertanto, essendo la confessione completa dei peccati gravi per istituzione divina parte costitutiva del Sacramento, essa non resta in alcun modo affidata alla libera disponibilità dei Pastori”.

6. Venendo alla conclusione: poiché di fatto non ti sei confessato, non hai celebrato il sacramento della penitenza.
Perciò se avevi dei peccati gravi devi confessarti di nuovo,
L’accusa dei peccati è necessaria per la validità della confessione, a differenza della penitenza impartito dal sacerdote che non è per la validità della confessione ma per la sua integrità.
Dal pentimento e dall’accusa dei peccati il sacerdote non può dispensare, a meno che per l’accusa non vi siano motivazioni che di fatto la impediscono.

7. Un comportamento del genere da parte del confessore andrebbe segnalato a chi di dovere perché non continui a stravolgere il sacramento a danno delle anime.
Si tratta di un abuso volontario del sacramento della penitenza così grave da costituire oggettivamente un peccato grave.

Ti ringrazio di aver segnalato quanto ti è capitato nella speranza che questa risposta in qualche modo possa essere giungere a sacerdote che ti ha trattato in quel modo.
Ti auguro ogni bene, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo